Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33313 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33313 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 14515-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME;
– intimato –
E SUL RICORSO SUCCESSIVO SENZA N.R.G. proposto da:
COGNOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente successivo –
Oggetto
Licenziamento disciplinare
R.G.N.14515/2022
COGNOME
Rep.
Ud.19/11/2024
CC
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente al ricorso successivo –
avverso la sentenza n. 280/2022 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 30/03/2022 R.G.N. 588/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che
La Corte d’appello di Messina ha accolto in parte il reclamo principale della RAGIONE_SOCIALE e, in parziale riforma della sentenza di primo grado (che aveva applicato l’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970 come modificato dalla legge 92 del 2012), ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro di NOME COGNOME a far data dal licenziamento ed ha condannato la società al pagamento dell’indennità risarcitoria liquidata in misura pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di atto, ai sensi del novellato art. 18, comma 5.
La Corte territoriale ha premesso che al COGNOME, operaio addetto alla pulizia dei caselli autostradali e delle aree di sosta, era stato contestato di avere, in data 13.7.2015 durante il turno di servizio sulla A20, caricato sul mezzo aziendale un capo di bestiame rinvenuto nel terreno adiacente la sede autostradale e trasportato lo stesso fino alla propria abitazione; che con lettera del 4.4.2015 era stato intimato il licenziamento per avere il dipendente ‘utilizzato il mezzo affidatogli per uso improprio a suo esclusivo vantaggio, interrompendo la
prestazione di lavoro e non espletando il turno di servizio; di aver messo a repentaglio l’immagine aziendale esponendo la società a possibili azioni, anche giudiziali, da parte di terzi; di aver esposto la società nei confronti del Consorzio Autostrade sia per il mancato espletamento del turno di servizio sia per aver commesso un fatto suscettibile di querela penale e tale da comportare la risoluzione del contratto di appalto in essere ‘; che la decisione di recesso era stata adotta a fronte della quali ficazione dell’addebito come ‘grave insubordinazione’, sotto il duplice profilo della interruzione del servizio e del danno ai mezzi aziendali, e per il ‘notevole e colposo inadempimento contrattuale’, aspetti entrambi rilevanti ai fini dell’art. 48, lett. A del c.c.n.l. applicato.
3. I giudici di appello hanno considerato indubbio ‘l’intento acquisitivo perseguito dal Fontana, ad evidente fine di lucro personale, con il trasporto dell’ovino e l’allocazione dello stesso presso casa propria (essendo) acclarato, per stessa ammissione dell’interessato, che l’animale fosse legato sul luogo di rinvenimento e come tale non libero di muoversi, il che sconfessa l’assunto della sua rimozione per ragioni di sicurezza della circolazione stradale, né costituente res derelicta suscettibile di appr opriazione in forma legittima’. Hanno condiviso la valutazione del tribunale sul difetto di prova della contestata interruzione del servizio (‘il turno giornaliero non può dirsi cessato prima del previsto’) e del rischio di lesione dell’immagine aziendale (‘neppure astrattamente configurabile poiché impedita dal carattere personale della responsabilità penale’). Hanno escluso la riconducibilità dell’addebito alla previsione di cui all’art. 48, lett. B capo g), poiché richiedente un quid pluris fattuale – l’esecuzione di lavori con impiego di materiali dell’azienda – che non aveva formato oggetto di
contestazione ed inoltre perché configurante una ipotesi di recesso per giusta causa, là dove la società aveva intimato il licenziamento per giustificato motivo soggettivo con preavviso, richiamando espressamente l’art. 48, lett. A del c.c.n.l. Hanno appurato che la recidiva non era stata previamente contestata bensì menzionata dalla società solo nella lettera di licenziamento, quale ulteriore dato a supporto della sanzione espulsiva adottata. Hanno parimenti escluso che la condotta addebitata potesse legittimare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo sul rilievo che le ipotesi esemplificative elencate nel citato art. 48, lett. A, attenessero a infrazioni significativamente più gravi rispetto alla condotta del Fontana, non essendovi peraltro pro va ‘di ripercussioni sul turno di servizio, né tantomeno di danni al mezzo aziendale, (né essendo) ancora profilabile una grave insubordinazione, avendo il lavoratore provveduto alla restituzione del bene ove l’aveva trovato una volta ricevuta l’intimazion e del datore’. Per i giudici di appello il fatto contestato era riconducibile all’art. 47, lett. i), del c.c.n.l. che commina una sanzione conservativa. Essi, tuttavia, rilevata la mancata coincidenza della condotta contestata con quelle tipizzate dalla contrattazione collettiva, hanno ritenuto applicabile la previsione di cui all’art. 18, comma 5 cit.
Avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. NOME COGNOME ha proposto autonomo ricorso, da qualificare come incidentale (v. Cass. n. 13178 del 2017; n. 25662 del 2014; n. 26723 del 2011), affidato ad un unico motivo, cui la società ha resistito con controricorso. È stata depositata memoria nell’interesse del lavoratore.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che
Ricorso principale della RAGIONE_SOCIALE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 7 St. lav. e degli artt. 46 e 48 del c.c.n.l. RAGIONE_SOCIALE per avere la Corte d’appello escluso che l’addebito pote sse rientrare sotto la previsione dell’art. 48 lett. B, capo g). La società evidenzia che il citato capo g) descrive la condotta sanzionabile come ‘esecuzione senza permesso di lavori nell’azienda per conto proprio o di terzi, di non lieve entità e con l’impiego di materiale dell’azienda’ ed osserva di avere contestato al dipendente l’uso improprio del mezzo aziendale a proprio esclusivo vantaggio.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 46 e 48 del c.c.n.l. Pulizia Multiservizi e dell’art. 1362 e ss. c.c. per errata interpretazione e applicazione delle norme contrattuali. La società premette che l’art. 46 c.c.n.l. enumera tra i provvedimenti disciplinari il ‘licenziamento per mancanze ai sensi dell’art 48’, senza distinguere tra quello con preavviso e senza preavviso. Assume che, nonostante la scelta datoriale di licenziare con preavviso, la sussunzione dell’addebito tra le ipotesi legittimanti il licenziamento per giusta causa non avrebbe rappresentato un peius , rientrando entrambe le figure nella categoria del licenziamento per mancanze. Sottolinea, inoltre, che le condotte enumerate dall’art 47 lettera i), come meritevoli di sanzioni conservative, rivestono una minore
gravità rispetto all’addebito mosso al COGNOME e che tale previsione ha un chiaro carattere residuale.
Con il terzo motivo si addebita alla sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 46 c.c.n.l. e dell’art. 7 St. lav. per avere la Corte d’appello tenuto conto della recidiva infrabiennale solo al fine di determinare la misura dell’indennità risarcitoria, fissata in quindici mensilità, e non anche allo scopo di soppesare la gravità della condotta e la proporzionalità della sanzione.
I primi due motivi di ricorso, da trattare congiuntamente per connessione logica, non sono fondati.
È pacifico che la società ha licenziato il dipendente Fontana per giustificato motivo soggettivo, riconoscendogli l’indennità di preavviso, in base all’art. 48, lett. A del c.c.n.l. La datrice di lavoro censura ora la sentenza d’appello per la mancata sussunzione dell’addebito tra le ipotesi di licenziamento per giusta causa (art. 48, lett. B), denunciando l’errata interpretazione delle norme contrattuali.
