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Licenziamento disciplinare: la Cassazione decide

Un comune ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello che aveva annullato il licenziamento disciplinare di un’agente di polizia locale, convertendolo in una sospensione. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del comune inammissibile, confermando che la valutazione sulla proporzionalità della sanzione è di competenza del giudice di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità se non per vizi logici o giuridici, qui non riscontrati.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento disciplinare: quando la sanzione è sproporzionata?

Il licenziamento disciplinare rappresenta la sanzione più grave nel rapporto di lavoro, specialmente nel pubblico impiego. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini del controllo di legittimità sulla valutazione di proporzionalità della sanzione, confermando la decisione di un giudice di merito che aveva annullato un licenziamento, convertendolo in una sospensione. Questo caso offre spunti cruciali per comprendere i limiti del potere disciplinare del datore di lavoro e il ruolo dei diversi gradi di giudizio.

I Fatti di Causa: Dalle Sanzioni Conservative al Licenziamento

La vicenda riguarda un’agente del corpo di polizia locale alle dipendenze di un Comune. La lavoratrice era stata destinataria di un licenziamento disciplinare a seguito di un procedimento che si aggiungeva ad altri otto precedenti, i quali avevano già comportato l’irrogazione di altrettante sanzioni conservative. La condotta contestata, sommata alla recidiva, aveva spinto l’ente a optare per la massima sanzione espulsiva.

La Decisione della Corte d’Appello: Il Licenziamento è Sproporzionato

Contrariamente al giudizio di primo grado, la Corte d’Appello ha accolto la domanda della lavoratrice. Pur riconoscendo la sussistenza dell’illecito disciplinare e la recidiva, i giudici di secondo grado hanno ritenuto la sanzione del licenziamento sproporzionata. La Corte ha osservato che anche le precedenti sanzioni conservative erano, a loro volta, sproporzionate rispetto alle mancanze. Di conseguenza, ha annullato il licenziamento, disposto la reintegrazione della lavoratrice e rideterminato la sanzione in una sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per quattro mesi. La decisione si fondava su una valutazione complessiva della gravità della condotta, ridimensionata rispetto a quanto sostenuto dal Comune.

Il Ricorso per Cassazione e il Principio di Proporzionalità del Licenziamento disciplinare

Il Comune ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando principalmente due aspetti: l’incongruità logica e giuridica della sentenza d’appello, che pur riconoscendo la rilevanza disciplinare dei fatti aveva negato la proporzionalità del licenziamento, e l’omesso esame dell’elemento dell’intenzionalità della condotta della dipendente. Il datore di lavoro pubblico sosteneva che la reiterazione di comportamenti ingiuriosi verso una dirigente avrebbe dovuto legittimare il licenziamento senza preavviso.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i motivi di ricorso inammissibili. Gli Ermellini hanno chiarito che il ricorso del Comune non evidenziava un reale vizio di violazione di legge o un’illogicità manifesta nella motivazione della Corte d’Appello. Piuttosto, il Comune tentava di ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti e della gravità della condotta, un’operazione preclusa in sede di legittimità. La valutazione della proporzionalità della sanzione è un giudizio di fatto che spetta al giudice di merito. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella della Corte territoriale, a meno che quest’ultima non sia fondata su un ragionamento palesemente illogico o contraddittorio, cosa che non è stata ravvisata nel caso di specie.

Conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale: il giudizio sulla proporzionalità di un licenziamento disciplinare è di competenza esclusiva dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti della causa. Il datore di lavoro che impugna una sentenza sfavorevole deve dimostrare un errore di diritto o un vizio logico insanabile nella motivazione, non semplicemente sostenere che la propria valutazione della gravità dei fatti fosse più corretta. Questa decisione riafferma la centralità dell’accertamento di fatto operato nei primi due gradi di giudizio e pone un chiaro limite ai tentativi di rimettere in discussione tali valutazioni davanti alla Suprema Corte.

È possibile licenziare un dipendente pubblico per una serie di mancanze disciplinari, anche se singolarmente non gravissime?
Sì, la recidiva e la pluralità di mancanze sono rilevanti per la valutazione disciplinare. Tuttavia, la sanzione finale del licenziamento deve essere proporzionata alla gravità complessiva della condotta, tenendo conto anche della adeguatezza delle sanzioni conservative precedentemente irrogate.

La Corte di Cassazione può riesaminare se un licenziamento disciplinare era giusto o sproporzionato?
No, la valutazione della proporzionalità della sanzione è un giudizio di fatto riservato ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). La Corte di Cassazione può intervenire solo se il ragionamento del giudice di merito è viziato da un errore di diritto o da un’illogicità manifesta, ma non può sostituire la propria valutazione dei fatti.

Cosa significa che un ricorso in Cassazione è ‘inammissibile’?
Significa che il ricorso non viene esaminato nel merito perché non rispetta i requisiti di legge. In questo caso, il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, invece di denuncrare una violazione di norme di diritto, cercava di ottenere una nuova valutazione della gravità della condotta e della proporzionalità della sanzione, attività non consentita in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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