Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 532 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 532 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n.
21275/2020 r.g., proposto
da
Ente NOME RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma presso avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
ricorrente
contro
Memoria NOME , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, presso avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 2295/2020 pubblicata in data 27/07/2020, n. r.g. 62/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 27/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Viste le conclusioni scritte depositate dal P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME.
Udita la discussione dei difensori delle parti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
OGGETTO: autoferrotranviere – licenziamento disciplinare – procedimento – consiglio di disciplina – mancata istituzione – conseguenze
1.- NOME COGNOME era stato dipendente di RAGIONE_SOCIALE dal 26/05/1983 presso il deposito di Torre Annunziata, quale ‘addetto all’esercizio’, parametro 193 CCNL autoferrotranvieri, fino al 18/05/2017, quando era stato destituito per ragioni disciplinari (in vari giorni fra ottobre 2016 e febbraio 2017 dalle rilevazioni del cartellino marcatempo era risultato in servizio laddove era invece assente perché rientrato presso la propria abitazione).
Adìva il Tribunale di Torre Annunziata lamentando in primo luogo l’illegittimità del procedimento in concreto seguito dall’azienda, in quanto inosservante delle regole previste dall’all. A al r.d. n. 148/1931, stante la mancata istituzione del consiglio di disciplina. Prospettava altresì ulteriori vizi dell’atto di destituzione e quindi chiedeva l’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna della società datrice di lavoro al pagamento dell’indennità risarcitoria.
2.Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale all’esito della fase c.d. sommaria del rito introdotto dalla L. n. 92/2012 respingeva la domanda. Poi, in fase di cognizione piena, dopo l’assunzione della prova testimoniale, ac coglieva la domanda sulla base dell’accertata e comunque ritenuta pacifica inosservanza della sequenza procedimentale prevista dall’all. A al r.d. n. 148/1931 e compensava le spese.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dalla società e compensava le spese.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità, pur dando atto della progressiva ‘devitalizzazione’ della specialità di disciplina dettata dal r.d. n. 148/1931, nondimeno hanno ritenuto la perdurante vigenza delle disposizioni sul consiglio di disciplina (C. Cost. n. 301/2004; Cass. n. 5551/2013; Cass. s.u. n. 15540/2016; Cass. n. 12770/2019; Cass. n. 22809/2019);
si condivide integralmente la motivazione di Cass. n. 12770/2019;
la natura di fonte normativa primaria e speciale dell’all. A al r.d. n. 148/1931 implica che questa particolare regolamentazione dell’impiego degli autoferrotranvieri possa essere modificata soltanto mediante
specifici interventi legislativi, operando altrimenti il principio regolatore del conflitto fra norme di pari rango, secondo cui lex posterior generalis non derogat priori speciali ;
ne consegue che le leggi generali sul rapporto di lavoro subordinato -e segnatamente l’art. 7 L. n. 300/1970 non può aver abrogato le disposizioni della previgente disciplina speciale di cui al r.d. cit.;
manifestamente infondata è la questione di legittimità costituzionale della speciale procedura prevista dall’art. 53 all. A al r.d. cit. per asserita violazione dell’art. 3 Cost., atteso che si tratta di una procedura maggiormente garantista per il dipendente e non è quindi distonica rispetto a quella prevista dall’art. 7 L. n. 300/1970, come insegnano C. Cost. nn. 301/2004 e 439/2002;
l’avvenuta osservanza di quest’ultima norma non è dirimente per ritenere comunque rituale l’iter procedimentale seguito in concreto dalla società datrice di lavoro;
circa il consiglio di disciplina, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 12770/2019, ne ha confermato la persistente vigenza per la generalità delle aziende di trasporto, eccetto che per le gestioni governative;
