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Licenziamento dirigente: quando è frode alla legge?

Un dirigente, licenziato per soppressione della sua posizione, contesta il recesso sostenendo che si tratti di una frode alla legge per eludere una procedura di licenziamento collettivo. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, specificando che se una precedente procedura collettiva è stata annullata giudizialmente, un successivo licenziamento individuale per le stesse ragioni non costituisce automaticamente un atto fraudolento. Il licenziamento del dirigente è stato quindi ritenuto legittimo perché supportato da giustificatezza.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento Dirigente: Frode alla Legge o Giustificata Soppressione del Ruolo?

Il confine tra un legittimo licenziamento individuale e un’elusione della normativa sui licenziamenti collettivi è spesso sottile e oggetto di contenzioso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta il caso di un licenziamento dirigente avvenuto a seguito della soppressione della sua posizione, facendo luce su quando si possa parlare di frode alla legge. La vicenda analizza le conseguenze di un recesso individuale intimato dopo che una precedente procedura di licenziamento collettivo, basata su ragioni simili, era stata annullata dai tribunali.

Il Contesto del Caso: Dal Licenziamento Collettivo Annullato al Recesso Individuale

I fatti riguardano un dirigente con funzioni di direttore amministrazione e finanza, licenziato da una nota società per soppressione della sua posizione lavorativa. Le sue mansioni erano state attribuite all’amministratore unico della società. Il dirigente ha impugnato il licenziamento, sostenendo che si trattasse di un atto nullo per frode alla legge. A suo dire, il suo recesso faceva parte di una più ampia operazione di riduzione del personale che avrebbe dovuto seguire le rigide procedure previste per i licenziamenti collettivi (Legge n. 223/1991).

La tesi del lavoratore si fondava su una precedente procedura di licenziamento collettivo, avviata dalla stessa società qualche anno prima per ragioni analoghe, che era stata però impugnata da altri dipendenti e annullata in sede giudiziale. Il dirigente sosteneva quindi che il suo licenziamento individuale fosse un modo per aggirare gli obblighi di legge, realizzando di fatto una riduzione di personale senza rispettarne le garanzie.

L’Analisi della Corte: Perché non si configura un licenziamento dirigente in frode alla legge?

La Corte di Cassazione, confermando le decisioni dei giudici di merito, ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo un’importante chiave di lettura. I giudici hanno chiarito che, sebbene un licenziamento individuale disposto per le stesse ragioni di un precedente licenziamento collettivo possa in astratto configurare uno schema fraudolento, ciò non avviene se la procedura collettiva originaria è stata dichiarata invalida o inefficace.

Nel caso specifico, la procedura di licenziamento collettivo del 2015 era stata annullata con effetto ex tunc, ovvero retroattivamente, come se non fosse mai esistita. Di conseguenza, al momento del licenziamento del dirigente nel 2017, non vi era alcuna procedura collettiva valida da eludere. La Corte ha stabilito che lo “schema fraudolento” non è configurabile proprio perché l’atto che si presumeva di voler aggirare era stato cancellato dall’ordinamento giuridico. I giudici di merito avevano inoltre accertato che le ragioni del licenziamento individuale – ossia la necessità di contenere i costi aziendali e sopprimere la posizione – erano effettive e provate.

La Nozione di “Giustificatezza” nel Licenziamento del Dirigente

Un altro punto cruciale della decisione riguarda la specifica natura del rapporto di lavoro dirigenziale. La Corte ha ribadito che per il licenziamento dirigente non è richiesto un “giustificato motivo oggettivo” come per gli altri lavoratori, ma è sufficiente la “giustificatezza”.

Questo concetto è molto più ampio e flessibile. Implica che la decisione del datore di lavoro debba essere fondata su ragioni oggettive e serie, legate all’organizzazione aziendale o a motivi economici, e non debba essere arbitraria, discriminatoria o pretestuosa. Nel caso di specie, la documentata crisi aziendale e la reale soppressione della posizione lavorativa sono state considerate sufficienti a integrare il requisito della giustificatezza, rendendo legittimo il recesso.

Le motivazioni

La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile basandosi su diversi punti chiave. In primo luogo, ha escluso la configurabilità di uno “schema fraudolento” poiché la precedente procedura di licenziamento collettivo era stata annullata giudizialmente con effetto ex tunc, rendendola legalmente inesistente fin dall’inizio. Pertanto, il successivo licenziamento individuale non poteva essere considerato un tentativo di eludere una procedura valida. In secondo luogo, le valutazioni di fatto operate dalla Corte d’Appello, come la giustificazione del ritardo nei licenziamenti di altri dipendenti, sono state ritenute insindacabili in sede di legittimità. Gli altri motivi di ricorso sono stati respinti perché miravano a una nuova valutazione dei fatti, preclusa alla Corte di Cassazione, anche in virtù del principio della “doppia conforme”, essendo le decisioni di primo e secondo grado concordanti.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un chiarimento fondamentale sul concetto di frode alla legge in materia di licenziamenti. Stabilisce che un recesso individuale, pur motivato da ragioni simili a quelle di una precedente e fallita procedura collettiva, non è automaticamente fraudolento se tale procedura è stata annullata. L’elemento dirimente è l’effetto giuridico dell’annullamento, che cancella retroattivamente la procedura. Per le aziende, ciò significa che è possibile correggere un percorso errato attraverso successive azioni individuali legittime e giustificate. Per i dirigenti, la sentenza ribadisce che la tutela del loro posto di lavoro si basa sul principio di “giustificatezza”, che richiede una ragione aziendale reale e non pretestuosa, e che dimostrare un intento fraudolento richiede prove concrete che vadano oltre la mera successione temporale degli eventi, specialmente in presenza di precedenti atti giudiziali di annullamento.

Un licenziamento individuale può essere considerato una frode alla legge se segue una procedura di licenziamento collettivo basata sulle stesse ragioni?
Non necessariamente. La Corte di Cassazione ha chiarito che se la precedente procedura di licenziamento collettivo è stata annullata in sede giudiziale con effetti ex tunc (cioè, come se non fosse mai esistita), allora non si può configurare lo “schema fraudolento”, poiché il successivo licenziamento individuale non sta eludendo una procedura valida.

Qual è il requisito per la legittimità del licenziamento di un dirigente?
Per il licenziamento di un dirigente è sufficiente la “giustificatezza”, un concetto più ampio del “giustificato motivo” previsto per gli altri lavoratori. Ciò significa che il licenziamento deve essere fondato su ragioni reali e serie e non deve essere arbitrario o pretestuoso, ma non richiede le stesse stringenti condizioni di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Il fatto che una società annulli una procedura di licenziamento collettivo e poi proceda con licenziamenti individuali è di per sé prova di un comportamento elusivo?
No. Secondo la sentenza, l’annullamento della procedura collettiva la rende inefficace. La società può quindi procedere con licenziamenti individuali, a condizione che possa dimostrare la sussistenza effettiva delle ragioni poste a base dei singoli recessi (come la necessità di contenere i costi e la soppressione di specifiche posizioni lavorative).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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