Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11045 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11045 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21230/2024 r.g., proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrente
contro
COGNOME NOME , elett. dom.to in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 463/2024 pubblicata in data 11/10/2024, n.r.g. 226/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 05/03/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.NOME COGNOME era stato dipendente di Autostrade RAGIONE_SOCIALE fino al 23/02/2018, quando era stato licenziato per giusta causa sulla base della contestazione disciplinare del 15/01/2018, con cui gli era stato addebitato di avere ‘ con l ‘artificio consistente nel chiudere manualmente la sbarra chiudi -pista, fatto falsamente figurare che la pista Z59 della stazione di Bologna
OGGETTO:
licenziamento disciplinare – gravità della condotta accertamento in concreto
Casalecchio… risultasse attiva, nonostante la sbarra fosse abbassata ed il transito veicolare impedito; di avere riaperto la sbarra (che aveva chiuso alle ore 02:50) alle ore 03:45, soltanto dopo l’intervento dell’operatore della viabilità; di essere rimasto inattivo per 55 minuti (dalle ore 02.50 alle ore 03.45) all’interno della cabina; di avere con il suo comportamento creato disagi all’utenza e minato la sicurezza della circolazione ‘.
Il COGNOME adìva il Tribunale di Bologna per ottenere l’annullamento del licenziamento e la tutela c.d. reale di cui all’art. 18 L. n. 300/1970 .
2.Costituitosi il contraddittorio, all’esito della fase c.d. sommaria del rito introdotto dalla legge n. 92/2012, il Tribunale accoglieva la domanda e annullava il licenziamento. Ma poi, in accoglimento dell’opposizione della società, rigettava l’impugnazione del recesso datoriale.
3.Con la sentenza n. 290/2020 del 10/08/2020, la Corte d’Appello di Bologna rigettava il reclamo proposto dal COGNOME.
4.- Con sentenza n. 3883/2024 del 12/02/2024, questa Corte di legittimità accoglieva i primi due motivi del ricorso per cassazione del COGNOME relativi all’errata interpretazione della clausola collettiva e a ll’errata sussunzione della condotta contestata disciplinarmente nell’art. 36 CCNL; dichiarava assorbito il terzo motivo; cassava e rinviava alla medesima Corte territoriale, in diversa composizione.
5.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello, in sede di rinvio, accoglieva il gravame interposto dal COGNOME e, in riforma della sentenza di primo grado, annullava il licenziamento, ordinava alla società di reintegrare il COGNOME nel posto di lavoro e condannava la medesima società a pagare al lavoratore l’indennità risarcitoria pari alle retribuzioni mensili globali di fatto dal giorno del licenziamento fino alla reintegrazione nei limiti di dodici mensilità, nonché a versare i corrispondenti contributi previdenziali ed assistenziali.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
secondo la pronunzia rescindente, l’addebito disciplinare prescinde dalla violazione del modello organizzativo predisposto dalla società ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, ‘ non essendo sufficiente, a tal fine, la
generica contestazione al dipendente di avere creato disagi all’utenza e minato la sicurezza della circolazione ‘;
quindi occorre prendere atto dell’irrilevanza, ai fini disciplinari, già sul piano della contestazione, del riferimento al disagio all’utenza alla possibile compromissione della sicurezza della circolazione, trattandosi di addebito del tutto generico;
la contestazione disciplinare è dunque concentrata sulla ‘violazione degli obblighi imposti al dipendente dalle norme del codice civile, del contratto collettivo e del codice etico per avere agito contravvenendo ai doveri lavorativi e in violazione dei principi di correttezza, lealtà e buona fede ‘ ;
la pronunzia rescindente produce un vincolo per il giudice di rinvio;
pertanto va solo compiuta in modo corretto la sussunzione della vicenda di fatto, non contestata nella predetta fisionomia, nelle disposizioni del contratto collettivo;
l’art. 36 CCNL prevede la sanzione del licenziamento ‘ qualora il lavoratore commetta gravi infrazioni alla disciplina o alla diligenza nel lavoro o provochi all’Azienda grave nocumento morale o materiale … ‘ e in via esemplificativa prevede alla lett. i) la ‘ mancata applicazione volontaria delle disposizioni impartite dall’Azienda al fine di trarre vantaggio per sé o per l’Azienda stessa ‘;
g)
dunque è necessario un quid pluris rispetto all’assunzione, da parte del lavoratore, del mero comportamento di infrazione alla disciplina del lavoro mediante la mancata applicazione volontaria di disposizioni di servizio;
come ha precisato la Corte di Cassazione in sede rescindente, questo fine di trarre vantaggio non può esaurirsi nell’inattività o nell’inoperosità, contestata in via disciplinare al COGNOME;
tale condotta di inattività o inoperosità è da ricondurre alle previsioni del codice disciplinare che prevedono la sanzione conservativa della sospensione, quali l’abbandono, anche temporaneo, del posto di lavoro affidato oppure la mancata esecuzione volontaria del lavoro nei termini e secondo le modalità richieste; la causazione colposa di danni ad impianti o materiali della società; la mancata applicazione delle
