Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33143 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33143 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 29809-2022 proposto da:
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2549/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 13/06/2022 R.G.N. 3303/2021;
Oggetto
Licenziamento del dirigente
R.G.N. 29809/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 07/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere Dott. NOMECOGNOME
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di prime cure, ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE volta a far accertare l’illegittimità del recesso dal rapporto di lavoro dirigenziale intercorso con la società, intimato per giusta causa in data 12 febbraio 2018, con le conseguenti richieste economiche;
la Corte territoriale, in estrema sintesi, ha preliminarmente considerato la ‘lettera di contestazione disciplinare, nella quale la società appellata ha dato atto che il COGNOME aveva comunicato con la pec del 31 gennaio 2018 di ricoprire cariche nei consigli di amministrazione di quattro consorzi, ossia INDIRIZZO, INDIRIZZO San Basilio e RAGIONE_SOCIALE, specificandone in dettaglio tutti i dati identificativi’, per cui ‘la condotta contestata è stata quella di aver taciuto alla società Cemitaly il ricoprire cariche nei consigli di amministrazione di quattro consorzi svolgenti attività in concorrenza e partecipati da società del gruppo Caltagirone’;
in accoglimento, quindi, dell’appello incidentale della società, la Corte ha argomentato: ‘l’avere comunicato solo in occasione del piano di incentivo all’esodo, il patto di non concorrenza successivo all’adesione, non toglie l’illiceità del comportamento posto in essere, il quale va valutato alla luce del particolare obbligo di diligenza che grava sul dirigente e costituisce giusta causa di recesso che non consente la prosecuzione anche temporanea del rapporto, considerati gli obblighi di diligenza e
di fedeltà particolarmente stringenti che su di lui gravano: il mantenere cariche di presidente del c.d.a. in consorzi in cui partecipano società concorrenti, del gruppo Caltagirone, anche se divenuti tali dopo il 2.1.2018, ossia dopo la cessione delle quote dalla RAGIONE_SOCIALE, anche solo per il breve lasso di tempo di un mese costituisce comportamento che, valutato alla stregua dell’obbligo di fedeltà del dirigente, è idoneo a determinare il recesso in tronco; dal momento della cessione alla RAGIONE_SOCIALE sul dirig ente gravava l’obbligo di dismettere le cariche ricoperte in consorzi partecipati da società concorrenti’ mentre, ‘per motivi personali, ha deciso di mantenerli, ponendo in essere pertanto una attività che, anche se per ipotesi solo potenzialmente, è in co ntrasto con gli interessi della società cessionaria’;
quanto alla richiesta di una indennità sostitutiva per le ferie non godute, la Corte ha confermato il rigetto della domanda già disposto in prime cure, applicando il principio di non contestazione e aggiungendo che il dirigente può disporre liberamente delle proprie ferie, salvo che non deduca e provi che la mancata fruizione sia dipesa dalla volontà datoriale o da eccezionali ed ostative necessità aziendali, circostanze nella specie neanche dedotte dal COGNOME;
per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso il soccombente, con tredici motivi; ha resistito l’intimata società con controricorso;
entrambe le parti hanno comunicato memorie;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere richiamati secondo la sintesi articolata dalla stessa parte ricorrente:
1.1. il primo motivo denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2105 c.c., 2119 c.c. per aver ritenuto violato l’obbligo di fedeltà in assenza di condotta antigiuridica non essendo ravvisabile nella condotta ascritta alcuna violazione dell’obblig o di non concorrenza (ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.)’;
1.2. il secondo motivo denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2119, 2105 c.c., in relazione agli artt. 1175, 1176 e 1375 c.c. per erronea applicazione dei canoni di buona fede e correttezza e per erronea applicazione del parametro di cui all’ art. 1176 c.c. (ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.)’;
1.3. il terzo motivo denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2105, 2119 c.c. in relazione agli artt. 1175 c.c., 1176 c.c. e 1375 c.c. ed art. 5 L. 604/1966 per erronea valorizzazione della potenzialità lesiva della condotta ascritta (ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.)’;
1.4. il quarto mezzo denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art.2119 c.c. quale erronea applicazione della clausola generale in relazione alla lesione del vincolo fiduciario (ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.)’;