non coglie nel segno l’obiezione della possibile paralisi del potere disciplinare in assenza di quell’organo, poiché l’azienda nelle more potrebbe ricorrere all’istituto cautelare della sospensione preventiva (art. 46 r.d. cit.) e sollecitare la procedura di nomina del consiglio di disciplina al fine di salvaguardare l’interesse pubblico alla regolare gestione del servizio, come insegna Cass. n. 12770/2019;
manifestamente infondata è altresì la questione di legittimità costituzionale per sospetta violazione dell’art. 39 Cost., atteso che il criterio di selezione e la limitazione nella scelta dei componenti del consiglio di disciplina potrebbero essere eventualmente censurati dalla singola sigla sindacale, che, qualora esclusa, si ritenesse lesa nelle sue prerogative;
il mancato rispetto della specifica procedura va ricondotto ad un’ipotesi di nullità dell’atto di destituzione, atteso che la norma del r.d. assegna all’organo terzo la pronunzia finale sul procedimento disciplinare risolutivo del rapporto di lavoro, sicché va esclusa la mera inefficacia;
contrariamente alla tesi della società non si tratta di mera irregolarità procedimentale, sicché non può trovare applicazione la tutela meramente indennitaria prevista dall’art. 18, co. 6, L. n. 300/1970, dal momento che le norme sulla competenza non vanno confuse con le regole del procedimento, con la conseguente nullità del licenziamento nel caso di compartecipazione decisiva, cioè sostitutiva e non additiva, di soggetti estranei all’adozione del provvedimento, con un sostanziale illegittimo trasferimento della competenza dall’organo normativamente competente ad uno diverso, sicuramente non competente (Cass. n. 14069/2019; Cass. n. 33020/2018; Cass. n. 14200/2018).
4.- Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
5.- Memoria NOME ha resistito con controricorso e ha depositato memoria in cui ha richiamato come precedente specifico la pronunzia di questa Corte di legittimità n. 6765 del 7 marzo 2023ed ha chiesto l’attribuzione delle spese .
6.- Il PG dott. NOME COGNOME ha depositato memoria scritta, con cui ha concluso per il rigetto del ricorso, previa declaratoria di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. l’ente ricorrente lamenta violazione degli artt. 3 e 39 Cost. per avere la Corte territoriale ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riguardo all’art. 53 r.d. n. 148/1931.
Il motivo è inammissibile perché non si confronta con la specifica motivazione articolata dalla Corte territoriale e con il richiamo, più volte operato, alle sentenze della Corte Costituzionale n. 301/2004 e 439/2002 in cui è stata riconosciuta la specialità del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri (sia pure ai fini del riparto di giurisdizione).
Sul piano prettamente disciplinare questa stessa specialità si trova affermata sin da C. Cost. n. 208/1984 (secondo cui ‘ I dipendenti di enti pubblici economici e quelli delle aziende esercenti il pubblico servizio di trasporto in regime di concessione versano in situazioni non omogenee, operando solo i secondi in settore che comporta particolari forme di ingerenza della P.A., in ragione degli interessi pubblici da esso coinvolti, onde appare
giustificata la scelta del legislatore per cui i profili disciplinari del relativo rapporto di lavoro hanno ricevuto impronta procedimentale amministrativa che, per le sanzioni di maggiore gravità, sfocia in un giudizio del Consiglio di disciplina ‘) , sicché la questione di costituzionalità prospettata dal ricorrente deve ritenersi manifestamente infondata.
Va allora ribadito che l’art. 53 dell’allegato A al r.d. n. 148 del 1931 – fonte primaria e speciale, tuttora vigente in quanto non derogata da specifiche disposizioni legislative successive – delinea una peculiare procedura di irrogazione delle sanzioni disciplinari, maggiormente garantita rispetto a quella prevista dalla l. n. 300 del 1970, sicché il ricorso alla normativa generale è possibile solo ove si riscontrino lacune non superabili neanche attraverso l’interpretazione estensiva o analogica (Cass. ord. n. 6765/2023).
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 53 ss. r.d. n. 148/1931, 2106 c.c., 7 L. n. 300/1970 a causa ed in conseguenza dell’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione anche su un punto decisivo della controversia, rappresentato dalla devitalizzazione dei consigli di disciplina previsti dal r.d. cit. Lamenta inoltre l’erronea interpretazione del r.d. cit. come ‘norma speciale’ rispetto alla generale regolamentazione del potere disciplinare nel rapporto di lavoro subordinato privato.