prescrizioni impartite dall’Azienda mediante direttive e disposizioni interne; la violazione del modello di organizzazione, gestione e controllo di cui al d.lgs. n. 231/2001 che ha comportato un’esposizione a rischio;
nel caso di specie la condotta contestata al COGNOME (chiusura manuale della sbarra ‘chiudi -pista’) rientra nella fattispecie della mancata applicazione delle prescrizioni impartite dall’Azienda mediante direttive e disposizioni interne;
trattasi di fattispecie che non prende in considerazione condotte soltanto colpose, ma anche volontarie e quindi dolose;
il richiamo ad artifici e raggiri, compiuto dalla società ma assente nella contestazione disciplinare, non è congruo, poiché conduce ad alterare i presupposti della valutazione che la Corte di Cassazione ha demandato al giudice di rinvio;
neppure quel richiamo può servire a rimarcare l’intento del lavoratore di sottrarsi all’adempimento della prestazione lavorativa, poiché la Suprema Corte in sede rescindente ha rilevato che l’unica conseguenza della condotta contestata è il riferimento al tempo di inattività lavorativa, aspetto questo che rappresenta il mero riflesso della violazione delle disposizioni aziendali realizzata con la condotta contestata , ma non integra il ‘vantaggio’ che deve costituire il fine specifico del lavoratore e un risultato ulteriore rispetto all’azione, risultato che non è stato neppure contestato;
la scala valoriale desumibile dal codice disciplinare si impernia sulla maggiore o minore gravità della condotta, sicché il licenziamento si giustifica nel caso in cui le infrazioni alla disciplina o alla diligenza siano gravi, oppure quando grave sia il danno che ne è derivato;
gli illeciti di mera condotta che esauriscono il loro disvalore nell’inadempimento sono invece presi in considerazione dalle fattispecie sanzionate con la misura conservativa della sospensione, quand’anche all’inadempimento faccia seguito la produzione di un rischio attuale o potenziale, così come la produzione colposa di un danno, come ad esempio per la fattispecie dell’abbandono, anche temporaneo, del proprio posto di lavoro senza preventiva
autorizzazione, oppure per la fattispecie dello svolgimento negligente del lavoro affidato;
in ogni caso la condotta addebitata al COGNOME non realizza un illecito di gravità maggiore di quella espressa dalle fattispecie punite con sanzione conservativa, posto che l’unica conseguenza specificamente contestata dalla società riguarda l’inattività lavorativa ;
posta la minore gravità, va richiamato l’insegnamento di Cass. n. 17306/2024 sulla rilevanza delle clausole generali al fine dell’esatta riconduzione della condotta contestata in via disciplinare alle previsioni di sanzioni conservative, sicché consegue la tutela di cui all’art. 18, co. 4, L. n. 300/1970 .
6.- Avverso tale sentenza Autostrade per RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.
7.- COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
8.- Le parti hanno depositato memoria.
9.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con l’unico motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la società ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 384 e 394 c.p.c., 36 CCNL autostrade e trafori per avere la Corte territoriale commesso due errori:
espunto dalla vicenda concreta tre profili -ossia gli artifici posti in essere dal COGNOME, il disagio arrecato all’utenza, il pericolo alla circolazione o alla sicurezza stradale -che, invece, se considerati avrebbero connotato in modo particolarmente grave l’addebito disciplinare;
erroneamente interpretato l’art. 36 CCNL sul piano della ricostruzione della scala valoriale.
Il motivo è infondato e a tratti inammissibile.
Sub a), contrariamente all’assunto della ricorrente, la Corte territoriale ha considerato gli artifici, ma li ha ritenuti irrilevanti perché non idonei ad integrare il ‘ vantaggio ‘ necessario per giustificare il licenziamento . Ha poi considerato il disagio arrecato all’utenza, ma lo ha ritenuto ugualmente non idoneo ad integrare quel quid pluris esattamente individuato -ai fini della sussunzione alla luce della sentenza rescindente -nel ‘ fine di trarre
vantaggio per sé o per l’Azienda ‘, espressamente previsto dall’ipotesi considerata dal CCNL come meritevole della massima sanzione espulsiva. Infine ha preso in esame anche il pericolo alla circolazione o alla sicurezza stradale, ritenendo da un lato che fosse, in astratto, elemento non idoneo ad integrare la fattispecie punita con il licenziamento, perché implicato anche in altre varie fattispecie espressamente punite ciononostante con sanzione conservativa (v. sentenza impugnata, p. 14, laddove vi è l’espresso riferimento all’abbandono, anche temporaneo, del posto di lavoro senza preventiva autorizzazione, punito con sanzione conservativa), dall’altro, in concreto, non tale da far assurgere la condotta contestata al COGNOME a quella gravità necessaria per giustificare il licenziamento (v. sentenza impugnata, p. 15).
Sub b) i giudici del rinvio hanno seguito le indicazioni derivanti dalla pronunzia rescindente di questa Corte ed hanno esattamente ricordato come anche clausole generali ed elastiche (ad esempio il grado di gravità) costituiscano un possibile e legittimo metodo delle parti sociali per tipizzare le fattispecie individuate come meritevoli di sanzione conservativa.
2.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in