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Licenziamento dirigente: demansionamento e giustificatezza

La Corte di Cassazione ha stabilito che il licenziamento di un dirigente è ingiustificato se motivato dalla soppressione di una posizione lavorativa alla quale il dipendente era stato illegittimamente assegnato a seguito di un demansionamento. In questo caso, il datore di lavoro non può trarre vantaggio dal proprio precedente comportamento illecito per giustificare il recesso. La Corte chiarisce inoltre la distinzione tra licenziamento “invalido” e meramente “ingiustificato” ai fini dell’applicazione dei termini di decadenza per l’impugnazione.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento dirigente: quando il demansionamento lo rende illegittimo

Il licenziamento di un dirigente rappresenta una delle aree più complesse del diritto del lavoro, bilanciando la libertà di recesso del datore di lavoro con la tutela del lavoratore apicale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico: un licenziamento motivato dalla soppressione di una posizione che era stata il risultato di un precedente e illegittimo demansionamento. La Corte ha stabilito un principio fondamentale: il datore di lavoro non può beneficiare del proprio illecito per giustificare un successivo licenziamento.

I Fatti del Caso: Dalla Dequalificazione al Licenziamento

La vicenda riguarda un dirigente di un importante istituto di credito che, a partire dal 2008, subisce un progressivo processo di dequalificazione professionale. Questo percorso culmina nel 2011 con l’assegnazione a una posizione di “dirigente addetto”, caratterizzata da un contenuto professionale notevolmente inferiore rispetto a quello precedentemente ricoperto.

Successivamente, nel contesto di un piano industriale volto alla riduzione dei costi, la banca decide di sopprimere proprio le posizioni di “dirigente addetto”. Di conseguenza, nel 2012, il dirigente viene licenziato, con la motivazione che la sua posizione era stata eliminata. Il lavoratore impugna il licenziamento, sostenendo che la sua ingiustificatezza derivasse direttamente dal demansionamento illegittimo che lo aveva collocato in quella posizione vulnerabile.

Il Percorso Giudiziario e la Decisione della Cassazione

Il percorso giudiziario è stato lungo e articolato. Inizialmente, la Corte d’Appello aveva accolto l’eccezione di decadenza sollevata dalla banca, ritenendo tardiva l’impugnazione del licenziamento. Tuttavia, la Corte di Cassazione, con una prima sentenza, aveva chiarito un punto cruciale: i termini di decadenza previsti per l’impugnazione dei licenziamenti si applicano ai casi di “invalidità” (nullità, annullabilità), ma non alle ipotesi di mera “ingiustificatezza” del recesso del dirigente, che danno diritto a una tutela puramente risarcitoria (l’indennità supplementare).

La causa è stata quindi rinviata alla Corte d’Appello, che, conformandosi al principio di diritto, ha dichiarato il licenziamento ingiustificato e ha condannato la banca al pagamento dell’indennità. Contro questa decisione, l’istituto di credito ha proposto un nuovo ricorso in Cassazione, sostenendo che la valutazione fosse errata, in quanto il licenziamento era avvenuto nell’ambito di un’effettiva riorganizzazione aziendale. La Suprema Corte ha rigettato definitivamente il ricorso della banca, confermando l’illegittimità del recesso.

Le Motivazioni della Corte sul licenziamento del dirigente

Le motivazioni della Cassazione sono chiare e si fondano su un principio di correttezza e buona fede che deve governare il rapporto di lavoro.

La Connessione tra Demansionamento e Licenziamento

La Corte ha stabilito che non si può valutare la legittimità del licenziamento in modo isolato. Il punto centrale non è il demansionamento in sé (già accertato come illegittimo e risarcito in altra sede), ma il fatto che la dequalificazione progressiva e illegittima abbia creato il presupposto per il licenziamento. In altre parole, il lavoratore è stato licenziato perché ricopriva la posizione di “dirigente addetto”, ma si trovava in quella posizione solo a causa di un comportamento illecito del datore di lavoro.

L’Illegittimità del Comportamento del Datore di Lavoro

La ratio decidendi è che un datore di lavoro non può trarre vantaggio da un proprio pregresso comportamento illegittimo per giustificare un licenziamento. Consentirlo violerebbe i principi fondamentali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 c.c.). La banca ha prima collocato illegittimamente il dirigente in una posizione dequalificata e poi ha usato la soppressione di quella stessa posizione come motivo per il recesso. Se il dirigente fosse rimasto nella sua posizione originaria o in una equivalente, non sarebbe stato coinvolto nel taglio del personale.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza rafforza la tutela dei dirigenti contro comportamenti strumentali del datore di lavoro. Le conclusioni pratiche sono significative:

1. Nesso di Causalità: La valutazione della giustificatezza del licenziamento di un dirigente deve tenere conto di eventuali condotte datoriali precedenti. Se il motivo del licenziamento è una conseguenza diretta di un precedente illecito (come un demansionamento), il recesso è da considerarsi ingiustificato.
2. Principio di Non Contraddizione: Un’azienda non può invocare a propria difesa una situazione che essa stessa ha creato violando la legge. Questo principio di coerenza e buona fede agisce come un limite alla discrezionalità del datore di lavoro nel motivare il licenziamento.
3. Tutela Risarcitoria: Viene confermato che, in caso di licenziamento ingiustificato, al dirigente spetta la tutela risarcitoria prevista dalla contrattazione collettiva, ovvero l’indennità supplementare, senza che l’azione sia soggetta ai brevi termini di decadenza previsti per i vizi di invalidità.

Un’azienda può licenziare un dirigente motivando la decisione con la soppressione di una posizione creata appositamente a seguito di un demansionamento?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un datore di lavoro non può trarre vantaggio da un proprio comportamento illegittimo (il demansionamento) per giustificare un successivo licenziamento. Se la posizione soppressa è il risultato di una precedente dequalificazione illegittima, il licenziamento è ingiustificato.

Qual è la differenza tra licenziamento ‘invalido’ e ‘ingiustificato’ per un dirigente?
Un licenziamento ‘invalido’ è affetto da vizi gravi come la nullità (es. discriminatorio) o l’annullabilità, e può portare a tutele più forti, come la reintegrazione. Un licenziamento ‘ingiustificato’ è un recesso che, pur non essendo invalido, non è supportato da una motivazione sufficiente secondo i parametri della contrattazione collettiva, e dà diritto a una tutela puramente risarcitoria (indennità supplementare).

L’impugnazione del licenziamento di un dirigente è sempre soggetta a brevi termini di decadenza?
No. La Corte ha chiarito che i termini di decadenza stringenti (previsti dall’art. 6 della L. 604/1966) si applicano solo alle impugnazioni che contestano l’invalidità del licenziamento. Non si applicano, invece, quando il dirigente lamenta la mera ‘ingiustificatezza’ del recesso al fine di ottenere l’indennità supplementare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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