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Licenziamento collettivo: illegittima la scelta per residenza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1486/2024, ha dichiarato illegittimo un licenziamento collettivo in cui l’azienda aveva limitato la platea dei lavoratori da licenziare a una sola unità produttiva, usando come criterio la vicinanza della residenza dei dipendenti. La Corte ha stabilito che tale criterio non è oggettivo e che l’azienda deve considerare l’intero complesso aziendale se le professionalità sono fungibili, per minimizzare l’impatto sociale.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento collettivo: illegittima la limitazione della platea basata sulla residenza

In materia di licenziamento collettivo, la scelta dei lavoratori da licenziare deve seguire criteri oggettivi e trasparenti. La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale: non è possibile limitare la platea dei potenziali licenziandi a una singola sede basandosi su un criterio soggettivo come la vicinanza della residenza del lavoratore. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale volto a garantire la massima tutela sociale possibile nelle procedure di riduzione del personale.

I Fatti del Caso

Una società operante nel settore socio-sanitario avviava una procedura di licenziamento collettivo, decidendo di limitare la scelta dei lavoratori da licenziare esclusivamente al personale impiegato presso una specifica Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA). La giustificazione addotta dall’azienda per questa limitazione era la presunta difficoltà per i dipendenti di quella sede di raggiungere altre unità produttive, anche la più vicina distante solo 30 km, a causa della loro residenza o domicilio.

In sostanza, il datore di lavoro aveva utilizzato il criterio della “agevole e comoda raggiungibilità” come presupposto per escludere dalla comparazione i dipendenti di altre RSA, ritenendo che il personale della sede interessata non fosse in grado di soddisfare tale esigenza. I lavoratori licenziati impugnavano il provvedimento e la Corte d’Appello dichiarava i licenziamenti illegittimi, ordinando la reintegrazione e il risarcimento del danno.

La Decisione della Corte di Cassazione

La società datrice di lavoro ha proposto ricorso in Cassazione, ma la Suprema Corte ha respinto il ricorso, confermando integralmente la decisione dei giudici di secondo grado. Gli Ermellini hanno ritenuto la sentenza d’appello pienamente conforme alla consolidata giurisprudenza in materia.

La Corte ha specificato che la regola generale, stabilita dalla Legge n. 223/1991, impone che l’individuazione dei lavoratori da licenziare avvenga con riguardo all’intero “complesso aziendale”. Sebbene sia possibile limitare la platea a un determinato reparto o sede territoriale, tale scelta deve essere giustificata da ragioni oggettive, tecniche e organizzative che devono essere chiaramente esplicitate nella comunicazione di avvio della procedura.

Motivazioni della Corte sul licenziamento collettivo

Il cuore della decisione risiede nella natura del criterio utilizzato dall’azienda. La Cassazione ha chiarito che l’esigenza di una “agevole e comoda raggiungibilità” del luogo di lavoro non costituisce un’esigenza aziendale oggettiva.

La non oggettività del criterio della residenza

Il criterio basato sulla residenza o sul domicilio del lavoratore è stato considerato privo di oggettività. Si tratta, infatti, di una condizione che dipende dalle libere scelte del dipendente, il quale potrebbe decidere di trasferirsi o di sobbarcarsi i costi di un tragitto più lungo per mantenere il proprio posto di lavoro. Legare la scelta dei licenziandi a questo fattore significa basare una decisione aziendale su un elemento esterno e soggettivo, in contrasto con i principi di correttezza e buona fede.

La fungibilità delle mansioni

Un altro punto cruciale evidenziato dalla Corte è la fungibilità delle professionalità dei lavoratori coinvolti (operatori sociosanitari, infermieri, assistenti di base). Poiché le loro mansioni erano sostanzialmente identiche a quelle svolte dai colleghi di altre sedi, l’azienda avrebbe dovuto includere anche questi ultimi nella platea dei licenziandi. Limitare la scelta alla sola sede in riorganizzazione, in presenza di professionalità equivalenti altrove, rende la procedura illegittima. L’azienda non può escludere a priori la possibilità di trasferire un lavoratore per mantenere il suo impiego, anche se ciò comporta costi aggiuntivi.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza rafforza un importante baluardo a tutela dei lavoratori coinvolti in procedure di riduzione del personale. Per i datori di lavoro, le implicazioni sono chiare:

1. Obbligo di motivazione oggettiva: Qualsiasi limitazione della platea dei lavoratori da includere in un licenziamento collettivo deve essere supportata da ragioni tecniche, organizzative e produttive concrete, verificabili e non discriminatorie.
2. Irrilevanza della residenza: Il luogo di residenza del lavoratore non può essere utilizzato come criterio per limitare la scelta dei dipendenti da licenziare.
3. Valutazione dell’intero complesso aziendale: In presenza di mansioni fungibili, la comparazione deve estendersi a tutti i lavoratori con professionalità equivalenti all’interno dell’intera organizzazione aziendale, al fine di ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti e offrire, ove possibile, soluzioni alternative come il trasferimento.

Un datore di lavoro può limitare la scelta dei lavoratori da licenziare a una sola sede aziendale durante un licenziamento collettivo?
Sì, ma solo se tale limitazione è giustificata da specifiche e oggettive esigenze tecnico-produttive e organizzative che riguardano esclusivamente quella sede, e se le mansioni dei lavoratori non sono fungibili con quelle di altri dipendenti in altre sedi.

La distanza tra la casa di un lavoratore e altre possibili sedi di lavoro è un criterio valido per includerlo in un licenziamento collettivo?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la residenza o il domicilio del lavoratore è un elemento non oggettivo, dipendente da scelte personali, e non può essere utilizzato come criterio per giustificare la limitazione della platea dei licenziandi.

Cosa succede se i lavoratori della sede da riorganizzare hanno le stesse competenze di quelli di altre sedi?
In caso di professionalità fungibili (cioè intercambiabili), il datore di lavoro ha l’obbligo di estendere la platea dei licenziandi a tutti i dipendenti con profili professionali equivalenti nell’intero complesso aziendale, per effettuare una comparazione più ampia e giusta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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