Il motivo è in primo luogo inammissibile per molteplici ragioni:
costituisce una ‘mescolanza’ inestricabile e confusa di censure di violazione di legge e di altre relative alla motivazione;
non tiene conto della novella dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c., che ha reso insindacabile in sede di legittimità l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione;
considera fatto decisivo -ai fini dell’art. 360, co. 1, n. 5) c.p.c. qualora voglia ammettersi la conversione del motivo formalmente proposto sub art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c. -‘la devitalizzazione dei consigli di disciplina’ che tuttavia non è un ‘fatto storico’, bensì il risultato di un’operazione prettamente ermeneutica compiuta progressivamente da questa Corte sulla fonte normativa primaria di cui al r.d. cit.
Quanto alla considerazione delgli artt. 53 ss. r.d. cit. come ‘norme speciali’ e, come tali, insensibili alle modifiche normative di fonti di pari rango ma di
carattere generale, la tesi della Corte territoriale è conforme ad un consolidato orientamento di questa Corte di legittimità ricordato nell’esame del primo motivo, orientamento dal quale non vi è motivo di discostarsi.
Per il resto il motivo è infondato.
Come noto, la Corte costituzionale, investita della questione sollevata da questa Corte con l’ordinanza interlocutoria n. 9530/2023, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 2, co. 1, d.lgs. n. 23/2015, limitatamente alla parola «espressamente», in riferimento all’art. 76 Cost. per difformità rispetto al criterio di delega dettato dall’art. 1, co. 7, lettera c) della legge n. 183/2014, che, demandando al Governo la previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, dispone la limitazione del «diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato», senza una ulteriore limitazione ai casi di nullità “espressamente” prevista (Corte cost. 22 febbraio 2024, n. 22).
È parimenti noto come essa sia andata oltre l’affermazione, contenuta in detta ordinanza, di un ‘consolidato orientamento di questa Corte’ , secondo cui -nel caso in cui il dipendente autoferrotranviario, a seguito dell’opinamento di destituzione, abbia invocato la pronuncia del consiglio di disciplina, posto il persistente vigore delle disposizioni dettate dal Regio Decreto in materia disciplinare, anche quale disciplina maggiormente garantita rispetto a quella prevista dalla legge n. 300/1970 -sia irrilevante il fatto che gli enti competenti non abbiano esercitato il potere di nomina dei componenti di quell’organo. Infatti, in materia di procedimento disciplinare a carico degli autoferrotranvieri, l’art. 53 dell’allegato A al R.D. 148/1931 prevede una procedura articolata in più fasi, inderogabile e volta alla tutela del lavoratore dipendente, quale contraente debole; con la conseguenza della nullità della sanzione disciplinare (rientrante, in relazione al tipo di violazione, nella categoria delle nullità di protezione) nell’ipotesi di omissione di una delle suddette fasi (Cass. 7 aprile 2023, n. 9530, in motivazione sub p.to 3, con ampio richiamo di precedenti conformi).
Essa ha, infatti, affermato la sufficienza di ‘dare conto del diritto vivente’ formatosi al riguardo, sicché, ‘in presenza di una costante e consolidata giurisprudenza di legittimità, tanto più quando sia attinente ad un
presupposto di rilevanza della questione e non già direttamente alla disposizione censurata, la norma espressa dal diritto vivente è assunta come tale da questa Corte senza che rilevino eventuali dubbi in ordine all’esattezza dell’interpretazione’ (Corte cost. 22 febbraio 2024, n. 22, Considerato in diritto sub p.to 3.2).
