Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20394 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20394 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21724-2024 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 484/2024 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 21/08/2024 R.G.N. 648/2023 ; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
LICENZIAMENTO DISCIPLINARE
R.G.N. 21724/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 14/05/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Venezia, in conformità al provvedimento del giudice di prime cure, ha parzialmente accolto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE per l’accertamento dell a illegittimità del licenziamento intimato per giusta causa in data 17.3.2022 nella misura limitata del riconoscimento del periodo di preavviso.
La Corte territoriale ha ritenuto legittimo il licenziamento (salvo riconoscimento del diritto di preavviso) rilevando che il provvedimento era stato determinato da alcune gravi frasi minacciose rivolte ad un collega di lavoro (più giovane e privo di stabilità contrattuale), durante lo svolgimento delle mansioni, frasi aventi un duplice intento ‘diseducativo’, ossia quello di rendere il collega infedele al datore di lavoro intimandogli di ridurre il suo standard di produttività nonché la finalità di sottrarsi al controllo datoriale, con conseguente inammissibile interferenza con l’organizzazione aziendale.
Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. La società ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto di valorizzare, ai fini della valutazione della legittimità del licenziamento, tutte le condotte menzionate nella lettera di contestazione disciplinare, anche quelle che nella lettera di recesso erano citate solamente
quale premessa dell’addebito. In particolare, nella lettera di contestazione disciplinare il datore di lavoro non aveva valorizzato una mancanza di rispetto verso i superiori.
Il motivo non è fondato.
2.1. Come evidenziato dalla sentenza impugnata (e trascritto nel ricorso per cassazione), la lettera di contestazione disciplinare descriveva analiticamente i fatti occorsi nella giornata del 4.3.2022 e in quella del 7.3.2022 e solamente su tali condotte i giudici del merito hanno concentrato la loro valutazione in ordine alla legittimità del licenziamento.
2.2. Questa Corte ha ripetutamente affermato che la specificità della contestazione disciplinare ai sensi dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 deve riferirsi al fatto materiale e non alla sua qualificazione giuridica, che è rimessa all’interpretazione del giudice (Cass. n. 7778/2025; Cass. n. 16190/2002, Cass. n. 10761/1997; Cass. n. 10154/2017).
Con il secondo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 9 e 10 del CCNL settore Industria Metalmeccanica nonché 3 della legge n. 604 del 1966, avendo, la Corte territoriale, errato nel ritenere punibile con il licenziamento (con preavviso) la condotta -da ritenersi esclusivamente integrata in una condotta minacciosa verso un collega -tenuta dal COGNOME, considerato che la contrattazione collettiva applicabile prevede il licenziamento per la rissa tra dipendenti, quindi deve logicamente essere punita con sanzione conservativa la condotta che è limitata al piano verbale delle minacce.
Con il terzo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione degli artt. 3 della legge n. 604 del 1966 e 2119 c.c. avendo, la Corte territoriale,
effettuato una ricostruzione lacunosa degli eventi addebitati al lavoratore, posto che il COGNOME aveva esortato il collega al rispetto delle regole (con riguardo alle pause pranzo e ai collaudi), trascurando, altresì, l’anzianità di servizio e l’assenza di precedenti disciplinari. La Corte ha, inoltre, ricostruito la condotta secondo standard che non trovano riscontro nella coscienza sociale, posto che pensare che in fabbrica ci si debba attendere una maggiore continenza verbale rispetto ad altri ambienti di lavoro è
5. I motivi sono infondati.
Pur volendo tralasciare il rilievo -determinante -della inammissibile prospettazione di un più appagante coordinamento dei riscontri probatori acquisiti (che si risolvono nell’unilaterale contrapposizione di un diverso inquadramento dei dati di fatto, limitato ad una condotta minacciosa del lavoratore), come costantemente affermato da questa Corte, la giusta causa di licenziamento, quale fatto “che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, è una nozione che la legge configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama; è solo l’integrazione giurisprudenziale, a livello generale ed astratto, della nozione di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge; mentre l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo, così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, (cfr. Cass. n. 7838/
2005; Cass. n. 21214/2009; Cass. n. 6901/2016; Cass. n. 18715/2016; Cass. n. 13534/2019; Cass. n. 12789/2022; Cass. n. 7029/2023; Cass. n. 3927/2024).
