Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33154 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33154 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18467-2022 proposto da:
COGNOME NOME , domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 651/2021 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 08/02/2022 R.G.N. 396/2021;
Oggetto
Licenziamento del dirigente
R.G.N. 18467/2022
COGNOME
Rep.
Ud.08/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/11/2024 dal Consigliere Dott. NOMECOGNOME
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Torino, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado nella parte in cui aveva respinto le domande proposte da NOME COGNOME nei confronti della NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE volte a far accertare l’illegittimità del recesso dal rapporto di lavoro dirigenziale intercorso con la società, intimato in data 15 ottobre 2018, motivato dalla soppressione del posto di lavoro di Chief RAGIONE_SOCIALE ‘nell’ambito di un processo di revisione dell’organizzazione aziendale volto a nche ad una riduzione dei costi’; in parziale riforma della sentenza del Tribunale, poi, ha condannato la società -per quanto qui ancora rileva -al pagamento di euro 11.431,64, oltre accessori, a titolo di differenza sull’indennità sostitutiva del preavviso;
la Corte territoriale, in sintesi, confermata la natura dirigenziale del rapporto in controversia, ha effettuato l’indagine sulla ‘giustificatezza’ del licenziamento ‘non tanto rivolta ad accertare le ragioni del provvedimento espulsivo, quanto ad escludere nel medesimo profili di arbitrarietà e di violazione dei principi di buona fede e correttezza’;
all’esito, condividendo le conclusioni del primo giudice, ha argomentato: ‘la conferma e la piena dimostrazione delle ragioni poste alla base del recesso integra il requisito della giustificatezza del licenziamento e ne esclude qualsiasi profilo di arbitrarietà o violazione dei canoni di buona fede e correttezza, profili peraltro non sorretti da specifiche allegazioni della lavoratrice’;
quanto al ricalcolo dell’indennità sostitutiva del preavviso, la Corte, in accoglimento dell’appello incidentale della dirigente, stante l’incidenza del benefit dell’alloggio concesso alla COGNOME, ha ritenuto che ‘il valore reale del benefit sia quello correlato al canone di locazione e non solo al valore catastale maggiorato dal costo delle utenze’;
per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso in via principale la COGNOME con quattro motivi; ha resistito l’intimata società con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato ad un unico motivo; entrambe le parti hanno comunicato memorie; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il
deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso principale possono essere richiamati secondo la sintesi articolata dalla stessa parte ricorrente:
1.1. il primo motivo denuncia: ‘violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c., degli artt. 34 e 39 del CCNL dei dirigenti di aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi stipulato il 21.6.2006 nonché degli artt. 1175, 1362, 1363, 1324, 1366 e 1375 c.c. in punto di verifica giudiziale delle motivazioni del licenziamento e principio di immutabilità della motivazione’;
1.2. il secondo motivo denuncia: ‘omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.’, rappresentato, nella specie, dalla ‘mancata riduzione dei costi derivante dall’ assunzione di una nuova dipendente che svolge,
a parità di retribuzione, una parte dei compiti a suo tempo affidati alla dott.ssa COGNOME
1.3. il terzo motivo denuncia: ‘violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c., degli artt. 34 e 39 del CCNL dei dirigenti di aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi stipulato il 21.6.2006 nonché degli artt. 1175 e 1375 c.c. in punto di sussistenza delle ragioni addotte dal datore di lavoro e del relativo nesso causale’;
1.4. il quarto mezzo denuncia: ‘violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c., degli artt. 34 e 39 del CCNL dei dirigenti di aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi stipulato il 21.6.2006 nonché degli artt. 1175 e 1375 c.c. in punto nozione di giustificatezza del licenziamento’;
il ricorso non può trovare accoglimento;
2.1. in diritto, necessario premettere che, per espressa previsione contenuta nell’art. 10 della l. n. 604 del 1966, la disciplina limitativa del potere di licenziamento non si applica al rapporto di lavoro dirigenziale che, per tale ragione, si colloca nell’a rea della libera recedibilità;
