Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1382 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 1382 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24810-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 808/2023 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 25/09/2023 R.G.N. 476/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
R.G.N. 24810/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 22/10/2024
CC
RILEVATO CHE
La Corte d’Appello di Palermo, con sentenza n. 808 del 2023 ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Palermo, emessa il 13.03.2023. Il Tribunale aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento comunicato a NOME COGNOME da parte della RAGIONE_SOCIALE il 3 febbraio 2022, ritenendo che il datore di lavoro avesse violato l’obbligo di repêchage durante la procedura di cambio appalto presso l’Aeroporto di Palermo, giudicando risolto il rapporto di lavoro e condannando la società al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a venti mensilità.
La Corte d’Appello in parziale accoglimento dell’appello della RAGIONE_SOCIALE ha confermato la dichiarazione di illegittimità del licenziamento, riducendo l’indennità risarcitoria a otto mensilità, considerando che il lavoratore era stato immediatamente ri assunto da un’altra azienda con lo stesso trattamento contrattuale.
La Corte distrettuale, sul rilievo per cui l’acquisizione del personale già impiegato nel medesimo appalto, a seguito del subentro di un nuovo appaltatore, non comporta l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, ha affermato la correttezza della valutazione di legittimità del licenziamento quanto all’obbligo di repêchage; in merito alla misura dell’indennità risarcitoria liquidata, per effetto della parziale declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 3 comma 1 del D. Lgs. n. 23/2015 (sen. C. Cost. n. 194/2018) la corte ha osservato come non potesse applicarsi rigidamente il criterio della commisurazione dell’indennità all’anzianità di servizio, pervenendo quindi alla nuova quantificazione.
Avverso la decisione di secondo grado la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi cui ha
resistito con controricorso il sig. COGNOME COGNOME Entrambe le parti hanno depositato memorie.
In particolare, la RAGIONE_SOCIALE nella memoria, al punto b ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, c. 4 bis del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, introdotto in sede di conversione dalla l. 28 febbraio 2008, n. 31, per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
6 . Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 7, c. 4 bis del d. l. 31 dicembre 2007, n. 248, introdotto in sede di conversione dalla l. 28 febbraio 2008, n. 31, nonché dell’art. 24 della l. 23 luglio 1991, n. 223, e degli artt. 3 e 11 c. 2 della l. 15 luglio 1966, n. 604, per avere la Corte di Appello ritenuto che all’interno di una procedura di cambio di appalto, anche nel caso in cui il lavoratore licenziato ottenga immediatamente l’assunzione presso il nuovo appaltatore alle identiche condi zioni di cui godeva presso l’appaltante, quest’ultimo debba dimostrare non soltanto l’intervenuta cessazione dell’appalto e l’appartenenza del lavoratore ad esso, ma anche l’impossibilità di un diverso utilizzo del dipendente a mansioni diverse -anche inf eriori alla luce dell’art. 2103 c.c. presso la propria organizzazione. Nella prospettiva della ricorrente, il licenziamento in questione dovrebbe essere considerato un licenziamento collettivo, con conseguente inapplicabilità dell’istituto del cd. repêch age (ossia la verifica della possibilità di adibire il lavoratore a mansioni alternative) poiché il controllo sulla correttezza dell’operato del datore di lavoro sarebbe già
assicurato dalla procedura prevista dalla L. 223/1991; avrebbe dunque errato la Corte di appello nel qualificare il licenziamento come individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo, nonostante il numero dei lavoratori coinvolti fosse sufficiente per integrare la fattispecie di licenziamento collettivo.
Con il secondo motivo, conseguente al primo, si censura la violazione dell’art. 3, c. 1 del D. lgs. 4 marzo 2015, n. 23, in quanto dall’accoglimento del precedente motivo di ricorso discenderebbe l’insussistenza del diritto di controparte a percepire l’i ndennità prevista dalla norma in questione (art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.). In particolare, se fosse riconosciuta la legittimità del licenziamento, non sarebbe dovuta alcuna somma a titolo di indennità per licenziamento illegittimo.
Nella memoria depositata la ricorrente ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, c. 4 bis del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, introdotto in sede di conversione dalla l. 28 febbraio 2008, n. 31, per contrasto con gli artt. 3 e 41 Co st., nella parte in cui esclude l’applicazione dell’art. 24 della L. n. 223/1991 nei confronti dei lavoratori riassunti da un nuovo appaltatore alle stesse condizioni economiche e normative stabilite dai contratti collettivi nazionali o da accordi sindacali con le organizzazioni comparativamente più rappresentative.
