Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13685 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13685 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7548-2023 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato presso gli indirizzi PEC degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
F.RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 56/2023 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 27/01/2023 R.G.N. 567/2022;
Oggetto
Licenziamento
ex lege n. 92 del 2012
R.G.N. 7548/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 18/02/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
In data 27.4.2021, con lettera ricevuta il 30.4.2021, la F.lli COGNOME di COGNOME NOME, NOME e RAGIONE_SOCIALE intimava al dipendente NOME COGNOME assunto il 19.1.1966 con inquadramento di operaio di livello 15 e mansioni di odontotecnico CCNL odontotecnici-artigiano, il licenziamento con la seguente motivazione: « Oggetto: licenziamento. Con la presente per significarLe che la Direzione è giunta nella determinazione di privarsi della sua collaborazione per giustificato motivo, determinato da una contrazione delle commesse di lavoro in particolari si significa che l’azienda sta attraversando una irreversibile contrazione delle commesse di lavoro e riteniamo tale situazione debba ritenersi immodificabile per un apprezzabile lasso di tempo. Inoltre, nonostante gli sforzi compiuti, non ci è stato possibile adibirla ad altra mansione dal momento che non si tratta di una diminuzione dell’attività limitata ad un reparto o uffici bensì di una diminuita attività che ha investito l’azienda nel suo complesso. Alla data del 30.6 .2021, nel rispetto di quanto previsto dal ‘Decreto Sostegno’ del 22.3.2021 n. 41, il Suo rapporto di lavoro deve intendersi risolto a tutti gli effetti di legge e di contratto. Distinti saluti. Rimini 27/04/2021 ».
Impugnato il recesso, nel contraddittorio delle parti il Tribunale di Rimini, in fase sommaria, rigettava le domande del lavoratore e, in sede di opposizione ex lege n. 92/2012, confermava l’ordinanza evidenziando che il licenziamento conteneva una condizione sospensiva non avveratasi, consistente nella mancata proroga del divieto di licenziamento, rilevando che il rapporto, dopo il 30.6.2021, era proseguito regolarmente ed anzi era in corso avendo il COGNOME sempre regolarmente percepito (senza mai contestarle) le buste paga e le retribuzioni in esse indicate comprendenti il pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
Proposto reclamo, la Corte di appello di Bologna, con la sentenza n. 56/2023, rigettava l’impugnazione di NOME COGNOME
La Corte territoriale respingeva l’eccezione di nullità della pronuncia di primo grado, per essersi il primo giudice limitato a riprendere i motivi dell’ordinanza e, nel merito, riteneva corretta l’interpretazione dell’atto di recesso come operata dal Tri bunale circa il non avveramento della condizione cui era stato sottoposto atteso che la proroga della ‘moratoria Covid’ era stata differita al 31.12.2021; né riteneva che la situazione del COGNOME potesse essere assimilata al licenziamento delle lavoratrici madri in relazione alle quali non poteva ipotizzarsi un recesso differito, in quanto diversi erano gli interessi sottesi alle due tipologie di lavoratori; infine, evidenziava che la contestuale ammissione alla Cassa Integrazione Guadagni non potesse influire sulla regolarità del rapporto in essere atteso che il dipendente percepiva regolarmente i benefici di cui alle buste paga.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resisteva con controricorso la società.
Le parti depositavano memorie.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati, così come presentati dallo stesso ricorrente.
Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli articoli 46 D.l. n. 18/2020 (Decreto cd. ‘Cura Italia’) e 8 del D.l. n. 41/2021 (Decreto cd. ‘Sostegni’), in combinato disposto con l’art. 18 Statuto dei lavoratori. Si richiede la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui non ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato al lavoratore in data 24.04.2021, allorquando vigeva il divieto assoluto di licenziamento introdotto dalla no rmativa ‘emergenziale’ relativa alla pandemia COVID, atteso che tale divieto precludeva la possibilità
del datore di lavoro di recedere dal rapporto, e dunque di intimare in nuce il licenziamento, risultando indifferente che -in tesi -la volontà datoriale fosse quella di differirne gli effetti ad un momento successivo, ossia al venire meno dello stesso divieto. La Corte d’Appello anche dato e non concesso che il licenziamento fosse stato sospensivamente condizionato – avrebbe dunque dovuto limitarsi a rilevare la violazione del divieto e, per l’effetto, dichiarare la violazione del comma 1 dell’art. 18 S t. Lav. Quanto alla tutela applicabile, il divieto di licenziamento in questione derivava da una norma di carattere imperativo e di ordine pubblico, la cui violazione ne comportava ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c. la nullità, per contrarietà, a norme imperative. Trovava, quindi, applicazione l’art. 18 comma 1 l. n. 300/70 perché il licenziamento era riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge e doveva essere dichiarata la nullità del licenziamento intimato al ricorrente, con ordine di reintegra nei confronti del datore di lavoro, che avrebbe dovuto corrispondere le retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegra, oltre al pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
3. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1362 e ss c.c. e 13541325 c.c. nonché dell’art. 1353 c.c. in relazione al contenuto della lettera di licenziamento nella parte in cui la gravata sentenza ha affermato essere il licenziamento intimato sottoposto a condizione sospensiva. Si richiede la riforma della pronuncia impugnata nella parte in cui la Corte distrettuale ha dichiarato che il licenziamento conteneva condizione sospensiva consistente nella mancata proroga del divieto di licenziamento, atteso che il testo, da una parte, (sia nell’oggetto che nel contenuto), esprimeva chiara ed inequivoca la volontà della datrice di interrompere il rapporto (decorso il periodo di preavviso) al 30/06/2021, dall’altra parte, (sia nell’oggetto che nel contenuto) non conteneva alcuna locuzione, espressione, frase e/o richiamo normativo ad un condizione sospensiva; mentre errato risultava essere il richiamo in essa operato al criterio interpretativo della
‘buona fede’ oggettiva. E ciò non solo perché la totale assenza di elementi contrastanti all’inequivoco dato testuale ne precludeva l’adozione atteso che, in difetto di qualunque ‘coordinata’, l’interpretazione non avrebbe potuto che risultare unilaterale e discrezionale, ma altresì per la totale inconferenza degli elementi richiamati a preteso supporto di consimile interpretazione, atteso che: a) all’epoca dell’intimazione datoriale e della impugnazione del lavoratore la legge affermava chiaramente il divieto di recesso per g.m.o.; b) il lavoratore aveva sempre affermato che il richiamo normativo alla legge emergenziale era stato operato dal datore di lavoro per potere unicamente affermare il proprio convincimento di operare in conformità alla legge, circostanza però inconferente ai fini della valutazione di (in)validità dello stesso.
4. Con il terzo motivo si obietta, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1325 e 1326 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale ha statuito la regolare prosecuzione del rapporto di lavoro a decorrere dal 1.07.2021, non avendo il datore revocato il licenziamento nei termini di legge, né avendo il lavoratore mai rinunciato alla proposta impugnazione e neppure mai reso la prestazione lavorativa, bensì proposto l’impugnazione giudiziale nei t ermini di legge. Si richiede la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato essere il rapporto regolarmente proseguito dopo l’1/07/2021, ancorché risultava essere pacifico che il datore di lavoro non aveva revocato il licenziamento nei termini di legge né il lavoratore aveva mai rinunciato alla proposta impugnazione e tanto meno aveva reso alcuna prestazione lavorativa né prima né dopo la proposizione del ricorso giudiziale. Non potendo riconoscersi valore alcuno al fine del ripristino del rapporto al fatto che la datrice, in maniera unilaterale ed arbitraria, invece che comunicare il licenziamento al centro per l’impiego (in tal guisa consentendo al lavoratore di percepire la NASPI) avesse collocato il lavoratore in C.I.G. e questi, pe r l’effetto di ciò, avesse visto accreditarsi il relativo trattamento (divenuta unica fonte di reddito), trattandosi di comportamento dinnanzi al quale il
lavoratore non poteva che tenere, così come ha tenuto, un comportamento assolutamente passivo, salvo assumere quello attivo dell’immediata proposizione dell’azione giudiziale.
Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla società, per carenza di interesse di parte ricorrente sia per il profilo del passaggio in giudicato della questione relativa all’assenza di prova del licenziamento, og getto del presente giudizio, sia per essere stato adottato un successivo licenziamento, nei confronti del lavoratore, in data 24.1.2022, che non era stato impugnato.
Con riferimento al primo aspetto, rileva questo Collegio che non può essersi sul punto formato alcun giudicato perché non vi è stata, nei gradi di merito, sulla questione, alcuna pronuncia che abbia i caratteri di una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia (Cass. n. 32563/2024).
Con riguardo al secondo aspetto, deve rilevarsi che, anche a volere ritenere ritualmente introdotta nel thema disputandum la circostanza del nuovo licenziamento, comunque il ricorrente avrebbe un interesse concreto ad una eventuale pronuncia di illegittimità del recesso per il periodo medio tempore trascorso tra i due recessi.