ne consegue che, ai fini dell’eventuale riconoscimento dell’indennità supplementare prevista per la categoria dei dirigenti dalla contrattazione collettiva, occorre fare riferimento alla nozione di ‘giustificatezza’ che si discosta, sia nel piano soggettivo che su quello oggettivo, da quello di giustificato motivo ex art. 3, legge n. 604 del 1966, e di giusta causa ex art. 2119 cod. civ., trovando la sua ragione d’essere, da un lato, nel rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro in ragione delle mansioni affidate – suscettibile di essere leso anche da mera inadeguatezza rispetto ad aspettative riconoscibili ” ex ante ” o da importante deviazione
dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro, ovvero da comportamento extralavorativo incidente sull’immagine aziendale a causa della posizione rivestita – e, dall’altro, nello stesso sviluppo delle strategie di impresa che rendano nel tempo non pienamente adeguata la concreta posizione assegnata al dirigente nella articolazione della struttura direttiva dell’azienda (tra tutte: Cass. n. 25145 del 2010; successive conf.: Cass. n. 23894 del 2018; Cass. n. 27199 del 2018);
sul versante propriamente oggettivo, è stato precisato che la giustificazione del recesso del datore di lavoro non deve necessariamente coincidere con le ragioni previste da detto art. 3 della l. n. 604/66, posto che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con quello della libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost., che verrebbe radicalmente negata, ove si impedisse all’imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie ristrutturazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell’impresa ( ex plurimis : Cass. n. 13719 del 2006 e Cass. n. 3628 del 2012); in questa prospettiva, altrettanto consolidato l’insegnamento secondo cui, in caso di licenziamento del dirigente d’azienda per esigenze di ristrutturazione aziendali, è esclusa la possibilità del repechage in quanto incompatibile con la posizione dirigenziale del lavoratore, assistita da un regime di libera recedibilità del datore di lavoro (v. Cass. n. 3175 del 2013, conf. a Cass. n. 14310 del 2002; n. 322 del 2003; n. 2266 del 2007).
fermo che la valutazione della idoneità del fatto ad integrare la giustificatezza è rimessa al giudice di merito (tra tutte: Cass. n.
15322 del 2004 e Cass. n. 17039 del 2005), è sufficiente una valutazione globale che escluda l’arbitrarietà del recesso (Cass. n. 6110 del 2014; Cass. n. 34736 del 2019) o un comportamento pretestuoso ai limiti della discriminazione (Cass. n. 11691 del 2005; conf. Cass. n. 6169 del 1999);
va anche ribadito che, sebbene il licenziamento del dirigente non si sottragga ai limiti generali posti all’esercizio dei poteri datoriali, per cui esso non può essere il frutto di scelte imprenditoriali arbitrarie, pretestuose o persecutorie (cfr. Cass. n. 13958 del 2014; Cass. n. 21748 del 2010), tuttavia l’apprezzamento circa l’arbitrarietà o pretestuosità del recesso o l’eventuale violazione dei canoni di correttezza e buona fede, così come quello in ordine alla effettività delle ragioni espressamente poste in concreto a giustificazione del licenziamento, rientra nella competenza del giudice del merito, atteso che ‘la valutazione degli elementi fattuali dai quali il giudice di merito trae la persuasione circa l’uso distorto del potere datoriale, , è a ccertamento che investe pienamente la quaestio facti rispetto al quale il sindacato di legittimità si arresta, tanto più nel vigore del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte con le sent enze nn. 8053 e 8054 del 2014’ (cfr. Cass. n. 23503 del 2017, richiamata proprio da parte ricorrente; conf. Cass. n. 23044 del 2021; Cass. n. 2895 del 2023; Cass. n.6540 del 2024);
2.2. alla stregua di tali premesse, possono essere esaminati i quattro motivi del ricorso principale, scrutinabili congiuntamente per connessione, in quanto denunciano, sotto molteplici profili, la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, contenute nel codice civile e nella disciplina della contrattazione collettiva per i dirigenti delle aziende del
terziario, della distribuzione e dei servizi, nonché l’omesso esame di fatti decisivi, con doglianze tutte volte a contestare la ritenuta ‘giustificatezza’ del recesso datoriale così come apprezzata nel doppio grado di merito;