Questa Corte, con indirizzo unanime, ha statuito che la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo di licenziamento costituiscono mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l’uno con effetto immediato e l’altro con preavviso, con il conseguente potere del giudice – e senza violazione del principio generale di cui all’art. 112 cod. proc. civ. – di valutare un licenziamento intimato per giusta causa come licenziamento per giustificato motivo soggettivo (fermo restando il principio dell’immutabilità della contestazione e persistendo la volontà del datore di risolvere il rapporto), attribuendo al fatto addebitato al lavoratore la minore gravità propria di
quest’ultimo tipo di licenziamento (v. Cass. n. 27104 del 2006; n. 837 del 2008; n. 12884 del 2014).
12. Poste tali premesse, deve precisarsi che l’impugnativa del licenziamento da parte del lavoratore attribuisce al giudice il compito di verificare la legittimità o meno dell’esercizio del potere di recesso datoriale alla luce della normativa di legge e di contratto collettivo, restando preclusa ogni riqualificazione in senso peggiorativo rispetto al concreto esercizio delle prerogative datoriali, che non solo si porrebbe in contrasto con il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di cui all ‘art. 112 c.p.c., ma determinerebbe un inammissibile sconfinamento dei poteri del giudice in un ambito riservato alla scelta del datore di lavoro (v. Cass. n. 3079 del 2020 sul compito del giudice di presidiare anche la necessaria correlazione dell’addebito con la sanzione).
13. A tali principi di diritto si è attenuta la Corte territoriale che ha, tra l’altro, sottolineato la non sovrapponibilità tra l’inadempimento contestato al dipendente e quello legittimante il licenziamento in tronco, quest’ultimo caratterizzato da un quid pluris estraneo al primo. In particolare, la sentenza d’appello ha escluso che la condotta posta in essere dal Fontana corrispondeva alla esecuzione di lavori con impiego di materiali aziendali (art. 48, lett. B, capo g) ed ha rilevato che l’uso del vei colo aziendale per il trasporto dell’animale non era stato contestato come collegato ad un’attività lavorativa svolta in proprio dal Fontana, essendo emerso solo in sede giudiziale il dato dell’attività di allevamento di bovini dal medesimo svolta. Con la conseguenza che l’addebito mosso al lavoratore e pos to a base della decisione di recesso (con preavviso) era circoscritto all’indebito uso del veicolo aziendale, per finalità personali ed estranee all’ambito lavorativo, fattispecie differente rispetto alla
esecuzione di lavori nei locali aziendali, per conto proprio o di terzi e con uso di materiali appartenenti all’azienda medesima.
14. Parimenti infondata è la censura, oggetto sempre del secondo motivo di ricorso, di erronea sussunzione della condotta contestata sotto il disposto dell’art. 47, lett. i), c.c.n.l., dato che la Corte di merito ha svolto una puntuale disamina della scala valoriale concordata dalle parti sociali e, interpretate le relative disposizioni in maniera coerente al tenore letterale e all’impianto sistematico, ha valutato l’addebito mosso al lavoratore, come in concreto ricostruito, non equiparabile per gravità alle fattispecie esemplificative di licenziamento con preavviso, ma di gravità corrispondente alle condotte punibili con sanzione conservativa. In particolare, la sentenza d’appello ha rilevato come il contratto collettivo contempla, tra le condotte legittimanti il licenziamento con preavviso, la ‘condanna ad una pena detentiva comminata al lavoratore, con sentenza passata in giudicato, per azione commessa … non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, che leda la figura morale del lavoratore ‘ (art. 48, lett. A capo f), ed ha sottolineato come nella fattispecie oggetto di causa la configurabilità di un furto non era certa, come invece connaturato al giudicato cui fa cenno il citato capo f) dell’art. 48, lett. A.
