Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1226 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 1226 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.
25180/2022 r.g., proposto da
COGNOME NOME COGNOME , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 1638/2022 pubblicata in data 15/04/2022, n.r.g. 3441/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 05/12/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME era stato dipendente di RAGIONE_SOCIALE con qualifica dirigenziale, fino al 28/04/2017, quando era stato licenziato per soppressione delle sue funzioni di direttore amministrazione e finanza, attribuite all’amministratore unico.
OGGETTO:
licenziamento del dirigente per g.m.o. -precedente licenziamento collettivo per riduzione di personale -frode alla legge -accertamento in concreto giustificatezza del licenziamento – nozione
Impugnava il licenziamento sostenendone la nullità per frode alla legge, poiché relativo ad una riduzione del personale per la quale la società avrebbe dovuto rispettare gli oneri formali e procedurali previsti dalla legge n. 223/1991, vista l’identità delle ragioni addotte rispetto alla precedente procedura di licenziamento collettivo, terminata con recessi datoriali impugnati dai dipendenti ed annullati in sede giurisdizionale.
In via principale chiedeva, dunque, la condanna della società al pagamento delle 24 mensilità previste dall’art. 24, co. 1 quinquies, L. n. 223/1991, pari alla somma di euro 291.040,00.
In subordine deduceva l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo addotto e, quindi, l’ingiustificatezza del licenziamento. In via subordinata chiedeva, pertanto, la condanna della società al pagamento dell’indennità supplementare prevista dal CCNL per i dirigenti di aziende commerciali, distribuzione e servizi, pari alla somma di euro 185.542,69.
2.Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale rigettava entrambe le domande.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dal COGNOME.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
è vero che la procedura di licenziamento collettivo avviata nel 2015 per quindici unità, conclusasi con numerosi annullamenti da parte dei Tribunali, era fondata su una motivazione sostanzialmente coincidente con quella poi addotta a motivazione dei licenziamenti individuali plurimi adottati nel periodo 2016/2017, fra qui quello del Murdolo;
tuttavia va condiviso il convincimento del Tribunale, secondo cui non sussiste alcuna elusione della normativa relativa ai licenziamenti per riduzione di personale, poiché le ragioni addotte a giustificazione del licenziamento individuale -ossia la necessità di contenere i costi aziendali e di sopprimere determinate posizioni di lavoro fra cui quella del Murdolo -sono risultate provate come effettivamente sussistenti;
la mancata inclusione del licenziamento della dipendente COGNOME nei 120 giorni entro cui i precedenti erano stati intimati esonera la società dal rispetto delle regole sui licenziamenti collettivi;
la società ha giustificato lo slittamento del licenziamento delle dipendenti COGNOME e COGNOME con la necessità di procedere al tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 7 L. n. 604/1966;
trattasi di una giustificazione plausibile che, in assenza di ulteriori allegazioni da parte dell’appellante, esclude la dedotta frode alla legge;
con riguardo alla domanda subordinata, va premesso che per il licenziamento del dirigente è sufficiente la sussistenza della giustificatezza, che è concetto diverso e molto più ampio di quelli di giusta causa e di giustificato motivo validi per tutti i dipendenti non dirigenti; a tal fine è sufficiente che il recesso datoriale non sia arbitrario né pretestuoso;
nel caso di specie non rilevano le circostanze addotte dal COGNOME (la nomina dell’ing. COGNOME ad amministratore unico con una retribuzione di gran lunga superiore a quella dell’appellante; il conferimento di un incarico di consulenza alla RAGIONE_SOCIALE che avrebbe dovuto occuparsi delle stesse attività di cui si occupava l’appellante; l’assunzione a tempo indeterminato di un nuovo dipendente tale COGNOME NOME), poiché è documentato lo stato di crisi nel suo complesso che giustifica la soppressione della posizione lavorativa dell’appellante;
l’attribuzione di quelle funzioni all’amministratore unico determina comunque un risparmio in termini di costi ‘indiretti’;
la società ha dimostrato che l’assunzione del nuovo dipendente COGNOME è stata la conseguenza necessitata di una procedura conciliativa.