1.5. il quinto motivo denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2119 e 2106 c.c. per l’omesso accertamento della proporzionalità tra fatto e sanzione (ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)’;
1.6. il sesto motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e ss., degli artt. 19 e 22 CCNL Dirigenti 19 CCNL Dirigenti Aziende produttrici di beni e servizi in relazione agli artt. 2105, 2106, 1175 e 1375 c.c. (ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.)’;
1.7. il settimo motivo denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2119 c.c. e dell’art. 2105 c.c. in raccordo all’art. 36 c.c. non concretando il comportamento dell’Ing. COGNOME alcuna violazione di tale ultima disposizione, alla luce della sogge ttività giuridica e dell’autonomia dei consorzi di urbanizzazione rispetto ai soggetti che ne fanno parte (ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)’;
1.8. l’ottavo motivo, in via subordinata, denuncia: ‘Nullità della sentenza in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., per motivazione apparente (ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.)’;
1.9. il nono motivo lamenta: ‘Omessa pronuncia sulle istanze istruttorie -omesso esame di un punto decisivo per il giudizio (art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.)’;
1.10. il decimo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 19 CCNL comma 15 di categoria, in relazione agli art.1362 e ss. (ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. ed art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.) sulla misura dell’indennità supplementare e la decorren za dell’anzianità di servizio’;
1.11. l’undicesimo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 2118, 2121 e 2099 c.c., 1362 e ss. (ex art.360 comma primo n.3 c.p.c.) sulla rideterminazione dell’indennità sostitutiva del preavviso’;
1.12. il dodicesimo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. cod.civ., dell’art. 36 Cost., degli artt. 2099, art. 2109 c.c., all’art. 2697 c.c., 115 c.p.c. anche in relazione all’art. 418 c.p.c. (art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.) s ul mancato riconoscimento dell’indennità ferie e per aver ritenuto provate circostanze contestate’;
1.13. il tredicesimo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2059 e 2697 cod. civ,
anche in relazione agli artt. 2 e 3 della Costituzione (ex art. 360 comma n. 1 n. 3 c.p.c.) sul danno all’immagine’;
il ricorso non può trovare accoglimento;
2.1. in diritto, necessario premettere che, per espressa previsione contenuta nell’art. 10 della l. n. 604 del 1966, la disciplina limitativa del potere di licenziamento non si applica al rapporto di lavoro dirigenziale che, per tale ragione, si colloca nell’a rea della libera recedibilità;
ne consegue che, ai fini dell’eventuale riconoscimento dell’indennità supplementare prevista per la categoria dei dirigenti dalla contrattazione collettiva, occorre fare riferimento alla nozione di ‘giustificatezza’ che si discosta, sia nel piano soggettivo che su quello oggettivo, da quella di giustificato motivo ex art. 3, legge n. 604 del 1966, e di giusta causa ex art. 2119 cod. civ., trovando la sua ragione d’essere, da un lato, nel rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro in ragione delle mansioni affidate – suscettibile di essere leso anche da mera inadeguatezza rispetto ad aspettative riconoscibili ” ex ante ” o da importante deviazione dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro, ovvero da comportamento extralavorativo incidente sull’immagine aziendale a causa della posizione rivestita – e, dall’altro, nello stesso sviluppo delle strategie di impresa che rendano nel tempo non pienamente adeguata la concreta posizione assegnata al dirigente nella articolazione della struttura direttiva dell’azienda (tra tutte: Cass. n. 25145 del 2010; successive conf.: Cass. n. 23894 del 2018; Cass. n. 27199 del 2018);
pertanto, fatti o condotte non integranti una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento con riguardo ai rapporti di lavoro subordinato in generale possono giustificare il
licenziamento del dirigente, essendo la giustificatezza integrata da qualsiasi motivo, purché apprezzabile sul piano del diritto, idoneo a turbare il legame di fiducia con il datore nel cui ambito rientra l’ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente, considerato che maggiori poteri presuppongono maggiore intensità della fiducia e uno spazio più ampio ai fatti idonei a scuoterla, fermo restando, inoltre, che la valutazione della idoneità del fatto materiale ad integrare la giustificatezza è rimessa al giudice di merito (tra tutte: Cass. n. 15322 del 2004 e Cass. n. 17039 del 2005);
