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Licenziamento dirigente: quando è legittimo? La Cass.

La Cass. Civ., Sez. L, n. 34736/2019 analizza il licenziamento dirigente per giusta causa. La Corte conferma la legittimità del recesso basato su negligenza e condotte lesive del rapporto fiduciario, anche a fronte di una nozione di ‘giustificatezza’ più ampia per i dirigenti. Il caso chiarisce i confini del potere di recesso del datore di lavoro in queste posizioni apicali.

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Pubblicato il 6 luglio 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile
Il rapporto di lavoro con un dirigente si fonda su un vincolo fiduciario particolarmente intenso. Ma cosa succede quando questo legame si incrina a causa di negligenza o scarso rendimento? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34736/2019, offre chiarimenti cruciali sulla legittimità del licenziamento dirigente, distinguendo tra ‘giustificatezza’ e ‘giusta causa’. Analizziamo una decisione che definisce i contorni del potere di recesso del datore di lavoro nei confronti delle figure apicali.

I Fatti: una rottura del rapporto di fiducia

Il caso riguarda un direttore commerciale licenziato per giusta causa da una società di autotrasporti. Le accuse mosse dall’azienda erano pesanti: negligenza nello svolgimento delle funzioni, aver mascherato l’inconsistenza dei risultati, disatteso le direttive aziendali, intrattenuto rapporti con una ditta concorrente e non aver raggiunto gli obiettivi di budget. Secondo la società, queste condotte avevano irrimediabilmente compromesso il rapporto fiduciario, giustificando il recesso immediato.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano confermato la legittimità del licenziamento, ritenendo che le mancanze del dirigente fossero gravi e comprovate. Tra queste, l’assoluta mancanza di report, la concessione di sconti non autorizzati con perdite per centinaia di migliaia di euro e il rinvenimento sul computer aziendale di file relativi a concorrenti.

La questione della notifica PEC e il licenziamento dirigente

Prima di entrare nel merito, la Cassazione affronta una questione procedurale sollevata dal dirigente: l’inammissibilità del controricorso dell’azienda. La notifica via PEC dell’atto, infatti, non era andata a buon fine perché la casella di posta elettronica certificata del legale del dirigente era piena.

La Corte chiarisce un punto fondamentale: a differenza delle comunicazioni dalla cancelleria del tribunale, una notifica tra avvocati che fallisce per causa imputabile al destinatario (come la casella PEC piena) non si perfeziona automaticamente. Il mittente ha l’onere di riattivarsi e completare la notifica con tempestività. Non avendolo fatto, l’azienda ha visto il suo controricorso dichiarato inammissibile. Un monito importante sulla diligenza richiesta anche nelle comunicazioni telematiche.

La Decisione della Corte di Cassazione

Nonostante l’inammissibilità del controricorso, la Corte ha esaminato e rigettato i motivi di ricorso del dirigente, confermando la legittimità del licenziamento.

Le motivazioni: Giustificatezza vs. Giusta Causa nel licenziamento dirigente

Il cuore della decisione si concentra sulla natura del recesso nei confronti di un dirigente. Il lavoratore sosteneva che i giudici di merito avessero errato nel non valutare a fondo la ‘giustificazione’ del licenziamento, come richiesto dal contratto collettivo di settore.

La Cassazione respinge questa tesi, spiegando che la nozione di ‘giustificatezza’ per il licenziamento di un dirigente è molto più ampia di quella di ‘giustificato motivo’ applicabile agli altri lavoratori. Data l’intensità del rapporto fiduciario, possono essere sufficienti a giustificare il recesso anche condotte che non integrano un inadempimento contrattuale, come la semplice inadeguatezza del dirigente rispetto alle aspettative o una deviazione dalle strategie aziendali. È sufficiente una valutazione globale che escluda l’arbitrarietà del recesso.

In questo caso specifico, tuttavia, la Corte evidenzia come i fatti accertati fossero ancora più gravi. Le condotte del dirigente non si limitavano a ledere la ‘giustificatezza’ del rapporto, ma integravano una vera e propria giusta causa (art. 2119 c.c.). La negligenza, la molteplicità e la reiterazione dei comportamenti avevano causato una lesione del rapporto fiduciario così profonda da non consentire la prosecuzione del rapporto neanche per un solo giorno. Di fronte a una giusta causa, ogni ulteriore discussione sulla ‘giustificatezza’ diventa superflua.

Le conclusioni: cosa significa per i dirigenti e le aziende

La sentenza ribadisce due principi fondamentali:

1. Maggiore libertà di recesso per i dirigenti: Il licenziamento di un dirigente non richiede necessariamente un inadempimento grave come per gli altri dipendenti. La rottura del particolare vincolo fiduciario, basata su ragioni oggettive e non arbitrarie, può essere sufficiente.
2. La Giusta Causa assorbe la Giustificatezza: Quando la condotta del dirigente è talmente grave da integrare una giusta causa, il licenziamento è senz’altro legittimo, superando ogni valutazione sulla meno stringente nozione di ‘giustificatezza’.

Per le aziende, questa decisione conferma la possibilità di interrompere il rapporto con una figura apicale in presenza di comportamenti che, pur non essendo illeciti, minano la fiducia e la coerenza con gli obiettivi strategici. Per i dirigenti, rappresenta un forte richiamo all’elevato grado di diligenza e lealtà richiesto dalla loro posizione.

Qual è la differenza tra ‘giusta causa’ e ‘giustificatezza’ nel licenziamento di un dirigente?
La ‘giustificatezza’ è un concetto ampio che include qualsiasi motivo non arbitrario che mini il rapporto di fiducia (es. inadeguatezza). La ‘giusta causa’ è una violazione molto più grave, che rompe irreparabilmente la fiducia e non consente la prosecuzione del rapporto neanche per un giorno.

Un’azienda può licenziare un dirigente per scarso rendimento e negligenza?
Sì. Come chiarito dalla sentenza, la negligenza grave, il mancato raggiungimento degli obiettivi e condotte che ledono gli interessi aziendali possono integrare non solo una ‘giustificatezza’ del recesso, ma anche una ‘giusta causa’, legittimando il licenziamento immediato.

Se una notifica legale via PEC fallisce perché la casella del destinatario è piena, la notifica è valida?
No. Secondo la Corte, se la notifica avviene tra avvocati (e non dalla cancelleria del tribunale), il mittente che riceve un avviso di mancata consegna per casella piena deve attivarsi per ritentare la notifica. La notifica non si perfeziona automaticamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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