Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 35123 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 35123 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 5935-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
R.G.N. 5935/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 13/11/2024
CC
avverso la sentenza n. 898/2021 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 27/12/2021 R.G.N. 525/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. con sentenza 27 dicembre 2021, la Corte d’appello di Firenze ha rigettato il reclamo di RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado, di illegittimità, in esito a rito Fornero, del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (nell’ins ufficienza della ragione ex se sola della ragione del ‘cambio di appalto ‘) intimato da RAGIONE_SOCIALE (poi incorporata dalla reclamante) al proprio dipendente NOME COGNOME il 9 agosto 2019 (con decorrenza dal 12 agosto 2019) e di condanna della società datrice alla sua reintegrazione nel posto di lavoro e a indennità risarcitoria, commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, in misura di dodici mensilità, nonché alla regolarizzazione della posizione previdenziale;
2. in particolare, essa ha ritenuto irrilevanti, ai fini dell’obbligo della società datrice di ‘dare prova della legittimità del recesso secondo i criteri ordinari di legge’ , le circostanze dell’esperimento della procedura prevista, per i casi di cambio di appalto, dagli artt. 24 ss. del CCNL vigilanza, contenenti la previsione di clausole sociali (in quanto ‘garanzia convenzionale ulteriore, che si aggiunge a quelle proprie della disciplina limitativa dei licenziamenti’ ) e così pure dell’eventuale accettaz ione dal lavoratore dell’assunzione (per altro nel caso di specie, rifiutata) alle dipendenze della società subentrante (non potendosene desumere acquiescenza al licenziamento).
La Corte d’appello ha quindi ravvisato la manifesta illegittimità del provvedimento espulsivo, ‘almeno in relazione all’inadempimento dell’obbligo di repéchage’ . E ha ritenuto insufficienti le allegazioni e le prove dedotte sul punto dalla società datrice (in assenza di alcun riferimento agli appalti ancora in corso in varie località italiane, né alla relativa dotazione occupazionale), con la conseguente inammissibilità e irrilevanza delle relative istanze istruttorie;
ferma la detrazione dagli importi dovuti in conseguenza della pronuncia di reintegrazione di quanto corrisposto dalla società in esecuzione dell’ordinanza all’esito della fase sommaria (di condanna della medesima al pagamento, in favore del lavoratore, di un’indennità risarcitoria pari a 17 mensilità), essa ha infine negato la detraibilità dell’indennità NASpi, siccome reddito non di lavoro, né altri risultandone dopo il licenziamento dalla documentazione prodotta dal lavoratore su ordine della Corte; neppure potendo essere detratto il reddito da retribuzione in ipotesi percepito dallo stesso alle dipendenze della società subentrante nell’appalto, in assenza di un suo obbligo di accettare il nuovo impiego;
con atto notificato il 24 febbraio 2022, la società ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso;
entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.;
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. degli artt. 3 e 5 legge n. 604/1966,
1175, 1375, 2697 e 2729 c.c., 100 c.p.c., nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto, ai fini di assoluzione dell’obbligo di repéchage , estensibile l’onere di allegazione e prova datoriale all’intero territorio nazionale, senza la sua corretta delimitazione, secondo l’interesse ad agire manifestato dal lavoratore (che nel suo atto introduttivo aveva manifestato la propria disponibilità ad una ricollocazi one in un appalto, al massimo, nell’ambito della Regione Toscana), anche secondo un onere di collaborazione per evitarne a carico datoriale uno probatorio diabolico: onere diversamente, secondo recente giurisprudenza di legittimità (nella valorizzazione ap punto anche dell’interesse ad agire del lavoratore), da ritenersi assolto con l’allegazione, già dalla memoria difensiva in fase sommaria dell’indisponibilità, da parte della società, di posti in cui ricollocare il lavoratore nell’ambito della Regione Tosc ana, avendo essa nel periodo del suo licenziamento perso altri appalti e mantenuto nella zona di Pisa e Provincia solo quello di Camp Derby, base militare americana, per cui richiesti requisiti non posseduti da Alba.