è sufficiente una valutazione globale che escluda: l’arbitrarietà del recesso (Cass. n. 6110 del 2014; Cass. n. 34736 del 2019) o un comportamento pretestuoso ai limiti della discriminazione ovvero irrispettoso delle regole procedimentali che assicurano la correttezza dell’esercizio del recesso (Cass. n. 11691 del 2005; conf. Cass. n. 6169 del 1999);
anche in relazione all’art. 2119 c.c., rilevante pure per il dirigente ai fini dell’eventuale riconoscimento dell’indennità sostitutiva del preavviso, è stato precisato che anche la nozione legale di giusta causa risente – sia pure in misura più contenuta in quanto legata ad una definizione legale più precisa dettata dall’esigenza di tener conto della maggiore gravità delle conseguenze – dell’investimento di fiducia fatto dal datore di lavoro con l’attribuire al dirigente compiti, di volta in volta strategici o comunque di impulso, direzione e di orientamento nella struttura organizzativa aziendale (Cass. n. 25145 del 2010);
ad esempio, è stato ritenuto possa legittimamente ricorrersi, nel rapporto di lavoro dirigenziale, al licenziamento per giusta causa a norma dell’art. 2119 c.c. anche con riferimento a situazioni che, pur non concretizzandosi in inadempimenti del
lavoratore, incidono in maniera tale sul rapporto fiduciario proprio del rapporto di lavoro, da non consentire la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto medesimo (v. Cass. n. 14466 del 2000, in fattispecie relativa a dirigente responsabile del settore commerciale che aveva assunto la qualità di socio e di amministratore di un’impresa concorrente);
2.2. sul versante dell’obbligo di fedeltà, sempre in diritto, opportuno rammentare che, per giurisprudenza pacifica, l’obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato ha un contenuto più ampio di quello risultante dall’art. 2105 cod. civ., dovendo integrarsi con gli artt. 1175 e 1375 cod. civ., che impongono correttezza e buona fede anche nei comportamenti extralavorativi, necessariamente tali da non danneggiare il datore di lavoro (tra le altre: Cass. n. 2550 del 2015; Cass. n. 14176 del 2009);
l’obbligo di fedeltà, così integrato, deve quindi intendersi non soltanto come mero divieto di abuso di posizione attuato attraverso azioni concorrenziali e/o violazioni di segreti produttivi, ma anche come divieto di condotte che siano in contrasto con i doveri connessi con l’inserimento del dipendente nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o che creino situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o che siano, comunque, idonee a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto (cfr., ex aliis , Cass. n. 8711 del 2017; Cass. n. 14249 del 2015; Cass. n. 144 del 2015; Cass. n. 25161 del 2014; Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 5629 del 2000); giova sottolineare che è sufficiente anche la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro potenzialmente produttiva di danno (v. Cass. n. 313 del 1996; Cass. n. 512 del 1997; Cass. n. 8208 del 1998; Cass. n.
7990 del 2000; Cass. n. 6957 del 2005; Cass. n. 2474 del 2008; più di recente Cass. n. 2550/2015 cit.), atteso che occorre valutare la idoneità del comportamento a produrre un pregiudizio potenziale, per sé stesso valutabile nell’ambito della natura fiduciaria del rapporto, indipendentemente dal danno economico effettivo, la cui entità ha un rilievo secondario e accessorio nella valutazione complessiva delle circostanze di cui si sostanzia l’azione commessa (Cass. n. 13536 del 2002);
invero, è noto che, in tema di licenziamento per giusta causa, nella valutazione dell’idoneità della condotta ad incidere sulla persistenza dell’elemento fiduciario, occorre avere riguardo anche alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento richiesto dalle mansioni espletate (cfr. tra molte Cass. n.1978 del 2016) ed è chiaro che nel rapporto di lavoro dirigenziale il profilo del vincolo fiduciario assume peculiare rilievo, con accentuazione degli obblighi di fedeltà e diligenza, stante il rapporto di collaborazione fiduciaria con il datore di lavoro, del quale è un ” alter ego “, occupando una posizione di particolare responsabilità e collocandosi al vertice dell’organizzazione aziendale, svolgendo mansioni tali da improntare la vita dell’azienda (cfr. Cass. n. 394 del 2009); l’accertamento di tali elementi, così come la mera preordinazione di una attività contraria agli interessi del datore di lavoro, che sia potenzialmente lesiva, concreta un accertamento di fatto, riservato al giudice del merito, sindacabile in sede di legittimità nei ristretti limiti in cui lo è ogni accertamento di fatto (da ultimo: Cass. n. 26181 del 2024); 2.3. alla stregua di tali premesse in diritto, possono essere scrutinabili congiuntamente per connessione, in quanto censurano, sotto esaminati i primi sette motivi del ricorso, molteplici profili, la violazione o falsa applicazione degli artt.
