Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15569 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 15569 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.
2148/2021 r.g., proposto da
COGNOME NOME , elett. dom.to in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO.
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 454/2020 pubblicata in data 13/11/2020, n.r.g. 133/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 04/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME aveva lavorato alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE dal 12/12/2017 con inquadramento nel 4^ livello ccnl industria metalmeccanica e con mansioni di impiegato di magazzino.
A seguito di contestazione disciplinare del 12/02/2019, con cui gli era stato addebitato un furto in azienda perpetrato mediante l’uso della chiavetta
OGGETTO:
licenziamento disciplinare apprezzamento della prova – riserva al giudice di merito
elettronica n. 22 per disinserire l’antifurto, era stato licenziato per giusta causa con lettera del 25/02/2019 senza che egli avesse reso o chiesto di rendere giustificazioni, trasmesse alla società soltanto il giorno dopo il licenziamento.
Quindi il COGNOME adìva il Tribunale di Torino per ottenere la declaratoria di nullità e di illegittimità del recesso datoriale perché discriminatorio e comunque per insussistenza del fatto addebitato, nonché la condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate o, in subordine, alla riassunzione o in mancanza al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 8 L. n. 604/1966.
2.Instauratosi il contraddittorio, espletata l’istruttoria, il Tribunale rigettava le domande.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dal COGNOME.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
il fatto del furto commesso nella notte del 19/12/2018 deve ritenersi pacifico perché non contestato e comunque provato sia dalla ripresa del sistema di videosorveglianza prodotta dalla società (CD-Rom doc. 14), sia dalle deposizioni rese da tutti i testimoni escussi in primo grado;
la produzione in giudizio, da parte della società, dei tabulati RAGIONE_SOCIALE relativi all’uso del telecomando e dell’antifurto afferenti solo ai giorni 24 e 25 novembre 2018 e non anche la notte del furto non ha alcun rilievo, trovando ciò spiegazione nel fatto che il COGNOME si difese allegando solo di non essere mai entrato in possesso della chiavetta n. 22, senza contestare né il furto, né le relative modalità di realizzazione come indicate nella lettera di contestazione disciplinare;
le immagini della videosorveglianza non consentono alcuna identificazione dell’intruso e neppure di verificare che lo stesso avesse una corporatura più massiccia e fosse più alto del COGNOME, anche perché di quest’ultimo non sono noti né l’altezza né il pes o, neppure indicati nell’appello;
l’esistenza della chiavetta elettronica n. 22 deve ritenersi pacifica e comunque provata sia dalla documentazione prodotta dalla società, sia dalle deposizioni dei testi COGNOME e COGNOME;
per accedere ai locali aziendali il ladro utilizzò strumenti aziendali, ossia il telecomando in precedenza assegnato al Berruto, il cui rapporto di lavoro era cessato da tempo, e la chiavetta n. 22, nonché il codice personale del COGNOME;
ciò fa escludere che il ladro fosse una persona estranea all’azienda, come confermato anche dal tempo esiguo (6 minuti) impiegato dal ladro per perpetrare il furto;
il codice personale utilizzato per entrare nello stabilimento era quello del COGNOME, ma era pacificamente utilizzato anche dal COGNOME che non ne aveva uno proprio;
ogni dipendente aveva una chiavetta necessaria per inserire e disinserire l’antifurto prima di accedere nello stabilimento;
ad ogni chiavetta era stato associato un numero dalla società di videosorveglianza e a quella in dotazione al COGNOME era stato associato il n. NUMERO_DOCUMENTO;
ogni chiavetta era materialmente indistinguibile dalle altre;
vi era una chiavetta con il n. associato 22 che era ‘di riserva’, non associata ad alcun dipendente, che veniva conservata nel cassetto della scrivania del COGNOME;
dallo storico del sistema antifurto della RAGIONE_SOCIALE si ricava che il giorno 24/11/2018 alle ore 11,27 venne inserito l’antifurto con la chiavetta n. 62 e dopo qualche secondo disinserito sempre con la medesima chiavetta n. 62;
quello stesso giorno alle ore 14,09 venne inserito l’antifurto con la chiavetta n. 22, disinserito alle ore 14,10 con la chiavetta n. 22 e poi di nuovo inserito sempre con la chiavetta n. 22 alle ore 14,11,19;
dalle prove è emerso che quello stesso giorno 24/11/2018 il COGNOME, dovendo restare solo in azienda, era stato accompagnato fuori dal COGNOME e da tale COGNOME, per mostrargli come inserire l’antifurto;
quel giorno il COGNOME uscì alle ore 12,11 ed il COGNOME alle ore 13,27, sicché effettivamente il COGNOME rimase solo ed uscì solo alle ore 14,20;
il teste COGNOME, indifferente all’esito della causa, ha dichiarato di aver effettuato le stampe dei tabulati e di aver constatato che la chiavetta n. 22 era stata utilizzata la notte del furto e che dal 24/11/2018 fino alla notte del furto non era stata più utilizzata;
è dunque logico pensare che il COGNOME abbia sottratto la chiavetta n. 22, che era custodita in un cassetto della scrivania del COGNOME, quello stesso giorno 24/11/2018, approfittando del fatto di essere rimasto solo dalle ore 13,27 in poi;
l’utilizzo da parte del COGNOME della chiavetta nTARGA_VEICOLO all’uscita dalla sede aziendale quel pomeriggio del 24/11/2018 è stato frutto di ingenuità o forse di errore, visto che le chiavette non si distinguevano l’una dall’altra;
resta quindi da chiedersi il motivo per cui il COGNOME, già in possesso di una sua chiavetta (la n. 62), abbia deciso di impossessarsi di quella n. 22 e di utilizzarla prima di uscire dallo stabilimento il 24/11/2018;
la risposta è che egli intendeva utilizzare quella chiavetta per disinserire l’antifurto in qualche momento successivo, senza che tale operazione fosse a lui riconducibile;
non vi è poi dubbio che sia l’impossessamento dei beni aziendali (il telecomando del Berruto e la chiavetta n. 22), sia la commissione del furto la notte del 19/12/2018 sono comportamenti assolutamente idonei a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario.