Il formante giurisprudenziale consolidatosi in diritto vivente non può essere superato, in assenza di un sopravvenuto mutamento normativo, dal passaggio argomentativo, sempre tratto dalla sentenza della Corte costituzionale, per il quale ‘Non emerge – e non rileva – invece la complessa ricostruzione normativa che ha condotto alla formazione di questo diritto vivente e che ha visto ripetuti interventi delle Sezioni unite della Corte di cassazione (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 13 gennaio 2005, n. 460 e 27 luglio 2016, n. 15540).’ (Corte cost. 22 febbraio 2024, n. 22, ivi). Le sentenze delle Sezioni Unite citate, se pure contengano affermazioni che potrebbero indurre ad una loro lettura estensiva alla disciplina sostanziale del rapporto di lavoro (in Cass. S.U. 460/2005, ripresa da Cass. S.U. 15540/2016, in particolare: la segnalazione di disomogeneità o incoerenza del sistema riguardante non solo la giurisdizione in materia disciplinare, ma l’intero rapporto di lavoro disciplinato da un corpus di norme apparentemente resistente a qualunque riforma e modificazione dell’ordinamento giuridico dal lontano 1931 e di generale applicazione alla materia disciplinare dell’art. 7 della legge n. 300/1970; la condivisione del parere dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato 19 aprile 2000 di non limitazione dell’effetto abrogativo art. 58 R.D. 148/1931 a sole norme procedimentali di nomina e composizione di tali consigli, ma di ‘avvenuta abrogazione implicita delle norme del r.d. che postulano l’ope ratività di tali organi’ ), devono in realtà essere limitate all’ambito del regolamento di giurisdizione ad esse proprio: ossia, finalizzate ‘alla sola risoluzione della annosa questione della persistente attribuzione alla giurisdizione amministrativa delle controversie in materia di sanzioni disciplinari per gli addetti al servizio pubblico di trasporto in concessione, ai sensi dell’art. 58 del r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, allegato A), con l’affermazione del principio secondo cui, sin dall’operatività dell’art. 68 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, nella sua originaria versione, tali controversie appartengono alla cognizione
del giudice ordinario, stante l’implicita abrogazione per incompatibilità con la indicata normativa, della persistente giurisdizione del giudice amministrativo contemplata nel citato art. 58’ (così: Cass. 17 giugno 2015, n. 12490, in motivazione sub p.to 4). E soprattutto, quelle pronunzie devono essere lette in sintonia con ‘… La giurisprudenza di questa Corte, che ha affrontato la problematica in esame’, che ‘non postula … un’abrogazione tout court della speciale disciplina di cui al R.D. n. 148 del 1931, bensì la necessità di integrare o sostituire i singoli istituti nell’ipotesi in cui la relativa specifica regolamentazione risulti incompatibile con il sistema in generale’ (Cass. S.U. 27 luglio 2016, n. 15540, in motivazione).
Certamente una tale incompatibilità sistematica non può essere ravvisata nella perdurante vigenza dei Consigli di disciplina previsti dall’art. 53 R.D. 148/1931 ( ‘Nel caso in cui l’agente abbia presentate le Sue giustificazioni nel termine prescritto, ma queste non siano accolte, l’agente ha diritto, ove lo creda, di chiedere che per le punizioni, sulle quali, ai sensi del seguente articolo, deve giudicare il Consiglio di disciplina, si pronunci il Consiglio stesso’ : ottavo comma). La compatibilità della previsione con il sistema è stata, infatti, affermata come diritto vivente con la ferma negazione di un’abrogazione implicita dei Consigli di disciplina . Su tale presupposto, essa ha per giunta costituito il fondamento normativo dell’estensione, costituzionalmente legittima, della tutela reintegratoria dell’art. 2, comma 1 del d.lgs. 23/2015 ai casi di nullità previsti dalla legge (come è stata ritenuta la violazione del procedimento disciplinare speciale in oggetto), ancorché non «espressamente».