2119 e 2105 c.c., oltre che degli artt. 1175 e 1176 e della disciplina della contrattazione collettiva per i dirigenti d’azienda; essi non possono trovare accoglimento in quanto, lungi dall’individuare i pur prospettati errori di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nell’applicare i princìpi innanzi enunciati, in sostanza mirano ad una diversa valutazione circa la idoneità del fatto addebitato ad integrare la giustificatezza ovvero giusta causa di recesso dal rapporto di lavoro dirigenziale; tuttavia, per quanto detto, si tratta di apprezzamento, che investe circostanze fattuali calate nel contesto della vicenda concreta, chiaramente rimesso al giudice di merito, non sindacabile in questa sede di legittimità sollecitando una diversa valutazione;
la Corte territoriale ha espresso, con una motivazione che certamente valica la soglia del cd. ‘ minimum ‘ costituzionale, il proprio convincimento in ordine alla sussistenza dell’addebito, alla lesività, anche solo potenziale, della condotta, alla idoneità della stessa a turbare il legame di fiducia avuto riguardo alla peculiarità del rapporto di lavoro dirigenziale, alla conseguente esclusione dell’arbitrarietà e pretestuosità del recesso;
2.4. da quanto precede, deriva anche l’infondatezza dell’ottavo motivo di ricorso, che subordinatamente lamenta una pretesa apparenza della motivazione, così grave da determinare la nullità della sentenza, in ordine alla mancanza di una indagine sulla concreta lesività della condotta; per quanto detto, si tratta di circostanza di per sé non decisiva e comunque frutto di valutazioni di merito;
2.5. il nono motivo è inammissibile, perché erroneamente deduce nelle forme dell’omesso esame di un fatto decisivo ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. la ‘omessa pronuncia sulle istanze istruttorie’ che eventualmente riguarda un error in
procedendo e che, comunque, non può determinare una omessa pronuncia rilevante ai sensi dell’art. 112 c.p.c. che, come noto, riguarda domande o eccezioni di merito e non fatti processuali; 2.6. il decimo motivo, concernente la misura dell’indennità supplementare, l’undicesimo, concernente la rideterminazione dell’indennità sostitutiva del preavviso, e il tredicesimo motivo, concernente il preteso danno all’immagine, sono inammissibili; essi, infatti, non si confrontano con la sentenza impugnata che ha respinto tali domande in quanto ha ritenuto legittimo il recesso in tronco, mentre le censure in esame si fondano evidentemente sull’ ‘auspicato accoglimento’ dei precedenti motivi di ricorso per cassazione, eventualità però non verificatasi;
2.7. parimenti inammissibile il dodicesimo motivo, atteso che, fermo come l’operatività del principio di non contestazione sia affidata all’apprezzamento del giudice di merito, la domanda relativa all’indennità sostitutiva per le ferie non godute è stata respinta dalla Corte territoriale anche per una seconda ratio decidendi -come ricordato nello storico di lite -che non ha costituito oggetto di adeguata confutazione, sicché in alcun modo l’accoglimento del motivo potrebbe condurre alla cassazione della sentenza impugnata sul punto;
infatti, è giurisprudenza di questa Corte quella secondo cui, qualora la sentenza impugnata sia basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l’uno dallo altro, e ciascuno, di per sé solo, idoneo a supportare il relativo dictum , la resistenza di una di queste rationes agli appunti mossigli con l’impugnazione comporta che la decisione deve essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurata privando in tal modo l’impugnazione dell’idoneità al raggiungimento del suo
obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (cfr., in merito, ex multis , Cass. n. 4349 del 2001, Cass. n. 4424 del 2001; Cass. n. 24540 del 2009);
3. pertanto, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in complessivi euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 7 novembre