Essa ha, infine, lamentato avere Corte d’appello omesso l’esame, nella detta memoria difensiva, della propria deduzione a prova di mancanza all’epoca di nuove assunzioni a Pisa e Provincia, essendone state effettuate, in dipendenza di obblighi di legge o di contratto collettivo per cambi di appalto, soltanto in territori diversi e comunque entro la Toscana;
2. con il secondo motivo, la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 c.c., 115 c.p.c., per non avere la Corte territoriale ammesso le prove orali sulle circostanze di fatto suddette, debitamente trascritte, di rilievo
decisivo ai fini dell’assoluzione dell’obbligo datoriale di repéchage , come correttamente inteso;
con il terzo, essa ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma dal quarto al settimo legge n. 300/1970, per erronea applicazione dalla Corte territoriale della tutela reintegratoria, in assenza di un’ipotesi di manifesta insussistenza (intesa come ‘ una chiara, evidente e facilmente verificabile assenza, sul piano probatorio, dei presupposti di legittimità del recesso, tale da rivelarne la pretestuosità’ ) del fatto a base del recesso, in quanto concernente entrambi i presupposti di legittimità (giustificato motivo oggettivo e repéchage ): sicché, quand’anche ricorrente per il secondo, certamente da escludere per il primo, per l’indubbia perdita dell’appalto;
essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;
in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è noto infatti che la verifica del requisito di “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” concerna entrambi i presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa, sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore (Cass. 2 maggio 2018, n. 10435; Cass. 11 novembre 2019, n. 29102).
La Corte fiorentina ha correttamente applicato la tutela reintegratoria, ai sensi dell’art. 18, settimo e quarto comma legge n. 300/1970, senza più alcuna rilevanza della manifesta inesistenza dei presupposti di legittimità dello stesso, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 125 del 2022. Ed infatti, dichiarando tale sentenza l’illegittimità costituzionale dell’art.
18, settimo comma, secondo periodo della legge n. 300/1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b) della legge n. 92/2012, limitatamente alla parola «manifesta», ha in sostanza reso ininfluente ogni problematica sulla necessità, da parte dei giudici di merito, di delineare e, conseguentemente, di motivare sul concetto di ‘manifesta insussistenza’ del fatto posto a base del licenziamento, essendo ormai sufficiente, per disporre la tutela reintegratoria attenuata, l’accertamento di una semplice insussistenza del fatto e non anche di una inesistenza prima facie dei presupposti di legittimità del recesso tali da renderlo pretestuoso (Cass. 1 luglio 2024, n. 18075, in motivazione sub p.to 13);
6. tanto premesso, occorre allora rilevare la formazione del giudicato interno sulla statuizione del Tribunale, con sentenza in sede di opposizione a ordinanza, ai sensi dell’art. 1, comma 57 legge n. 92/2012, di assoluta carenza del giustificato motivo og gettivo, per l’insufficienza della circostanza, ex se sola, del cambio di appalto (così all’ultimo capoverso di pg. 3 della sentenza), ‘senza neppure bisogno di spingersi a sindacare l’esercizio del diritto di recesso sotto il profilo ulteriore dell’obbligo di repechage’ (così al primo capoverso di pg. 4 della sentenza), suggellata seppur rapidamente, per trascorrere immediatamente al concorrente profilo di illegittimità dell’inadempimento dell’obbligo di repéchage , con l’assunto secondo cui ‘la società fosse tenuta a dare prova della legittimità del recesso secondo i criteri ordinari di legge’ (così al penultimo capoverso di pg. 9 della sentenza). E ciò in esatta applicazione dei principi di diritto affermati da questa Corte, che ha chiarito ‘la distinzione tra le differenti situazioni di fatto riferite al recesso dell’originario datore di lavoro ed alla costituzione del nuovo rapporto di lavoro con l’impresa
subentrante’ mirando ‘la garanzia del passaggio dal datore originario all’impresa subentrante, di natura contrattuale collettiva, … ad assicurare la stabilità e continuità dell’occupazione’ , lasciando tuttavia ‘distinti i rapporti lavorativi … ‘ -con la conseguenza che ‘non solo una regola contrattuale non potrebbe mai escludere la tutela legale che sanziona il recesso illegittimo, ma neppure sarebbe invocabile trattandosi di distinti rapporti contrattuali rispetto ai quali differenti sono le obbligazioni e responsabilità datoriali” (Cass. n. 29922 del 2018) ‘, per cui ‘anche nelle ipotesi del passaggio da un appalto all’altro, l’originario datore di lavoro sarà tenuto a dimostrare, ove necessario, le ragioni del recesso e l’impossibilità di reimpiegare il lavoratore in altre posizioni lavorative compatibili’ (Cass. 29 gennaio 2020, n.2014, in motivazione).