6.1. Si è precisato, inoltre, che il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso -istituzionalmente rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione di gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, e tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (legge n. 604 del 1966, art. 3) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.), (cfr. Cass. n. 14504/2019, con richiamo a Cass. n.18715/2016; Cass. n. 21965/2007; Cass., n. 25743/2007).
6.2. Dalla natura legale della nozione deriva simmetricamente che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi abbia valenza solo esemplificativa, sicché non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all’idoneità di un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (Cass. n. 2830/2016; Cass. n. 4060/2011, Cass. n. 5372/2004; v. pure Cass. n. 27004/2018).
6.3. In sostanza, in materia disciplinare, l’apprezzamento della giusta causa di recesso rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, tenuto a valorizzare elementi concreti, di
natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, coerenti con la scala valoriale del contratto collettivo, oltre che con i principi radicati nella coscienza sociale, idonei a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario (cfr., Cass. n. 28492/2018, Cass. n. 9396/2018; Cass. n. 27238/2018). Si è sottolineato come il potere del giudice di valutare la legittimità del licenziamento disciplinare, quanto alla proporzionalità della sanzione, anche attraverso le previsioni contenute nei contratti collettivi, trova un fondamento normativo nella legge n. 183 del 2010, il cui art. 30, comma 3, statuisce: “nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l’assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni” (v. da ultimo Cass. n. 11665 del 2022).
6.4. Il principio generale finora esposto subisce eccezione ove la previsione negoziale ricolleghi ad un determinato comportamento giuridicamente rilevante solo una sanzione conservativa ovvero quando il comportamento possa essere sussunto nell’ambito di una clausola generale ed elastica del CCNL. Secondo l’indirizzo consolidato (v. da ultimo Cass. 11665/2022 e precedenti ivi richiamati), il datore di lavoro non può irrogare un licenziamento disciplinare quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dalla fonte collettiva per una determinata infrazione. Ed infatti, condotte che pur astrattamente sarebbero suscettibili di integrare una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo di recesso ai sensi di legge non possono rientrare nel relativo novero se
l’autonomia collettiva le ha espressamente escluse, prevedendo per esse sanzioni meramente conservative.
6.5. Questa Corte ha, altresì, affermato che l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. compiuta dal giudice di merito – mediante la valorizzazione o di principi che la stessa disposizione richiama o di fattori esterni relativi alla coscienza generale ovvero di criteri desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali ma anche dalla disciplina particolare, collettiva appunto, in cui si colloca la fattispecie ‘è sindacabile in Cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale’ (cfr. Cass. n. 13534/2019; nello stesso senso, Cass. n. 985/2017; Cass. n. 5095/2011; Cass. n. 9266/2005).
6.6. Nel caso in esame, la Corte d’appello ha condotto la sua valutazione in conformità ai principi di diritto richiamati ed ha ancorato la gravità della condotta e la connessa proporzionalità della sanzione espulsiva (peraltro, riqualificata come licenziamento per giustificato motivo soggettivo, con diritto del lavoratore al pagamento del periodo di preavviso) ad una duplice caratteristica: l’essersi la condotta concretizzata nella violazione di regole basilari che regolano la convivenza sociale, poste a tutela della libertà morale della persona quale bene giuridico primario e tali da ricevere protezione di rango penale (la condotta gravemente minacciosa e intimidatoria tenuta dal COGNOME); il rilievo della ingerenza nella organizzazione datoriale, con rigu ardo alle indicazioni date al collega (fra l’altro
in condizioni di precarietà, vista la sua condizione non ancora stabilizzata all’interno dell’impresa) circa le modalità di fruizione delle pause e i limiti di contenimento della produttività dei dipendenti. Inoltre, il ricorrente non ha indicato alcuna previsione sanzionatoria, tipizzata o di carattere generale, di natura conservativa dettata dal CCNL applicato nella quale sussumere la complessa ed articolata condotta tenuta dal COGNOME.
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 maggio 2025.
Il Presidente dott.ssa NOME COGNOME