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Licenziamento disciplinare: non solo per omissioni

Un lavoratore, licenziato per aver danneggiato l’auto di un collega nel parcheggio aziendale prima del turno, ha impugnato il provvedimento. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte d’Appello che confermava il licenziamento disciplinare. I giudici supremi hanno chiarito che il termine “mancanze” nel CCNL non si riferisce solo a condotte omissive, ma anche a quelle attive e aggressive. Il vero discrimine è la gravità del fatto e la sua connessione con la prestazione lavorativa, elemento che la Corte d’Appello non aveva adeguatamente considerato.

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Pubblicato il 19 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento Disciplinare: Quando un Atto Aggressivo Non Basta

Il licenziamento disciplinare rappresenta la sanzione più grave che un datore di lavoro possa infliggere a un dipendente, ma la sua legittimità dipende da una corretta interpretazione delle norme e dei contratti collettivi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti su come valutare la condotta di un lavoratore, specificando che il termine “mancanza” non si limita a un comportamento omissivo, ma include anche azioni attive e aggressive.

I Fatti del Caso: un Atto di Aggressione nel Parcheggio Aziendale

La vicenda riguarda un lavoratore a cui era stato contestato un grave episodio. Prima di iniziare il suo turno di lavoro, dopo essere arrivato nel parcheggio aziendale a bordo di un veicolo guidato da un’altra persona, si era avvicinato all’auto di un collega. Qui, aveva prima sputato sulla carrozzeria e poi sferrato un calcio allo specchietto retrovisore, staccandolo e portandolo via con sé. A seguito di questo evento, l’azienda aveva avviato la procedura che si era conclusa con il licenziamento per giusta causa.

Il Percorso Giudiziario e l’Errata Interpretazione della Corte d’Appello

Il caso ha avuto un iter giudiziario complesso. Mentre in primo grado il licenziamento era stato annullato, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, ritenendo legittima la sanzione espulsiva. Secondo i giudici di secondo grado, la condotta del lavoratore, essendo “attiva e di tipo aggressivo”, non poteva rientrare nelle ipotesi di “mancanze” punite con sanzioni conservative (come la multa o la sospensione) previste dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) di settore. La Corte territoriale aveva interpretato il termine “mancanze” come riferibile esclusivamente a condotte “omissive”, violando così norme di portata più ampia relative alla convivenza civile e alla morale.

Il Ruolo della Gravità nel Licenziamento Disciplinare

La Corte di Cassazione, investita del ricorso del lavoratore, ha completamente smontato l’interpretazione della Corte d’Appello, giudicandola errata. Gli Ermellini hanno chiarito che il termine “mancanze”, secondo un’interpretazione letterale e sistematica del CCNL, include qualsiasi tipo di inosservanza dei doveri, sia essa realizzata tramite un’azione (condotta commissiva) che tramite un’omissione.

A sostegno di questa tesi, la Corte ha evidenziato come lo stesso articolo del CCNL che disciplina il licenziamento sia rubricato “licenziamento per mancanze”, dimostrando che anche le condotte più gravi, che portano alla sanzione espulsiva, sono qualificate come tali.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della Cassazione si è concentrata su due punti cruciali. In primo luogo, il vero discrimen tra una sanzione conservativa e una espulsiva non è la natura attiva od omissiva della condotta, ma la sua gravità. Il CCNL stesso prevede una graduazione delle sanzioni conservative (multa per mancanze di minor rilievo, sospensione per quelle di maggior rilievo), confermando che il livello di gravità è un metro di valutazione applicabile a tutte le infrazioni disciplinari.

In secondo luogo, e questo è l’aspetto più rilevante, la Corte ha sottolineato che l’articolo del CCNL invocato per il licenziamento punisce le “gravi infrazioni alla disciplina […] o […] azioni delittuose in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro”. Nel caso specifico, l’episodio era avvenuto nel parcheggio aziendale prima dell’inizio dell’orario di lavoro, e la Corte d’Appello non aveva dimostrato l’esistenza di un nesso diretto tra l’aggressione e la prestazione lavorativa. Questa mancanza di connessione è risultata decisiva per ritenere potenzialmente sproporzionata la sanzione del licenziamento, almeno sulla base della norma contrattuale applicata.

Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza d’appello e rinviando il caso a un’altra sezione della stessa Corte per un nuovo esame. Il principio di diritto stabilito è chiaro: per valutare la legittimità di un licenziamento disciplinare, non ci si può fermare a una distinzione superficiale tra condotte attive e omissive. È necessario analizzare la gravità effettiva del comportamento e, soprattutto, verificare se sussiste quella connessione con il rapporto di lavoro che il contratto collettivo richiede come presupposto per la sanzione espulsiva. Una lezione importante sulla necessità di un’interpretazione rigorosa e sistematica delle fonti che regolano il rapporto di lavoro.

Una condotta aggressiva e attiva può rientrare nel concetto di “mancanza” punibile con sanzioni conservative?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che il termine “mancanza” previsto dal CCNL include qualsiasi tipo di violazione dei doveri, sia essa realizzata tramite un’azione (condotta commissiva/attiva) sia tramite un’omissione.

Qual è il criterio principale per distinguere una sanzione conservativa dal licenziamento disciplinare?
Secondo la sentenza, il criterio distintivo fondamentale (il “discrimen”) non è la natura attiva o passiva della condotta, ma il suo grado di gravità. La gravità è un parametro che serve a graduare tutte le sanzioni, da quelle più lievi a quelle espulsive.

Un atto aggressivo compiuto nel parcheggio aziendale prima dell’inizio del turno giustifica automaticamente il licenziamento?
No, non automaticamente. La Corte ha specificato che, ai sensi della norma contrattuale applicata nel caso di specie, il licenziamento è giustificato per gravi infrazioni o atti delittuosi che siano “in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro”. Se tale connessione non viene provata, il licenziamento può essere ritenuto illegittimo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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