essi non possono trovare accoglimento in quanto la Corte torinese si mostra ben consapevole dei richiamati principi di diritto e, valutando le circostanze del caso concreto, esprime il motivato convincimento che il recesso dal rapporto di lavoro dirigenziale, nella specie, fosse giustificato dalla effettiva soppressione della posizione lavorativa della dirigente, nell’ambito di un processo di riorganizzazione aziendale, escludendo specificamente ‘ qualsiasi profilo di arbitrarietà o violazione dei canoni di buona fede e correttezza, profili peraltro non sorretti da specifiche allegazioni della lavoratrice’;
rispetto a tale valutazione, la parte ricorrente, lungi dall’evidenziare realmente errores in iudicando in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, propone una diversa lettura della vicenda storica, sostenendo – secondo il giudizio che, però, è proprio della parte che vi ha interesse -che il licenziamento era, invece, ingiustificato, ma con critiche che investono il diverso apprezzamento operato in sede di merito, su circostanze fattuali calate nel contesto della vicenda concreta così come si è dipanata nel giudizio, sollecitando così un sindacato estraneo al controllo di legittimità;
in particolare, poi, con le doglianze concernenti una pretesa divergenza tra le motivazioni espresse nella comunicazione del recesso e quanto poi accertato nel corso del giudizio, la parte ricorrente trascura del tutto di considerare il condiviso orientamento giurisprudenziale formatosi proprio in tema di interpretazione della contrattazione collettiva dei dirigenti d’azienda, la quale, pur prevedendo che, in caso di risoluzione
ad iniziativa dell’impresa, quest’ultima sia tenuta a specificarne contestualmente la motivazione, non sanziona tale omissione con il riconoscimento dell’indennità supplementare, ma si limita a prevedere che il dirigente, ove ritenga ingiustificato il recesso, possa ricorrere al collegio arbitrale, il quale, nel caso riconosca, all’esito dell’istruttoria, l’ingiustificatezza del licenziamento, può disporre l’attribuzione della suddetta indennità; secondo tale orientamento, ove la motivazione non sia stata resa con il licenziamento (ovvero, risulti insufficiente o generica), il datore di lavoro, nel rispetto del principio del contraddittorio, può esplicitarla (od integrarla) nell’ambito del giudizio arbitrale, e, nell’ipotesi in cui il dirigente abbia scelto, in conformità al principio di alternatività delle tutele nelle controversie del lavoro, di adire direttamente il giudice ordinario, analoghe facoltà vanno riconosciute alla parte datoriale nell’ambito del processo, atteso che, diversamente, la posizione del datore di lavoro verrebbe ad essere compromessa per effetto di una autonoma ed insindacabile determinazione della controparte (così Cass. n. 3175 del 2013; conf. Cass. n. 3147 del 2019);
l’unico motivo del ricorso incidentale della società denuncia:
‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2121 c.c. e dell’art. 51, comma 4, lett. c), DPR n. 917 del 1986, ai fini della determinazione dell’equivalente dell’alloggio concesso in comodato gratuito alla ricorrente’; rammentato che la norma civilistica prevede che, ai fini del computo dell’indennità di preavviso, debba far parte della retribuzione ‘l’equivalente … dell’alloggio dovuto al prestatore’, si critica la Corte territoriale per non aver utilizzato la disposizione legale ‘già pacificamente applicabile ai fini sia fiscali che contributivi’;
la censura è inammissibile per il suo carattere di novità, atteso che la sentenza impugnata non affronta la questione proposta
nei termini di cui al presente motivo, né chi ricorre indica come e quando tale questione, anche nei suoi risvolti fattuali, sia stata sottoposta al contraddittorio e al giudice;
è noto l’insegnamento per il quale qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr. Cass. SS.UU. n. 34469 del 2019), di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004; più di recente: Cass. n. 32084 del 2019; Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 27568 del 2017);
pertanto, entrambi i ricorsi devono essere respinti, con spese che si compensano per la reciproca soccombenza;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, in via principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti in via principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a que llo per il ricorso, principale e incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale dell’8 novembre