Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20969 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20969 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 9734-2021 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
LICENZIAMENTO
COLLETTIVO
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/06/2024
CC
avverso la sentenza n. 67/2021 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 29/01/2021 R.G.N. 284/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Reggio Calabria, in riforma della pronuncia del Tribunale di Palmi, ha accolto il reclamo proposto da RAGIONE_SOCIALE e dichiarato legittimo il licenziamento collettivo
intimato a NOME COGNOME con lettera del 26.6.2017.
La Corte distrettuale ha, preliminarmente, ritenuto correttamente rappresentata la società, durante la procedura di mobilità e nelle lettere di licenziamento, da parte del Direttore generale AVV_NOTAIO, in considerazione: del potere (di cui era provvisto il suddetto Direttore generale e institore, Responsabile del personale e AVV_NOTAIO di amministrazione) di rappresentare la società presso le organizzazioni sindacali e di condurre trattative; della natura di atto interno dell’approvazione, da parte della società, dell’operato del suo Direttore generale (senza alcuna necessità di forma scritta); della sottoscrizione, da parte sia del Presidente del Consiglio di amministrazione sia del COGNOME della lettera di avvio della procedura ex art. 4 della legge n. 223 del 1991 e della espressa spendita del potere rappresentativo, da parte del COGNOME (‘per conto di RAGIONE_SOCIALE‘) in sede sia di verbale congiunto e all’atto dell’intimazione del licenziamento (effettuato su carta intestata della società), senza, dunque, che vi fosse necessità di continui ed ulteriori richiami (nei verbali di accordo) al potere rappresentativo; della ratifica pervenuta, in ogni caso, ex post, con effetto retroattivo
(lettera 18.6.2018 della Presidente del Consiglio di amministrazione che dichiarava di avere preventivamente autorizzato il COGNOME a partecipare alla procedura sottoscrivendo in nome e per conto della società e di aver sottoscritto, in data 7.3.2018, un att o di ratifica dell’operato di COGNOME); dell’applicabilità della disciplina dettata in materia di negozio concluso dal falsus procurator alla procedura dettata dalla legge n. 223 del 1991 (anche volendo ritenere il AVV_NOTAIO privo di potere rappresentativo, l’ac cordo siglato con le organizzazioni sindacali non può ritenersi né nullo né annullabile, ma solo temporaneamente inefficace, inefficacia fatta eventualmente valere esclusivamente dal falso rappresentato , e non dal terzo destinatario dell’atto, i lavoratori, che semmai dovevano espletare l’actio interrogatoria ); del potere del AVV_NOTAIO di sottoscrivere la comunicazione prevista dall’art. 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991, potere -meramente attuativo dell’accordo sindacale – espressamente previsto dalla Statuto MCT fra le attribuzioni del Direttore generale. Nel merito della fattispecie, la Corte territoriale ha accertato che la lettera di avvio della procedura di mobilità (del 31.3.2017) era esaustiva, in quanto conteneva, in nuce, le ragioni della riduzione dei volumi dei RAGIONE_SOCIALEs movimentati, dell’intervento della cassa integrazione guadagni sin dal 2011 e della tripartizione del personale in esubero, i ‘piazzalisti’, nei tre profili ‘gruisti’, ‘carrellisti’ e ‘operatori di mezzi bassi’, sulla base della mansione prevalente svolta da ciascun lavoratore, con conseguente possibilità del sindacato di valutare consapevolmente la situazione di eccedenza e di concordare una riduzione dei licenziamenti programmati (obiettivo raggiunto durante le trattative); la Corte ha, poi, rilevato la carenza di allegazione e di prova in ordine alla
fungibilità delle mansioni tra i tre profili, diversità dei suddetti tre profili ulteriormente dimostrata sia dal distinto livello di inquadramento al quale corrispondevano i ‘carrellisti’ (IV livello) rispetto ai ‘gruisti’ (III livello) sia dalla necessit à di un modesto, ma comunque significativo, addestramento professionale per svolgere una mansione in luogo di un’altra (e la comparazione con i criteri di accesso alla cassa integrazione guadagni, avviata sin dal 2011, era errata, visto il diverso obiettivo, del tutto temporaneo, perseguito da questo istituto di sostegno al reddito); ha, inoltre, aggiunto che non vi era stata alcun violazione dei criteri di scelta, avendo la società correttamente proceduto ai licenziamenti in base alle quote di esuberi differenziate per singolo profilo, come indicato nella lettera di avvio della procedura, applicando criteri matematici per l’anzianità di servizi e per i carichi di famiglia nell’ambito delle distinte graduatorie (risultando, ininfluente la mancata tripartizione in occasione degli interventi precedenti di cassa integrazione guadagni, che rispondeva al diverso obiettivo di intervenire temporaneamente per la riduzione dei costi al fine di riprendere l’attività); non era stato, inoltre, dimostrato che gli spostamenti di alcuni lavoratori da un settore ad un altro perseguissero intenti fraudolenti (se non quello della necessità di una diversa organizzazione imprenditoriale) e, comunque, nessuna contestazione era stata allegata con riguardo al profilo di ‘carrellista e guidatore di mezzi bassi’ rivestito dallo COGNOME.