Chiarita dunque la natura non vincolante dei precedenti delle Sezioni Unite di questa Corte esaminati -peraltro neppure avendo le sentenze della Corte costituzionale valore di monito nei confronti della giurisprudenza (come invece può accadere riguardo al legislatore), potendo esse direttamente conformarla al parametro di costituzionalità -occorre allora ribadire quale sia il valore normativo dell’ art. 102, comma 1, lett. b ) d.lgs. 112/1998, che recita: ‘Sono soppresse le funzioni amministrative relative … all’approvazione degli organici delle gestioni governative e dei bilanci delle stesse, all’approvazione dei modelli di contratti’ e, in particolare, ‘alla nomina dei consigli di disciplina’ . Esso non può che essere quello fatto palese dal
significato proprio delle parole, secondo la loro connessione e dalla intenzione del legislatore (art. 12 disp. prel. c.c.) e pertanto, quello di aver reciso ogni legame della nomina dei Consigli di disciplina con gli organi pubblici: tanto dello Stato, quanto delle Regioni. Ma certamente non è possibile trarre dalla soppressione delle funzioni amministrative relative alla nomina dei consigli di disciplina l’inferenza della loro eliminazione tout court , avvenuta solo per le gestioni amministrative (Cass. 14 maggio 2019, n. 12770, in motivazione); né la caducazione di quei consigli può conseguire da una mera inerzia degli organi competenti a provvedere alla nomina dei relativi componenti (Cass. 6 marzo 2023, n. 6555, in motivazione sub p.to 12), in una sorta di ‘praesumptio de praesumpto’ inammissibile nel nostro ordinamento.
D’altro canto, questa Corte ha escluso che la speciale disciplina dell’allegato A al RD n. 148/1931 sia stata abrogata dall’art. 7 legge n. 300/1970 e tale soluzione è stata avallata dalla Corte Costituzionale (con le sentenze n. 301/2004 e n. 188/2020), che ha sottolineato la natura di fonte primaria dell’All. A al R.D. 148/1931, nonché la permanente specialità, sia pure residuale, del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, per cui la speciale regolamentazione di tale impiego può essere modificata unicamente mediante interventi legislativi (Cass. 7 marzo 2023, n. 6765, in motivazione sub p.ti 17 e 18).
Il venir meno della nomina pubblica dei Consigli di disciplina non ne comporta la soppressione, atteso che per la loro costituzione presso ciascuna azienda o dipendenza aziendale con direzione autonoma, a norma dell’art. 54 R.D. 148/1931, è prevista una composizione plurale, formata da:
a ) un presidente nominato dal direttore dello Ispettorato compartimentale della motorizzazione civile e trasporti in concessione e scelto preferibilmente tra i magistrati;
b ) tre rappresentanti effettivi dell’azienda designati, su richiesta del Ministero dei trasporti (Ispettorato generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione), dall’organo che legalmente rappresenta l’azienda e scelti tra i consiglieri di amministrazione o tra i funzionari con facoltà, in mancanza, di conferire ad altri l’incarico;
c ) tre rappresentanti effettivi del personale, designati dalle Associazioni sindacali nazionali dei lavoratori numericamente più rappresentative, su
richiesta del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, e scelti con precedenza tra gli agenti appartenenti alla azienda (e nomina per ciascuno dei rappresentanti di un supplente). Alla nomina di questi rappresentanti provvedeva il Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il Ministro per i trasporti, nonché con il Ministro per l’interno quando si fosse trattato di personale di pubblici trasporti in concessione od in esercizio ad aziende municipalizzate, a Comuni, Province, Regioni e relativi Consorzi.
Qualora la sanzione non sia stata adottata dal Consiglio di Disciplina a seguito, come nel caso di specie, di richiesta del lavoratore dopo il provvedimento di opinamento, si verifica sia la privazione di un momento di ulteriore garanzia per il lavoratore, sia una mancanza di legittimazione all’esercizio del potere di recesso, non più in capo al datore di lavoro, ma trasferito ad un organo collegiale esterno e terzo (Cass. 7 marzo 2023, n. 6765, in motivazione sub p.to 30).