4.- Avverso tale sentenza COGNOME NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
5.- Fiera RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 24, co. 1
quinquies, 5 e 17 L. n. 223/1991, 1344 c.c. per avere la Corte territoriale escluso la frode alla disciplina sui licenziamenti collettivi.
Il motivo è inammissibile.
Il richiamo al precedente di questa Corte -ordinanza n. 7400/2022 -non è utile al ricorrente. In quell’occasione si è affermato che realizza certo uno schema fraudolento il licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto per gli stessi motivi già addotti a fondamento di un precedente licenziamento collettivo. Ma si è avuto cura di precisare che tale schema è invece escluso, qualora il licenziamento collettivo sia risultato invalido o inefficace.
Nel caso di specie, come accertato in fatto dalla Corte territoriale, il precedente licenziamento collettivo -avviato nell’anno 2015 e al quale era rimasto estraneo il Murdolo -era stato impugnato dai lavoratori ed annullato in sede giurisdizionale. Ne consegue che lo ‘schema fraudolento’ invocato dal ricorrente non è configurabile proprio alla luce del precedente di questa Corte da lui invocato: alla data di intimazione del licenziamento individuale del Murdolo (nell’anno 2017) era già intervenuto l’annullamento, con effetti ex tunc , del precedente licenziamento collettivo (riguardante altri lavoratori e non il COGNOME), ormai da considerare quindi inefficace.
Va poi aggiunto che i giudici d’appello hanno preso in considerazione il dato numerico, ritenuto insufficiente ai fini dell’applicazione della disciplina dei licenziamenti per riduzione di personale. Hanno escluso che il ritardo di altri due licenziamenti -delle dipendenti COGNOME e COGNOME -fosse sintomo della frode, motivatamente ritenendo fondata la giustificazione addotta dalla società, secondo cui il tempo di intimazione di quei due licenziamenti individuali era dipeso dalla necessità di rispettare i tempi imposti dal procedimento relativo al tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 7 L. n. 604/1966. Trattasi di apprezzamenti di fatto, come tali riservati al giudice di merito e quindi insindacabili in sede di legittimità, qualora -come nella specie -adeguatamente motivati.
Infine sono inammissibili le ulteriori censure, con cui il ricorrente sollecita a questa Corte un nuovo e diverso apprezzamento di determinate circostanze, da lui rappresentate come indici significativi dell’elusione e quindi della frode alla legge, apprezzamento che attiene ai fatti di causa e,
quindi, è riservato ai giudici di merito.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, rappresentato dal documento che si era offerto di depositare per la prima volta in appello, in quanto la sua disponibilità era sopravvenuta al giudizio di primo grado.
Il motivo è inammissibile.
Come riconosce anche il ricorrente, quel documento è rappresentativo di un fatto solo ‘connesso’ con la questione oggetto del giudizio relativa allo scaglionamento dei licenziamenti individuali. Dunque per definizione non è ‘decisivo’ nel senso voluto dall’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c., perché nella prospettiva del ricorrente -ha solo una valenza concorrente rispetto a tutti gli altri indici a suo avviso significativi della frode alla legge.
Sotto altro profilo, la censura è inammissibile perché quel documento non è immediatamente rappresentativo di un fatto, evincibile ictu oculi , bensì richiede una valutazione della sua portata probatoria e, in definitiva, un giudizio sulla sua forza rappresentativa, attività entrambe riservate al giudice di merito e quindi interdette a questa Corte di legittimità.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la falsa applicazione degli artt. 2118, 2727 e 2729 c.c., 115 c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto il licenziamento assistito da giustificatezza.
Il motivo è inammissibile, dal momento che sollecita a questa Corte un diverso apprezzamento di circostanze fattuali (analiticamente indicate nel ricorso per cassazione, pp. 18-19), riservato ai giudici di merito.
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti.
Il motivo è inammissibile sia perché precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 348 ter, ult. co., c.p.c. ora art. 360, pen. co. c.p.c.), sia perché integrato da una pluralità di fatti, ciascuno dei quali, per ciò stesso, non può dirsi ‘decisivo’ nel senso imposto dall’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c.
5.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in