Ciò premesso, i tre motivi, che per la loro interferenza logicogiuridica possono essere esaminati congiuntamente, non sono fondati.
Deve rilevarsi, infatti, che, in una ipotesi di cd. doppia conforme, vi è stata una univoca interpretazione, da parte di entrambi i giudici di merito, sul fatto che il licenziamento fosse sottoposto ad una condizione sospensiva.
Tale possibilità è stata eccezionalmente ammessa dalla Corte territoriale perché si verteva in una situazione particolare, caratterizzata dalle dirompenti conseguenze della pandemia ‘Covid 19’ sull’economia del periodo, che ha inciso sulla possibilità dei datori di lavoro di licenziare i dipendenti per giustificato motivo oggettivo.
Significativa, sotto questo profilo, è la frase riportata nella lettera del licenziamento: ‘Alla data del 30.6.2021, nel rispetto di quanto previsto dal ‘Decreto Sostegno’ del 22.2.2021 n. 41, il Suo rapporto di lavoro deve intendersi risolto a tutti gli effetti di legge e di contratto’, che lascia proprio intendere la volontà della società di intimare il licenziamento in ossequio alla normativa emergenziale e, del resto, la stessa Corte di appello ha sottolineato che non era stata ipotizzata altra lettura, da parte del lavoratore, virtualmente idonea ad ingenerare un dubbio effettivo quanto alla volontà di recedere dal rapporto non appena possibile, cioè al compimento del termine fissato dal D.l. n. 41/2021, che valeva necessariamente anche quale condizione sospensiva.
Come riportato nella gravata pronuncia, poi, la ‘moratoria RAGIONE_SOCIALE fu prorogata fino al 31.12.2021 rendendo, quindi inefficace l’intimato recesso fondato su presupposti ormai superati per legge.
Orbene, la esegesi di atti negoziali -riservata al giudice di merito ed il cui risultato è incensurabile in sede di legittimità ove rispettoso dei criteri di ermeneutica contrattuale e sorretto da motivazione immune da vizi- va condotta sulla scorta di due fondamentali elementi che si integrano a vicenda, e cioè il senso letterale delle espressioni usate e la ‘ratio’ del precetto contrattuale, nell’ambito non già di una priorità di uno dei due criteri, ma in quello di un razionale gradualismo dei mezzi di interpretazione i quali debbono fondersi ed armonizzarsi nell’apprezzamento dell’atto negoziale (Cass. n. 701/2021; Cass. n. 11666/2022).
Inoltre, è stato affermato che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un atto (o contratto) non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola (anche contrattuale) sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di
merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. n. 24539/2009).
Ciò perché i n tema di interpretazione dell’atto di autonomia privata il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. n. 2465/2015).
Nella fattispecie, l’esegesi dell’atto di recesso operato da entrambi i giudici del merito non contrasta con i criteri interpretativi di legge ed appare plausibile e coerente sotto un profilo logico.
Con un accertamento di fatto, adeguatamente motivato e, pertanto, insindacabile in questa sede, la Corte distrettuale ha poi dato atto che, il rapporto di lavoro, dopo la data del 30.6.2021, era regolarmente proseguito.
Tale prosecuzione è stata desunta sia dalla corresponsione al lavoratore degli importi, da luglio a dicembre 2021, riportati nelle buste paga a mezzo bonifici bancari, sia dalla irrilevanza della mancata prestazione lavorativa dipesa dalla contestuale ammissione alla Cassa Integrazione Guadagni che comprovava proprio la continuità del rapporto in essere.
A fronte di una ricostruzione in fatto in cui è stato, quindi, rilevato che l’irrogato licenziamento non aveva mai spiegato i suoi effetti perché, così come intimato, non era mai, in sostanza, venuto in essere in quanto soggetto alle disposizioni di salvaguardia della normativa ‘Covid’ e in cui il rapporto di lavoro era, in realtà, proseguito, dopo il termine indicato nella lettera di recesso, senza soluzione di continuità e senza alcuna contestazione delle parti, ne consegue che in modo esatto è stato ritenuto che non vi era spazio per dichiarare la nullità di un atto nella sostanza mai venuto in essere sotto il profilo giuridico, non potendosi equiparare la fattispecie
concreta, per la diversità dei presupposti a fondamento degli stessi, sia a quella del licenziamento con preavviso che a quella della lavoratrice madre, come evidenziato correttamente, con argomentazioni condivisibili, dalla Corte felsinea.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 febbraio 2025