Con riferimento alle disposizioni disciplinari della contrattazione collettiva, questa Corte ha, anche recentemente, ribadito (v. Cass. n. 11665 del 2022, § 18.3) che il datore di lavoro non può irrogare un licenziamento disciplinare quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal c.c.n.l. in relazione ad una determinata infrazione (cfr. Cass. n. 32500 del 2018, che richiama Cass. n. 6165 del 2016 e n. 19053 del 2005). Ed infatti condotte che pur astrattamente ed
eventualmente sarebbero suscettibili di integrare una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo di recesso ai sensi di legge non possono rientrare nel relativo novero se l’autonomia collettiva le ha espressamente escluse, prevedendo per esse sanzioni meramente conservative (v. Cass. 9223 del 2015, n. 13353 del 2011, n. 1173 del 1996, n. 19053 del 1995). D’altronde, le norme sul concetto di giusta causa o giustificato motivo soggettivo e sulla proporzionalità della sanzione sono pur sempre derogabili in melius ed il potere del giudice di valutare la legittimità del licenziamento disciplinare, quanto alla proporzionalità della sanzione, anche attraverso le previsioni contenute nei contratti collettivi, trova un fondamento normativo nella legge n. 183 del 2010, il cui art. 30, comma 3, ha previsto che “nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l’assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni”.
Le censure mosse sul punto dalla società ricorrente non evidenziano errori di diritto rinvenibili nella decisione di appello, cui si limitano a contrapporre una interpretazione alternativa delle clausole contrattuali.
Anche il terzo motivo di ricorso è infondato. La Corte d’appello ha tenuto conto, nella complessiva valutazione, del dato della recidiva (non contestata), sia pure al solo fine di determinare il quantum di indennità risarcitoria, in tal modo implicitam ente giudicando l’esistenza di un precedente disciplinare punito con la sospensione dal lavoro quale elemento
inidoneo a incidere sulla proporzionalità della sanzione conservativa secondo la scala valoriale decisa dalle parti sociali. A tale valutazione, la società ne oppone una differente, senza, tuttavia, individuare errori di diritto nell’opera di interpretazio ne e valutazione compiuta dai giudici di appello e senza neanche considerare che il contratto collettivo, all’art. 48, lett. A, legittima il licenziamento con preavviso, tra le altre ipotesi, in caso di (lett. g) ‘recidiva in qualunque delle mancanze conte mplate nell’art. 47, quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione di cui all’art. 47, salvo quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 46’ (v. sentenza p. 9); dal che discende che, essendo stata comminata al lavoratore un’unica sanzione c onservativa di sospensione, la misura del licenziamento avrebbe rappresentato un trattamento deteriore rispetto a quello concordato e voluto dalle parti sociali (v. su caso analogo, Cass. n. 19868 del 2023, p. 17 § 19).
Ricorso incidentale di NOME COGNOME.
18. Con il motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 47, lett. i) c.c.n.l. in combinato disposto con l’art. 18, commi 4 e 5, St. lav., come modificato dalla legge n. 92 del 2012, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in contrasto con gli artt. 1362, 1363, 1365 e 1367 c.c. Si censura l’interpretazione adottata dai giudici di appello sulla necessaria tipizzazione da parte del contratto collettivo, ai fini della tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4, della condotta sanzionabile con misura conservativa e si richiama l’orientamento di legittimità espresso da Cass. n. 11665 del 2022.
19. Il motivo è fondato alla luce del principio di diritto affermato da questa Corte con la citata sentenza n. 11665 del 2022 e
confermato da molteplici pronunce conformi (v. Cass. n. 20780 del 2022; n. 13063 del 2022 non massimata) secondo cui, in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall’art. 18, commi 4 e 5, della l. n. 300 del 1970, come novellato dalla l. n. 92 del 2012, il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore, e in concreto accertata giudizialmente, nella previsione contrattuale che, con clausola generale ed elastica, punisca l’illecito con sanzione conservativa, né detta operazione di interpretazione e sussunzione trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità, come eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo.
20. Per le ragioni esposte, accolto il ricorso incidentale e respinto quello principale, deve cassarsi la sentenza impugnata in relazione al ricorso incidentale accolto, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese del giudizio di legittimità. 21. Il rigetto del ricorso principale costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso incidentale accolto e rinvia alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del
ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 19 novembre 2024