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Licenziamento cambio appalto: quando è illegittimo?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 35123/2024, ha stabilito che il licenziamento per cambio appalto non è automaticamente legittimo. La semplice perdita di un contratto non costituisce di per sé un giustificato motivo oggettivo. L’azienda ha il preciso dovere di dimostrare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore in altre posizioni (obbligo di repêchage). La Corte ha inoltre chiarito che il lavoratore non è obbligato ad accettare un’offerta di assunzione da parte della nuova azienda subentrante nell’appalto.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Licenziamento per cambio appalto: non basta la perdita del contratto

Il licenziamento per cambio appalto è una delle situazioni più delicate nel diritto del lavoro. Molti datori di lavoro ritengono, erroneamente, che la semplice perdita di un contratto di appalto sia una ragione sufficiente per licenziare i dipendenti ad esso assegnati. La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 35123 del 2024, ha ribadito un principio fondamentale: non è così. La cessazione dell’appalto non costituisce, da sola, un giustificato motivo oggettivo di licenziamento. Analizziamo insieme questa importante decisione e le sue implicazioni pratiche per lavoratori e aziende.

I fatti del caso

Una società operante nel settore della vigilanza privata aveva licenziato un proprio dipendente a seguito della perdita di un importante appalto. L’azienda motivava il recesso con un giustificato motivo oggettivo, riconducibile esclusivamente alla cessazione di quel contratto. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento, ottenendo ragione sia in primo grado che in Corte d’Appello. Entrambi i tribunali di merito hanno dichiarato l’illegittimità del licenziamento, ordinando la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e condannando la società a un risarcimento del danno. La società, non rassegnata, ha proposto ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione e il licenziamento per cambio appalto

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando le sentenze precedenti. I giudici hanno chiarito diversi punti cruciali in materia di licenziamento per cambio appalto, consolidando un orientamento a tutela del posto di lavoro.

La Corte ha evidenziato che la decisione dei giudici di merito si fondava su una ragione ormai passata in giudicato (il cosiddetto ‘giudicato interno’): l’insufficienza della sola circostanza del cambio di appalto a giustificare il licenziamento. L’azienda, nel suo ricorso, si era concentrata quasi esclusivamente sulla violazione dell’obbligo di repêchage, sostenendo di averlo assolto, ma non aveva contestato adeguatamente il principio centrale affermato dalla Corte d’Appello.

L’obbligo di repêchage: onere della prova a carico dell’azienda

Il fulcro della questione ruota attorno all’obbligo di repêchage. Il datore di lavoro, prima di poter legittimamente licenziare un dipendente per motivi economici, ha l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per ricollocarlo in altre posizioni lavorative all’interno della propria organizzazione. Non basta affermare genericamente che non ci sono posti liberi. È necessario fornire una prova rigorosa e dettagliata dell’impossibilità di un reimpiego alternativo.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto insufficienti le prove fornite dalla società, che non aveva dimostrato in modo concreto l’assenza di altre posizioni disponibili, anche in altre località, compatibili con la professionalità del lavoratore.

La libertà del lavoratore e le clausole sociali

Un altro aspetto fondamentale affrontato dalla Corte riguarda le ‘clausole sociali’ previste da molti Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL), come quello della vigilanza. Queste clausole mirano a proteggere l’occupazione, prevedendo il passaggio dei lavoratori all’azienda che subentra nell’appalto.

Tuttavia, la Cassazione ha ribadito che il lavoratore non ha alcun obbligo di accettare l’assunzione presso la nuova azienda. Si tratta di una sua libera scelta. Di conseguenza, il suo eventuale rifiuto non può essere interpretato come un’acquiescenza al licenziamento, né può essere usato dall’ex datore di lavoro per ridurre il risarcimento del danno. Il diritto del lavoratore a non essere licenziato illegittimamente è distinto e prevalente rispetto alla facoltà di accettare un nuovo impiego.

Le motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si basano su principi consolidati. In primo luogo, il rapporto di lavoro con l’azienda originaria e quello potenziale con l’azienda subentrante sono due rapporti giuridici distinti. La tutela contro il licenziamento illegittimo opera all’interno del primo rapporto e non può essere annullata dalla possibilità di instaurarne uno nuovo. In secondo luogo, il giustificato motivo oggettivo deve essere reale ed effettivo. La semplice perdita di un cliente o di un appalto è un normale rischio d’impresa e non può essere scaricato automaticamente sul lavoratore. L’azienda deve dimostrare che tale evento ha causato un’effettiva soppressione del posto di lavoro, senza alcuna possibilità di reimpiego. Infine, la Corte ha ricordato che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 125/2022, per ottenere la reintegrazione è sufficiente l’accertamento della ‘insussistenza del fatto’ posto a base del licenziamento, senza che sia più richiesta la ‘manifesta’ insussistenza, rendendo la tutela più accessibile.

Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione rafforza la protezione dei lavoratori nel contesto dei cambi di appalto. Il messaggio per le aziende è chiaro: il licenziamento per cambio appalto non è una scorciatoia. Prima di procedere, è indispensabile un’attenta e documentata verifica sull’impossibilità di ricollocare il lavoratore. Per i lavoratori, invece, questa sentenza conferma il diritto a una tutela forte contro i licenziamenti illegittimi e la piena libertà di scegliere se accettare o meno un’offerta di lavoro dalla nuova azienda appaltatrice, senza che ciò pregiudichi i propri diritti nei confronti del precedente datore di lavoro.

La perdita di un appalto è di per sé una ragione sufficiente per licenziare un dipendente?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la sola circostanza della cessazione di un contratto di appalto è insufficiente a integrare un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, in quanto rientra nel normale rischio d’impresa.

Cosa deve dimostrare il datore di lavoro prima di procedere con un licenziamento per cambio appalto?
Il datore di lavoro deve adempiere all’onere della prova su due fronti: deve dimostrare l’effettiva soppressione della posizione lavorativa a causa di ragioni produttive e organizzative e, soprattutto, deve provare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore in altre mansioni all’interno della struttura aziendale (obbligo di repêchage).

Il lavoratore licenziato è obbligato ad accettare l’assunzione presso la nuova azienda che ha vinto l’appalto?
No. La Corte ha chiarito che il lavoratore non ha alcun obbligo di accettare il nuovo impiego. Si tratta di una sua libera facoltà. Il suo eventuale rifiuto non incide sull’illegittimità del licenziamento subito dal precedente datore di lavoro e non può essere utilizzato per ridurre il risarcimento del danno spettante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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