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Licenziamento disciplinare: la falsa laurea lo giustifica

Un dipendente pubblico è stato licenziato per aver falsamente dichiarato di possedere una laurea in due diverse procedure di progressione economica. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento disciplinare, ritenendolo una sanzione proporzionata alla gravità della condotta. La Corte ha sottolineato che la dichiarazione mendace, intenzionale e ripetuta nel tempo, ha irrimediabilmente compromesso il rapporto fiduciario con l’amministrazione, a prescindere dal fatto che il titolo fosse o meno indispensabile per la progressione di carriera.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento Disciplinare: Falsa Laurea Costa il Posto di Lavoro

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di un licenziamento disciplinare nei confronti di un dipendente pubblico che aveva falsamente attestato il possesso di una laurea per ottenere progressioni di carriera. La decisione sottolinea l’importanza della lealtà e della buona fede nel rapporto di lavoro, principi che, se violati, possono portare alla sanzione più grave, anche se il titolo non era strettamente necessario per l’avanzamento.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un dipendente del Ministero dell’Economia e delle Finanze, licenziato per giusta causa nell’agosto 2021. L’addebito disciplinare era gravissimo: il lavoratore aveva partecipato a due procedure di progressione economica, una nel 2010 e una nel 2016, dichiarando in entrambe le occasioni di essere in possesso di un diploma di laurea. Successivamente, l’amministrazione aveva scoperto non solo che il dipendente non aveva mai conseguito la laurea, ma anche che aveva fornito un numero di matricola universitaria errato.

Il Tribunale di primo grado aveva inizialmente annullato il licenziamento, ritenendo l’azione disciplinare non tempestiva e la sanzione sproporzionata. Tuttavia, la Corte d’Appello di Roma aveva ribaltato la decisione, accogliendo il reclamo del Ministero. Secondo i giudici d’appello, la sanzione era proporzionata data l’intenzionalità e la reiterazione della condotta, che aveva leso il rapporto di fiducia e danneggiato sia l’amministrazione sia gli altri colleghi partecipanti alle selezioni. Il lavoratore ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte e il licenziamento disciplinare

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del dipendente, confermando in via definitiva la legittimità del licenziamento disciplinare. I giudici hanno dichiarato inammissibili i motivi di ricorso, in quanto tendevano a una rivalutazione dei fatti già accertati dalla Corte d’Appello, compito che non spetta alla Corte di legittimità.

La questione della tempestività della contestazione

Uno dei punti chiave del ricorso riguardava la presunta tardività dell’azione disciplinare. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: i termini perentori per la contestazione e la conclusione del procedimento disciplinare iniziano a decorrere non da un vago sospetto, ma dal momento in cui l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari acquisisce una ‘notizia di infrazione’ sufficientemente circostanziata. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente stabilito che il termine era stato rispettato, poiché le prime verifiche non erano state condotte dall’ufficio competente e non costituivano ancora una conoscenza completa e idonea a fondare una contestazione formale.

Proporzionalità del licenziamento disciplinare

Il cuore della controversia era la proporzionalità della sanzione espulsiva. La difesa del lavoratore sosteneva che, anche senza la laurea, avrebbe comunque ottenuto la progressione economica, rendendo la falsa dichiarazione ininfluente. La Cassazione ha respinto questa tesi, avallando pienamente il ragionamento della Corte d’Appello. La gravità della condotta non risiede solo nel risultato ottenuto, ma nella violazione fondamentale degli obblighi di correttezza, buona fede e trasparenza che devono governare il rapporto di lavoro, specialmente nel pubblico impiego. La condotta, intenzionale e ripetuta, ha irrimediabilmente compromesso il rapporto fiduciario.

le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla gravità intrinseca della condotta del lavoratore. La Cassazione ha evidenziato che la valutazione della proporzionalità non può basarsi su automatismi, ma deve tenere conto di tutti gli elementi del caso concreto. Nella fattispecie, sono stati valorizzati l’intenzionalità del comportamento, la sua reiterazione in due distinte occasioni a distanza di anni, e il danno arrecato all’Amministrazione e agli altri dipendenti. La falsa attestazione di un titolo di studio, indipendentemente dalla sua utilità pratica per ottenere il beneficio, rappresenta una grave violazione dei doveri fondamentali del dipendente, che minano alla base la fiducia necessaria per la prosecuzione del rapporto di lavoro. Pertanto, il comportamento del lavoratore è stato giudicato incompatibile con l’obbligo di prestare servizio con disciplina e onore.

le conclusioni

In conclusione, la sentenza ribadisce che la menzogna su titoli e qualifiche professionali costituisce una giusta causa di licenziamento disciplinare. La valutazione non si limita a verificare se il dipendente avrebbe ottenuto lo stesso risultato senza mentire, ma si concentra sulla lesione del vincolo fiduciario. Questa decisione serve da monito sull’importanza della trasparenza e dell’integrità nel rapporto di lavoro, confermando che la violazione di tali principi può giustificare la sanzione più severa prevista dall’ordinamento.

Quando una falsa dichiarazione su un titolo di studio può portare al licenziamento disciplinare?
Quando la condotta, valutata nel suo complesso, risulta talmente grave da ledere in modo irreparabile il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. Elementi come l’intenzionalità, la ripetizione nel tempo della menzogna e il contesto (es. procedure di avanzamento di carriera) sono determinanti per giudicare la proporzionalità della sanzione espulsiva.

Da quale momento decorre il termine per la contestazione disciplinare nel pubblico impiego?
Il termine perentorio per avviare il procedimento disciplinare decorre dal momento in cui l’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari (UPD), e non un qualsiasi altro ufficio, acquisisce una notizia dell’infrazione completa e sufficientemente dettagliata da consentire una corretta formulazione dell’addebito. Una mera segnalazione generica non è sufficiente a far scattare il termine.

Il licenziamento è automatico in caso di falsa dichiarazione o va sempre valutata la proporzionalità?
No, il licenziamento non è mai automatico. La sentenza ribadisce che il giudice deve sempre effettuare una valutazione sulla proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità del fatto commesso. Tuttavia, una condotta come la falsa e ripetuta dichiarazione di un titolo di studio viene considerata di per sé molto grave, in quanto viola i principi fondamentali di correttezza e buona fede.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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