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Licenziamento disciplinare: assenza post-trasferimento

Un lavoratore, a seguito di un trasferimento aziendale, non si presentava nella nuova sede di lavoro e veniva licenziato per motivi disciplinari. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento disciplinare, sottolineando che il lavoratore non può semplicemente assentarsi se la legittimità del trasferimento è stata accertata e non contestata nelle sedi opportune. L’assenza ingiustificata è stata ritenuta un grave inadempimento contrattuale.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento Disciplinare per Rifiuto del Trasferimento: Quando l’Assenza è Ingiustificata

Il licenziamento disciplinare a seguito del rifiuto di un lavoratore di prendere servizio presso una nuova sede è un tema delicato nel diritto del lavoro. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, stabilendo che se la legittimità del trasferimento è stata accertata e non adeguatamente contestata, l’assenza ingiustificata del dipendente costituisce un grave inadempimento che giustifica il recesso dal rapporto di lavoro. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

La vicenda riguarda un lavoratore impiegato presso lo stabilimento di Verona di un’azienda. A seguito della dismissione di tale unità produttiva, l’azienda disponeva il suo trasferimento presso la sede principale di Novaledo (TN), con effetto dal 1° gennaio 2021. Il lavoratore, tuttavia, non si presentava al lavoro nella nuova sede dal 7 al 14 gennaio 2021, senza fornire alcuna giustificazione.

Per questa ragione, l’azienda avviava un procedimento disciplinare che si concludeva con il licenziamento per giusta causa. Il caso approdava in tribunale:

* In primo grado, il Tribunale di Verona annullava il licenziamento, ordinando la reintegrazione del lavoratore. Pur riconoscendo la presenza di ragioni oggettive per il trasferimento, il giudice riteneva che il rifiuto del lavoratore fosse giustificato secondo i principi di buona fede e correttezza, a causa del notevole impatto sulla sua vita familiare.
* In secondo grado, la Corte d’Appello di Venezia ribaltava la decisione. Accoglieva il reclamo dell’azienda, dichiarando legittimo il licenziamento e condannando il lavoratore a restituire le somme percepite.

Il lavoratore decideva quindi di presentare ricorso per Cassazione.

La Posizione della Corte d’Appello sul Licenziamento Disciplinare

La Corte d’Appello aveva fondato la sua decisione su un punto centrale: la legittimità del trasferimento. Il primo giudice aveva già escluso la natura fraudolenta del trasferimento, confermando che esso era supportato da comprovate ragioni oggettive (la chiusura dello stabilimento di Verona). Questa valutazione non era stata specificamente impugnata dal lavoratore in appello.

Di conseguenza, la Corte territoriale ha ritenuto che il comportamento del lavoratore — assentarsi senza dare notizie di sé e senza informarsi sui turni — costituisse un inadempimento grave e sufficiente a legittimare il licenziamento disciplinare. Secondo i giudici d’appello, il lavoratore non poteva opporre una semplice “eccezione d’inadempimento” basata su valutazioni soggettive, a fronte di un ordine di servizio derivante da un trasferimento legittimo.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile e infondato il ricorso del lavoratore, confermando la sentenza d’appello. Il ragionamento dei giudici supremi si è articolato su alcuni punti chiave.

In primo luogo, il ricorso del lavoratore non ha colto la ratio decidendi (la ragione fondamentale) della decisione impugnata. Il ricorrente ha continuato a insistere sull’illegittimità del trasferimento, ma questo punto era già stato risolto nei gradi di merito e non era stato adeguatamente contestato in appello. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge.

Il fulcro della questione, secondo la Cassazione, non era più la legittimità del trasferimento, ma la conformità a buona fede e correttezza del rifiuto del lavoratore di presentarsi al lavoro. La Corte ha stabilito che, una volta accertata la validità delle ragioni aziendali alla base del trasferimento, l’assenza prolungata e ingiustificata del dipendente rappresenta una violazione manifesta dei suoi obblighi contrattuali.

La condotta del lavoratore, che si è assentato senza alcuna comunicazione, è stata considerata un inadempimento grave, sufficiente a minare il rapporto di fiducia e a giustificare il recesso da parte del datore di lavoro. Le argomentazioni del lavoratore, basate su presunte nuove assunzioni in altre sedi, sono state ritenute irrilevanti perché tentavano di introdurre una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: il lavoratore non può auto-dispensarsi dall’obbligo di eseguire la prestazione lavorativa in risposta a un trasferimento che ritiene illegittimo, soprattutto se la legittimità di tale provvedimento è stata già oggetto di valutazione giudiziale. L’assenza ingiustificata, in un contesto di trasferimento valido, costituisce un grave inadempimento che può legittimamente portare a un licenziamento disciplinare. La contestazione del trasferimento deve avvenire nelle sedi e con gli strumenti processuali appropriati, senza ricorrere a un’assenza che viola i doveri fondamentali del rapporto di lavoro.

Un lavoratore può rifiutarsi di andare a lavorare nella nuova sede dopo un trasferimento?
No, se il trasferimento è basato su comprovate ragioni oggettive e la sua legittimità non è stata validamente contestata. L’assenza ingiustificata costituisce un grave inadempimento contrattuale.

Perché il licenziamento disciplinare è stato considerato legittimo in questo caso?
È stato considerato legittimo perché la condotta del lavoratore, che si è assentato dalla nuova sede di lavoro senza dare notizie e senza alcuna giustificazione, è stata qualificata come un inadempimento grave, sufficiente a giustificare il recesso da parte dell’azienda.

La buona fede del lavoratore può giustificare l’assenza dal lavoro dopo un trasferimento?
No, secondo la Corte di Cassazione in questo caso specifico. Sebbene il primo giudice avesse ritenuto l’assenza giustificata in base al principio di buona fede, la Corte d’Appello e la Cassazione hanno concluso che, a fronte di un trasferimento legittimo, il rifiuto di prendere servizio non risponde ai criteri di buona fede e correttezza e costituisce un inadempimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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