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Licenziamento disciplinare: confermato per il dirigente

La Corte di Cassazione ha confermato il licenziamento disciplinare di un dirigente di un ente locale. Il dirigente si era autoliquidato per anni indennità di posizione e di risultato senza la preventiva costituzione del fondo previsto dalla normativa, inducendo in errore il Sindaco. La Corte ha ritenuto tale condotta, caratterizzata da dolo e reiterate violazioni di legge, una lesione irreparabile del rapporto di fiducia (vulnus fiduciario), giustificando pienamente il recesso per giusta causa. Il ricorso del dipendente è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento disciplinare: la Cassazione fa il punto sulla condotta dolosa del dirigente pubblico

Il licenziamento disciplinare nel pubblico impiego rappresenta la sanzione più grave che l’amministrazione può irrogare a un proprio dipendente. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di un provvedimento espulsivo nei confronti di un dirigente di un ente locale, colpevole di essersi auto-attribuito per anni emolumenti non dovuti. La decisione offre importanti spunti di riflessione sulla gravità di tali condotte e sul concetto di lesione del rapporto fiduciario.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un dirigente, unico responsabile dell’area economico-finanziaria e del personale di un Comune, che a partire dal 2009 aveva percepito la parte variabile della sua retribuzione, composta da indennità di posizione e di risultato, senza che fosse mai stato costituito l’apposito fondo previsto dal Contratto Collettivo Nazionale. Questa condotta, protrattasi per molti anni, aveva permesso al dirigente di ottenere un notevole vantaggio economico, sottraendo risorse pubbliche ad altre finalità. Inoltre, egli aveva indotto il Sindaco a firmare i decreti di attribuzione di tali indennità e aveva omesso la pubblicazione dei dati relativi alle sue retribuzioni sul sito istituzionale, comunicandoli solo a seguito di una specifica richiesta nel 2016.

Mentre il Tribunale di primo grado aveva annullato il licenziamento, la Corte d’Appello ha riformato la decisione, ritenendo la condotta del dirigente di un’assoluta illiceità, qualificata da dolo e aggravata da prassi palesemente contra legem. Secondo i giudici di secondo grado, queste azioni avevano causato un vulnus insanabile al rapporto di fiducia, rendendo inevitabile il licenziamento.

L’analisi della Corte sul licenziamento disciplinare

Il dirigente ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su quattro motivi principali:
1. Carenza di motivazione: La Corte d’Appello avrebbe modificato la valutazione del primo giudice senza un’adeguata giustificazione.
2. Tolleranza dell’amministrazione: L’inerzia dei vertici amministrativi per oltre un decennio avrebbe dovuto essere considerata come un’attenuante.
3. Mancanza di proporzionalità: La sanzione del licenziamento sarebbe sproporzionata rispetto alla condotta.
4. Omesso esame di un fatto decisivo: La mancata considerazione di una sentenza della Corte dei Conti che avrebbe attenuato la sua responsabilità.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure. I giudici hanno chiarito che le argomentazioni del ricorrente si risolvevano in una mera richiesta di rivalutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. La Corte d’Appello, infatti, aveva operato un apprezzamento discrezionale, ma logico e ben motivato, degli elementi di prova.

La Cassazione ha sottolineato diversi punti cruciali:
* Profilo oggettivo: La condotta consisteva nell’autoliquidarsi ingenti somme non dovute, in palese contrasto con norme di legge e contrattuali.
* Profilo soggettivo (Dolo): L’elemento psicologico del dolo era evidente, data la posizione apicale del dirigente, unico esperto in materia economico-finanziaria dell’ente. La Corte ha ritenuto irrilevante l’inerzia dei vertici amministrativi, riconducendola alla comprovata incompetenza del Sindaco in materia, fatto che rafforzava la valutazione di un’azione deliberata e cosciente da parte del dirigente.
* Irreparabile lesione del rapporto fiduciario: La gravità oggettiva e soggettiva della condotta, unita alla posizione di alta responsabilità del dipendente, giustificava ampiamente la valutazione di un danno insanabile al legame di fiducia, fondamento del rapporto di lavoro, specialmente nel settore pubblico.

Le Conclusioni

La sentenza consolida il principio secondo cui la posizione di alta responsabilità di un dirigente pubblico comporta un dovere di diligenza e correttezza particolarmente elevato. La violazione sistematica e dolosa delle norme, finalizzata a un profitto personale a danno dell’ente, costituisce una giusta causa di licenziamento disciplinare. La tolleranza o l’inerzia dell’amministrazione non possono né sanare né attenuare una condotta contra legem, specialmente quando il dipendente stesso ha il dovere di garantirne il rispetto. La decisione della Cassazione ribadisce quindi la centralità del vincolo fiduciario e la necessità di sanzionare con la massima severità i comportamenti che lo compromettono in modo irreparabile.

È legittimo il licenziamento disciplinare di un dirigente che si autoliquida indennità non dovute?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che tale condotta, se caratterizzata da dolo e violazione di precise norme di legge e contrattuali, costituisce una lesione irreparabile del rapporto fiduciario e giustifica il licenziamento per giusta causa.

L’inerzia dell’amministrazione nel sanzionare una condotta illecita la rende meno grave?
No. Secondo la sentenza, la prolungata inerzia dei vertici amministrativi non attenua la responsabilità del dipendente, specialmente se tale inerzia è dovuta alla mancanza di competenze specifiche del superiore gerarchico (in questo caso, il Sindaco) e la condotta rimane palesemente illegittima (contra legem).

Il giudice d’appello può valutare i fatti in modo diverso dal giudice di primo grado?
Sì. Il giudice d’appello ha il potere di procedere a una nuova e autonoma valutazione dei fatti e delle prove. La sua decisione, se correttamente motivata, non è sindacabile dalla Corte di Cassazione, la quale non può riesaminare il merito della vicenda ma solo verificare la corretta applicazione delle norme di diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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