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Licenziamento dirigente: la giustificatezza

Una dirigente veniva licenziata per soppressione del suo ruolo nell’ambito di una riorganizzazione aziendale. La Corte d’Appello aveva ritenuto legittimo il recesso, riconoscendone la ‘giustificatezza’. La Corte di Cassazione, con la presente ordinanza, ha rigettato il ricorso della lavoratrice, chiarendo che il licenziamento dirigente non richiede un ‘giustificato motivo’ come per gli altri dipendenti, ma solo che la decisione non sia arbitraria, pretestuosa o contraria a buona fede. La valutazione di tale ‘giustificatezza’ spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se correttamente motivata. Anche il ricorso incidentale dell’azienda è stato respinto.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento Dirigente: La Cassazione chiarisce i limiti della ‘Giustificatezza’

Il licenziamento dirigente è una tematica complessa, caratterizzata da un regime normativo distinto rispetto a quello previsto per la generalità dei lavoratori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce sul concetto di ‘giustificatezza’, il criterio che determina la legittimità del recesso datoriale nei confronti di un manager. Analizziamo il caso e la decisione dei giudici per comprendere le implicazioni pratiche per aziende e dirigenti.

Il Caso: Dalla Riorganizzazione Aziendale al Ricorso in Cassazione

La vicenda ha origine dal licenziamento di una dirigente con la qualifica di Chief Operating Officer, comunicato da un’importante società nell’ambito di un processo di revisione dell’organizzazione aziendale volto alla riduzione dei costi. La lavoratrice ha impugnato il licenziamento, ritenendolo illegittimo.

Sia il Tribunale in primo grado sia la Corte d’Appello hanno respinto le doglianze della dirigente, confermando la legittimità del recesso. I giudici di merito hanno concluso che il licenziamento era supportato da una ‘giustificatezza’, in quanto motivato da effettive esigenze di riorganizzazione e non da ragioni arbitrarie o pretestuose. La Corte d’Appello ha, tuttavia, parzialmente riformato la sentenza di primo grado, ricalcolando l’indennità sostitutiva del preavviso per includervi il valore di un benefit (l’alloggio).

La dirigente ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basandolo su quattro motivi principali incentrati sulla violazione delle norme contrattuali e codicistiche in tema di motivazione e giustificatezza del recesso. La società ha risposto con un controricorso, presentando a sua volta un ricorso incidentale per contestare il metodo di calcolo del benefit applicato dalla Corte d’Appello.

La ‘Giustificatezza’ nel licenziamento dirigente: cosa significa?

Il cuore della questione giuridica risiede nella distinzione tra il ‘giustificato motivo’ (previsto dalla Legge 604/1966 per la generalità dei lavoratori) e la ‘giustificatezza’ del licenziamento dirigente.

La legge esclude espressamente i dirigenti dall’applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti. Il loro rapporto di lavoro si colloca nell’area della libera recedibilità, mitigata però dalla contrattazione collettiva, che ha introdotto il requisito della ‘giustificatezza’.

La giurisprudenza costante, ribadita in questa ordinanza, chiarisce che la ‘giustificatezza’ si discosta dal giustificato motivo oggettivo e soggettivo. Essa non richiede una crisi aziendale o un inadempimento del dirigente, ma serve a garantire che il licenziamento non sia il frutto di decisioni arbitrarie, pretestuose, discriminatorie o contrarie ai principi di buona fede e correttezza. La sua ragione d’essere si fonda, da un lato, sull’intenso rapporto fiduciario che lega il dirigente all’imprenditore e, dall’altro, sulla tutela della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.), che consente all’imprenditore di scegliere discrezionalmente i suoi più stretti collaboratori.

L’onere della prova e i limiti del controllo giudiziale

I giudici di legittimità hanno sottolineato che la valutazione sulla sussistenza della giustificatezza è un accertamento di fatto rimesso al giudice di merito. Alla Corte di Cassazione non spetta riesaminare le prove, ma solo verificare che il giudice d’appello abbia applicato correttamente i principi di diritto e abbia fornito una motivazione logica e coerente.