Per la cassazione di tale sentenza il lavoratore propone ricorso affidato a due motivi; resiste la società con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 4 della legge n. 223 del 1991, 1387 e 2203 cod.civ. (ex art. 360 c.p.c., primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, trascurato che solo la contemplatio domini consente di rendere palese alla controparte la capacità del rappresentante che non agisce in proprio ma nell’interesse del soggetto aliunde, essendo irrilevanti le eventuali potestà aggiuntive attribuite al AVV_NOTAIO; è irragionevole, inoltre, ritenere che sola mente l’atto di avvio del procedimento e il provvedimento conclusivo debbano essere redatti in modalità scritta, dovendosi realizzare le guarentigie a tutela dei lavoratori solo per effetto della traccia certificata. ‘Il vizio delle trattative, ricalcato n ella lettera di licenziamento, non autografata dal Presidente del Consiglio di amministrazione, rende inefficace il recesso’.
Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991 (ex art. 360 c.p.c., primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, trascurato che la platea dei lavoratori interessati alla riduzione del personale può essere limitata agli addetti ad un determinato settore ove ricorrano esigenze tecnico-produttive e, nel caso di specie, la società ha frammentato mansioni esattamente fungibili fra loro in distinti profili professionali senza alcuna corresponsione con le esigenze aziendali; la società non ha considerato le mansioni prevalenti esercitate dagli operai, creando nuovi profili non individuati neanche nelle precedenti fasi di cassa integrazione guadagni e ritenuti fungibili in un precedente accordo del
27.7.2011. La Corte territoriale ha erroneamente ritenuto legittimi i criteri di scelta in quanto concordati tra società e organizzazioni sindacali.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
3.1. Le censure formulate come violazione o falsa applicazione di legge mirano in realtà alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
3.2. Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
3.3. Ancora di recente le Sezioni unite hanno ribadito l’inammissibilità di censure che ‘sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione’, così travalicando ‘dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti’ (cfr. Cass.
SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020);
3.4. Le censure in esame sono inammissibili in quanto involgono apprezzamenti di merito in ordine alla sussistenza del potere rappresentativo in capo al Direttore generale della società, valutazioni in quanto tali sottratti al sindacato di questa Corte, avendo la Corte territoriale accertato che il concorso di una molteplicità di elementi di fatto (le cariche apicali contestualmente ricoperte dal Direttore generale, la lettera di avvio della procedura ex artt. 24 e 4 della legge n. 223 del 1991, le previsioni dello Statuto della società, la spendita del potere rappresentativo in alcune occasioni, l’uso della carta intestata della società, gli atti interni di approvazione della condotta del Direttore generale mai smentiti in alcuna circostanza) dimostrava il suddetto potere. 3.5. Il motivo, inoltre, censura solo alcune delle plurime rationes decidendi poste dalla Corte di merito a fondamento del rigetto dell’eccezione di carenza dei poteri rappresentativi da parte del Direttore generale della società. In particolare, il motivo non investe le affermazioni contenute nella impugnata sentenza secondo cui nessuna forma scritta né alcun potere di rappresentanza sono previsti dall’art. 4 della legge n. 223 del 1991 con riguardo ai verbali di accordo (intervenuti tra l’avvio della proc edura e l’adozione del licenziamento), a fronte degli accertamenti svolti dalla Corte territoriali (insindacabili in questa sede di legittimità) circa la sottoscrizione della lettera di avvio da parte sia del Presidente del Consiglio di amministrazione sia del Direttore generale e la previsione nello Statuto della società altresì del potere (del Direttore generale) di rappresentare la società presso le organizzazioni sindacali con le quali condurre trattative; inoltre, il giudice di
appello non si è limitato a ritenere sufficiente la spendita del nome in sede di esame congiunto, nella lettera di avvio della procedura di mobilità (congiuntamente al Presidente del Consiglio di amministrazione) e nella lettera di intimazione del licenziamento, ma ha anche correttamente affermato che la disciplina dettata dall’art. 1399 c.c. – che prevede la possibilità di ratifica con effetto retroattivo, ma con salvezza dei diritti dei terzi, del contratto concluso dal soggetto privo del potere di rappresentanza – è applicabile, in virtù dell’art. 1324 c.c., anche a negozi unilaterali come il licenziamento (Cass. n. 17461 del 2003; tra le tante conformi, cfr. da ultimo Cass. n.17999 del 2019).
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. La censura formulata come violazione e falsa applicazione di legge mira in realtà alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
4.2. Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013;Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
4.3. Al riguardo si richiamano i principi già espressi al punto 3.3. nell’esame del primo motivo.
4.4. La censura in esame è inammissibile in quanto non individua un errore di diritto ma, piuttosto, involge apprezzamenti di merito in ordine alla fungibilità delle mansioni svolte dagli operai coinvolti nel procedimento di mobilità ed alla insussistenza di ragioni tecnico-organizzative circa la suddivisione in distinti profili professionali del personale, valutazioni in quanto tali sottratti al sindacato di questa Corte.
In conclusione, il ricorso deve rigettarsi. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, d ell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.