4.- Avverso tale sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
5.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso e poi ha depositato memoria.
6.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2697 c.c. e 5 L. n. 604/1966 per avere la Corte territoriale posto a suo carico un onere probatorio invece gravante esclusivamente sul datore di lavoro, laddove ha affermato che ‘ il COGNOME non ha mai spiegato il motivo per cui fosse in possesso della TARGA_VEICOLO, limitandosi a sostenere di non averla mai presa ‘.
Il motivo è infondato.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno ritenuto assolto l’onere probatorio gravante sul datore di lavoro attraverso una moltitudine di indizi, tutti gravi, precisi e concordanti, relativi a fatti tutti pienamente dimostrati nella loro storicità sia dalla documentazione prodotta dalla società, sia dalle deposizioni testimoniali. In questo contesto, la frase estrapolata dalla motivazione, riportata dal ricorrente, non ha avuto alcuna incidenza sul convincimento della Corte e quindi alcuna efficacia invalidante della relativa decisione. I giudici di appello si sono limitati a riportare la linea difensiva del COGNOME ed hanno aggiunto che la circostanza da lui dedotta -ossia di non aver mai preso la chiavetta n. TARGA_VEICOLO -era ‘ risultata platealmente smentita ‘ (v. sentenza impugnata, p. 28). Dunque nessuna inversione dell’onere probatorio è stata compiuta.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ dell’art. 115 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto provata la verificazione del furto e delle relative modalità sulla base del principio di non contestazione.
Il motivo è inammissibile, perché non investe l’altra ratio decidendi -pure espressa dalla Corte territoriale e di natura autonoma perché da sola idonea a sorreggere la decisione -secondo cui il furto e le relative modalità trovano ‘ conferma sia nella ripresa del sistema di videosorveglianza prodotta dalla società RAGIONE_SOCIALE sia nelle deposizioni rese da tutti i testi escussi (COGNOME COGNOME … COGNOME) e, infine, anche nella denuncia presentata da AVV_NOTAIO NOME COGNOME (v. sentenza impugnata, p. 15).
Va allora ribadito che quando la sentenza impugnata con ricorso per cassazione sia fondata su diverse rationes decidendi , ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata (Cass. n. 13880/2020), o comunque per carenza di interesse. Infatti, anche laddove fosse accolto il motivo di ricorso, comunque la sentenza impugnata non potrebbe essere cassata, in quanto autonomamente e sufficientemente sostenuta dall’altra ratio decidendi non censurata.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 115 e 116 c.p.c.
per avere la Corte territoriale, al cospetto di una pluralità di fatti storici, ognuno portatore di una propria valenza indiziaria, proceduto logicamente ad una scomposizione atomistica degli stessi.
Il motivo è inammissibile.
In primo luogo questa Corte ha più volte precisato che la questione della ‘violazione’ o della ‘falsa applicazione’ degli artt. 115 e 116 c.p.c. è ammissibile dinanzi alla Corte di legittimità solo se si alleghi che il giudice di appello abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, oppure prove disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, oppure abbia disatteso prove legali, oppure abbia considerato come facenti piena prova (recependoli senza apprezzamento critico) elementi probatori soggetti invece a prudente valutazione (Cass. ord. n. 27000/2016; Cass. ord. n. 1229/2019; Cass. ord. n. 6774/2022). Nel caso in esame nessuna di tali evenienze è denunziata.
Dopo aver esaminato analiticamente tutti i fatti storici noti e dimostrati, dotati di valenza indiziaria, la Corte territoriale -contrariamente alla doglianza del ricorrente -ha proceduto ad una loro valutazione complessiva proprio per trarne l’univocità e la concordanza nel senso dell’unica ricostruzione possibile del fatto ignoto (ossia l’individuazione del soggetto ripreso dal sistema di videosorveglianza nella notte del 19/12/2018).
Inoltre il motivo difetta di autosufficienza, atteso che il ricorrente non spiega quale sarebbe dovuto essere il diverso giudizio di inferenza logicodeduttiva ricavabile da ciascuno di quegli elementi complessivamente e sinteticamente valutati, limitandosi a riportare principi generali in tema di prova indiziaria.
4.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi
dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data