Appare evidente come i motivi sopra illustrati non censurino, tanto meno specificamente, tale statuizione di insussistenza tout court del giustificato motivo oggettivo -sotto il profilo delle ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa -per insufficienza della circostanza, ex se sola, del cambio di appalto. Ed infatti, i primi due hanno avuto ad oggetto di doglianza l’obbligo di repéchage e il terzo la selezione della tutela, sotto il profilo di ‘non manifesta pretestuosità del recesso, avuto riguardo alla situazione in cui è stato disposto, ovvero nell’ambito di una procedura di cessazione di appalto’ (dal terz’ultimo capoverso di pg. 26 al quarto di pg. 27 del ricorso) -tra l’altro ritenuta, come detto, circostanza ex se sola insufficiente ad integrare le suddette ragioni di giustificato motivo oggettivo -sotto il limitato profilo della ‘manifesta insussistenza’, non più attuale dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 125 del 2022;
6.1. tali censure sono pertanto inammissibili, per difetto di interesse, in ragione del giudicato interno sulla concorrente ragione di illegittimità del recesso datoriale;
con il quarto motivo, la ricorrente deduce, infine, violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c. ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per non avere la Corte territoriale detratto l’ aliunde percipiendum del lavoratore, ossia la retribuzione che egli avrebbe percepito alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE, se avesse accettato di passare, a seguito di cambio d’appalto, alle dipendenze della società subentrante, che l’avrebbe assunto con passaggio diretto ed immediato con il medesimo trattamento economico e normativo goduto, a norma dell’art. 27 del CCNL vigilanza 2013, per disciplina cogente, a norma dell’art. 23 del CCNL cit.
Essa si duole inoltre che la Corte neppure abbia esaminato la circostanza, esposta ‘nei precedenti gradi di giudizio’ -che il lavoratore sarebbe stato messo in grado di valutare ‘con maggiore chiarezza e trasparenza’ , nell’ipotesi in cui le condizioni dell’assunzione fossero state meglio esplicitate contenuta nel corpo del ricorso del medesimo, ai sensi dell’art. 700 c.p.c., nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, per ottenere in via d’urgenza l’intervenuto passaggio, ai sen si degli artt. 24 ss. CCNL Vigilanza e 2112 c.c., alle sue dipendenze quale subentrante nell’appalto;
esso è in parte inammissibile e in parte infondato;
la Corte territoriale ha correttamente negato la detraibilità del reddito da retribuzione in ipotesi percepito dal lavoratore alle dipendenze della società subentrante nell’appalto, in assenza di un suo obbligo di accettare il nuovo impiego (ai primi quattro alinea del terzo capoverso di pg. 12 della sentenza) per la libertà
di valutare la convenienza della proposta (primi quattro alinea di pg. 9 della sentenza), tra l’altro risultante anche dal tenore della sua valutazione ( ‘con maggiore chiarezza e trasparenza’ , nell’ipotesi di un’esplicitazione delle condizioni dell’assunzione) contenuta nel corpo del ricorso dal medesimo proposto, ai sensi dell’art. 700 c.p.c., nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
Peraltro, la circostanza non integra un ‘fatto storico’ di cui sia stato omesso l’esame, quanto piuttosto una risultanza istruttoria da cui inferire conseguenze argomentative (pertanto eccedente l’ambito devolutivo circoscritto del novellato testo dell’art . 360, primo comma, n. 5 c.p.c.: Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053). E parimenti, essa ha correttamente escluso la violazione dell’onere di diligenza, per l’accertata eventuale assunzione dalla società subentrante con inquadramento inferiore a quello riconosciuto in precedenza (così dal quarto al nono alinea del terzo capoverso di pg. 12, in riferimento al terzo capoverso di pg. 2 e al passaggio dal quarto al settimo alinea di pg. 9 della sentenza);
9.1. la censura si risolve nella sostanza in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e della ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987), per esclusiva spettanza al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione;
10. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere rigettato e le spese del giudizio regolate secondo il regime di soccombenza, con il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella
ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 13 novembre 2024