Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 29836 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 29836 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24004-2024 proposto da:
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME COGNOME NOME, DIEGO DIRUTIGLIANO, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 490/2024 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 10/10/2024 R.G.N. 347/2024; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/09/2025 dal AVV_NOTAIO. FATTI DI CAUSA
Oggetto
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud 10/09/2025
CC
La Corte di appello di Bologna aveva rigettato il ricorso proposto da COGNOME NOME avverso la decisione con cui il Tribunale di Modena aveva valutato legittimo il licenziamento per giusta causa intimato da RAGIONE_SOCIALE all’RAGIONE_SOCIALE. La corte di merito aveva condiviso la decisione del tribunale ritenendo che l’addebito al ricorrente, relativo alla sussistenza della giusta causa del recesso datoriale, consistente nella condotta extra-lavorativa di detenzione in casa di sostanze stupefacenti (8 kg tra cocaina e marijuana) e di ingente somma di denaro (E. 7000,00), fosse tale da rendere giustificato il provvedimento adottato per la gravità delle condotte, anche incidenti sulla immagine aziendale e comunque sul vincolo fiduciario.
Avverso detta decisione il ricorrente proponeva ricorso cui resisteva con controricorso RAGIONE_SOCIALE.
Con ordinanza del 20.2.2025 questa Corte di legittimità, in sede di valutazione ai sensi dell’art. 380 -bis cod.proc.civ., ritenendo manifestamente infondato il ricorso, proponeva la definizione dello stesso, rilevando che: l a Corte d’appello, sul presupposto in fatto dell’essere il dipendente imputato dei reati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, per i quali era stato tratto in arresto e sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, ha ravvisato la giusta causa di licenziamento ‘ in relazione alla incidenza della descritta condotta extra-lavorativa -la cui gravità è stata valutata tenendo conto, in aggiunta, anche dell’eco avuta dalla notizia in ambito locale e di pregressi precedenti disciplinari -sulla funzionalità del rapporto di lavoro e sul rapporto di fiducia intercorrente tra le parti’.
In tal modo, i giudici di appello si sono uniformati ai principi enunciati da questa SRAGIONE_SOCIALE. secondo cui la condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso; tali condotte, ove connotate da caratteri di gravità, possono anche determinare
l’irrogazione della sanzione espulsiva (v. Cass. 28368 del 2021; n. 267 del 2024, entrambe relative a licenziamento per giusta causa intimato a lavoratori accusati di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti). E’ stato, in particolare, evidenziato che l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. compiuta dal giudice di merito è sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr. Cass. n. 985 del 2017; Cass. n. 5095 del 2011; Cass. n. 9266 del 2005). Nel caso in esame, a fronte degli illeciti penali addebitati al lavoratore e da questi ammessi (come si legge nella sentenza del tribunale riportata a p. 3, primo cpv., della sentenza d’appello), la valutazione compiuta dai giudici di merito appare rispondente ai canoni giurisprudenziali attraverso cui sono state definite le nozioni legali di giusta causa (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; n. 6901 del 2016; n. 21214 del 2009; n. 7838 del 2005) e di proporzionalità della misura espulsiva (cfr. Cass. 18715 del 2016; Cass. n. 21965 del 2007; Cass., n. 25743 del 2007), avendo la sentenza impugnata motivatamente valutato, in conformità al primo giudice, la gravità della condotta illecita per il suo carattere evidentemente doloso e per la sistematicità e protrazione nel tempo della stessa, e la sua conseguente idoneità, unitamente ai precedenti disciplinari, a ledere definitivamente la fiducia nella persona del dipendente.
Parte ricorrente depositava nei termini istanza per chiedere la decisione ai sensi dell’art. 380-bis, comma 2, c.p.c.; era, quindi, instaurato il procedimento in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380bis.1 c.p.c., all’esito della quale, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1)Con l’unico motivo è stata denunciata la violazione dell’art 2119 c.c. lamentandosi la sostanziale assenza di una giusta causa ed il
difetto motivazionale sul punto. Il ricorrente eccepisce, a riguardo, l’erronea valutazione della corte sulla esistenza di una giusta causa, in quanto nessuna determinazione era stata assunta sulla incidenza dei fatti addebitati sulla capacità di lavoro del ricorrente.
Occorre preliminarmente evidenziare che la censura risulta inconferente rispetto a quanto valutato dalla corte d’appello. Come già valutato dalla proposta di definizione sopra riportata, la corte territoriale ha basato il giudizio di legittimità del licenziamento ‘in relazione alla incidenza della descritta condotta extra-lavorativa -la cui gravità è stata valutata tenendo conto, in aggiunta, anche dell’eco avuta dalla notizia in ambito locale e di pregressi precedenti disciplinari -sulla funzionalità del rapporto di lavoro e sul rapporto di fiducia intercorrente tra le parti’.
La valutazione così espressa risulta conforme e coerente con i principi enunciati da questa corte di legittimità secondo i quali la condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso; tali condotte, ove connotate da caratteri di gravità, possono anche determinare l’irrogazione della sanzione espulsiva (Cass. 28368 del 2021; n. 267 del 2024).
Posta dunque la ragione determinativa del licenziamento e la valutazione effettuata in linea con i principi vigenti in materia, risulta senza dubbio estraneo al decisum il riferimento alla incidenza (o non) dei fatti addebitati alla capacità lavorativa del dipendente, che si assume non inficiata.
Siffatto elemento non ha assunto alcun rilievo nella causa giustificativa del licenziamento, come detto, incentrato sulla gravità in sé della condotta, sulla incidenza della stessa sull’immagine del datore di lavoro e sul vincolo di fiducia che connota il rapporto di lavoro, soprattutto in ragione del carattere evidentemente doloso (..del comportamento) e per la sistematicità e protrazione nel tempo
della stessa, e la sua conseguente idoneità, unitamente ai precedenti disciplinari, a ledere definitivamente la fiducia nella persona del dipendente.
Inammissibile è poi da considerare la doglianza relativa alla valutazione circa la proporzionalità della sanzione rispetto al danno di immagine subito dal datore di lavoro, trattandosi di giudizio di merito estraneo, per quanto in doglianza, al perimetro della giurisdizione di legittimità.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Le spese seguono il principio di soccombenza, anche dando applicazione del disposto dell’art. 380 bis c.p.c. e del richiamato art. 96 co.3 e 4 c.p.c., avendo il collegio deciso in conformità della proposta.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E…4.500,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Condanna altresì il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente della somma di E. 2.000,00 ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. e della Cassa delle ammende della somma di € 2.000 ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 10 settembre 2025
La Presidente NOME COGNOME