La Decisione della Corte di Cassazione e le Motivazioni

La Suprema Corte ha rigettato entrambi i ricorsi, quello principale della dirigente e quello incidentale della società.

Il rigetto del ricorso principale della dirigente

La Corte ha ritenuto infondati tutti i motivi di ricorso della lavoratrice, affermando che la Corte d’Appello di Torino si era attenuta ai principi consolidati in materia. I giudici di merito avevano correttamente verificato che il recesso fosse fondato sull’effettiva soppressione della posizione lavorativa nell’ambito di una reale riorganizzazione, escludendo profili di arbitrarietà. Le critiche della ricorrente, secondo la Cassazione, si traducevano in una richiesta di nuova e diversa valutazione dei fatti, inammissibile in sede di legittimità.

Inoltre, la Corte ha ribadito un altro principio importante: l’obbligo di repechage, ovvero di ricercare una possibile ricollocazione del lavoratore in azienda prima di licenziarlo, è incompatibile con la posizione dirigenziale e con il regime di libera recedibilità che la connota.

L’inammissibilità del ricorso incidentale dell’azienda

Il ricorso della società, che contestava il calcolo del valore dell’alloggio ai fini dell’indennità, è stato dichiarato inammissibile per ‘novità della censura’. La Corte ha rilevato che la questione giuridica e i relativi presupposti di fatto non erano mai stati sollevati nei precedenti gradi di giudizio. In base al principio di autosufficienza del ricorso, la parte che introduce una questione per la prima volta in Cassazione ha l’onere di dimostrare di averla già sottoposta al giudice di merito, cosa che la società non ha fatto.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida alcuni punti fermi in materia di licenziamento dirigente:

1. Flessibilità per l’azienda: Il recesso dal rapporto con un dirigente gode di una maggiore flessibilità. Non è necessario dimostrare un giustificato motivo oggettivo o soggettivo, ma è sufficiente che la decisione sia riconducibile a scelte organizzative razionali e non arbitrarie.
2. Centralità della ‘Giustificatezza’: Il limite invalicabile è rappresentato dalla ‘giustificatezza’, che funge da baluardo contro licenziamenti pretestuosi, discriminatori o contrari a buona fede.
3. Insindacabilità del merito: La valutazione sulla sussistenza delle ragioni organizzative e sull’assenza di arbitrarietà è un accertamento di fatto che, se ben motivato, non può essere messo in discussione davanti alla Corte di Cassazione.
4. Inapplicabilità del Repechage: Viene confermata l’esclusione dell’obbligo di ricollocamento per la figura dirigenziale.

Per le aziende, ciò significa poter rimodellare la propria struttura manageriale in risposta alle esigenze di mercato con un margine di discrezionalità, purché le decisioni siano trasparenti e coerenti. Per i dirigenti, la tutela risiede nella possibilità di far valere in giudizio l’eventuale carattere pretestuoso o illecito del recesso subito.

Il licenziamento di un dirigente richiede le stesse motivazioni di un normale dipendente?
No. Per il licenziamento di un dirigente non è necessario un ‘giustificato motivo’ come per gli altri lavoratori, ma è sufficiente la ‘giustificatezza’. Questo significa che la decisione dell’azienda non deve essere arbitraria, discriminatoria o basata su motivi illeciti, ma può essere legata a scelte organizzative e strategiche.

Un’azienda può licenziare un dirigente per una riorganizzazione aziendale?
Sì. La sentenza conferma che una reale riorganizzazione aziendale, anche se finalizzata a una riduzione dei costi, costituisce una valida ragione per il licenziamento di un dirigente, a condizione che la scelta non sia pretestuosa e risponda a criteri di razionalità economica e organizzativa.

L’obbligo di repechage (ricollocamento) si applica anche ai dirigenti?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito l’orientamento consolidato secondo cui l’obbligo di repechage è escluso per la categoria dirigenziale. Questa esclusione è considerata compatibile con la natura fiduciaria del loro ruolo e con il regime di maggiore libertà di recesso che caratterizza il loro rapporto di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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