Ed è proprio la garanzia di terzietà dell’organo collegiale aziendale il profilo di specialità caratterizzante il procedimento disciplinare degli autoferrotramvieri rispetto a quello ordinario degli altri lavoratori delineato dall’art. 7 legge n. 300/1970. Ai fini di garanzia della terzietà del Consiglio di disciplina, peraltro, non è sempre essenziale la collegialità, posto che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, l’ufficio procedimenti disciplinari opera con il plenum dei suoi componenti nelle fasi in cui l’organo sia chiamato a compiere valutazioni tecnico-discrezionali o ad esercitare prerogative decisorie, rispetto alle quali si configura l’esigenza che tutti i suoi componenti offrano il proprio contributo ai fini di una corretta formazione della volontà collegiale; non è, invece, essenziale la collegialità rispetto agli atti preparatori, istruttori o strumentali, verificabili a posteriori dall’intero consesso (cfr. Cass. 26 aprile 2016, n. 8245; Cass. 16 aprile 2018, n. 9314).
Ebbene, la soppressione dell’intervento pubblico (statale o regionale) nella nomina dei componenti del consiglio di disciplina, non ha modificato tale assetto, posto che i suoi componenti possono ancora essere designati e nominati rispettivamente dall’azienda e dalle associazioni sindacali nazionali numericamente più rappresentative.
In conclusione, la soppressione delle funzioni amministrative statali di nomina dei membri dei consigli di disciplina, operata dall’art. 102 d.lgs. n.
112/1998, non implica l’abrogazione dell’organo, che resta componibile come espressamente prevede l’art. 54 r.d. n. 148/1931.
Trattandosi di organo collegiale ‘terzo’, in quanto a composizione mista (rappresentanti del datore di lavoro e del personale), resta confermata la funzione di protezione sia dell’organo sia del procedimento ivi previsto, con conseguente nullità del licenziamento che sia stato irrogato sul piano disciplinare senza sottoporre la questione al consiglio di disciplina, qualora in tal senso sia stata avanzata specifica istanza del lavoratore.
D’altronde, a i fini della validità della sanzione irrogata è, poi, irrilevante l’eventuale previsione regolamentare che imponga la collegialità per tutte le fasi del procedimento disciplinare (cfr. Cass. 27 giugno 2019, n. 17357, che, in applicazione del principio, ha respinto il ricorso del lavoratore in un caso in cui la contestazione disciplinare era stata sottoscritta dal solo presidente dell’U.P.D.).
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ dell’art. 18, co. 4 e 5, L. n. 300/1970, a causa dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la tutela applicabile.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
E’ inammissibile laddove costituisce ancora una volta una ‘mescolanza’ inestricabile e confusa di censure di violazione di legge e di altre relative alla motivazione e non tiene conto della novella dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c., che ha reso insindaca bile in sede di legittimità l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione.
E’ poi infondato, perché la conseguenza invalidante tratta dalla Corte territoriale in termini di ‘nullità di protezione’ è conforme a diritto, come risultante da un consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, dal quale non vi è motivo di discostarsi.
In particolare deve ritenersi nullo l’atto, in quanto adottato da un organo non competente secondo la previsione normativa e, quindi, proveniente a non domino . Inoltre trattasi di nullità ‘di protezione’ (Cass. ord. n. 23997/2024; Cass. ord. n. 6555/2023; Cass. n. 13804/2017), in quanto lo specifico ed articolato procedimento è previsto dall’art. 53 ss. all. A al r.d. cit. in funzione di maggiore garanzia per il dipendente, poiché individua in un organo terzo
(il consiglio di disciplina) quello competente a vagliare gli accertamenti istruttori, a valutare la proporzionalità della sanzione proposta dal funzionario delegato o dal direttore in termini di ‘opinamento’ sulla base di una preliminare relazione scritta ed infine a decidere la sanzione da irrogare in concreto al dipendente. In quanto ‘di protezione’ questa nullità è rilevabile anche d’ufficio ( ex multis Cass. n. 17286/2015).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge, con attribuzione al difensore del controricorrente, dichiaratosi antistatario.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data