Nella prospettazione della ricorrente, la norma, se interpretata nel senso di escludere l’applicazione della L. n. 223/1991 ma non anche della L. n. 604/1966 (licenziamenti individuali), presenterebbe due profili di incostituzionalità.
In primo luogo, violerebbe l’ art. 3 Cost. (Principio di Ragionevolezza), poiché lascerebbe il lavoratore nella posizione di agire contro l’imprenditore uscente per la violazione
dell’obbligo di repêchage, anche in presenza di una riassunzione presso il nuovo appaltatore alle medesime condizioni.
Ciò creerebbe una tutela “inferiore” per il lavoratore riassunto rispetto a chi non viene riassunto, contraddicendo il principio di equità e ragionevolezza, poiché ‘l’adempimento di detto obbligo si sarebbe tradotto in un minus di tutela, privando il lavoratore del diritto di conservare l’occupazione alle medesime condizioni’.
In secondo luogo si determinerebbe una violazione dell’ art. 41 Cost. (Libertà di Iniziativa Economica), poiché si graverebbe l’imprenditore uscente di oneri economici ingiustificati, esponendolo al pagamento di indennità sostitutive della reintegrazione o ad esborsi per transazioni, senza corrispettivi adeguati.
Il primo motivo e il secondo motivo (configurato come conseguente all’accoglimento del primo) sono infondati.
Parte ricorrente afferma che il COGNOME è passato dalla RAGIONE_SOCIALE a uno dei due nuovi appaltatori, in forza della procedura prevista dal C.c.n.l. agli artt. 27 e seguenti, che ha garantito la conservazione dell’occupazione presso il nuovo datore di lavoro, alle medesime condizioni applicate dal precedente datore di lavoro. Pertanto, ritiene che nel caso in esame, ove si ritenga che tra i due rapporti vi sia soluzione di continuità e non si ricada in una cessione di azienda o di ramo d’azienda ex art . 2112 c.c., quello che ha interessato i lavoratori addetti all’appalto in questione è da un punto di vista numerico un licenziamento collettivo ricadente nell’ambito di applicazione degli artt. 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223. Ne consegue che la sua osservanza esclude l’applicazione dei citati artt. 4 e 5 della l. 223 del 1991 atteso che la tutela del lavoratore si
realizza garantendo il mantenimento presso il nuovo appaltatore di condizioni di lavoro coincidenti con quelle possedute presso il precedente datore di lavoro.
Né, infine, trattandosi di un licenziamento collettivo vi sarebbe alcun obbligo di repêchage in capo al datore di lavoro, atteso che il controllo giudiziale è sostituito dal controllo sindacale nell’ambito della procedura di cui agli artt. 4 e 5 della l. 223 del 1991, ove le parti possono in via preventiva valutare soluzioni alternative al licenzia-mento.
Tuttavia, come giustamente affermato dalla Corte di Appello, l’art. 7 del D.L. 31/12/2007, n. 248, al comma 4 -bis, introdotto dalla legge di conversione 28 febbraio 2008, n. 31, ha sottratto i licenziamenti intimati, in ipotesi di cessazione di un appalto, alla procedimentalizzazione prevista dalla L. n. 223/1991 con conseguente applicazione della disciplina generale e la corretta sottoposizione del licenziamento al vaglio di legittimità anche in relazione all’obbligo di repêchage.
Ed infatti, come questa corte ha affermato in più occasioni, ove il contratto collettivo preveda, per l’ipotesi di cessazione dell’appalto cui sono adibiti i dipendenti, un sistema di procedure idonee a consentire l’assunzione degli stessi, con passaggio diretto e immediato, alle dipendenze dell’impresa subentrante, a seguito della cessazione del rapporto instaurato con l’originario datore di lavoro e mediante la costituzione ex novo di un rapporto di lavoro con un diverso soggetto, detta tutela non esclude, ma si aggiunge, a quella apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che ha intimato il licenziamento, con i limiti posti dalla legge all’esercizio del suo potere di recesso, non incidendo sul diritto del lavoratore di impugnare il licenziamento intimatogli per ottenere il
riconoscimento della continuità giuridica del rapporto originario (Cass. n. 9445/2024, Cass n. 29922/2018, n. 12613/2007)
Questa corte ha pure chiarito che non si può ritenere che la scelta effettuata per la costituzione di un nuovo rapporto implica, di per sé, rinuncia all’impugnazione dell’atto di recesso, dovendosi escludere che si possa desumere la rinuncia del lavoratore ad impugnare il licenziamento o l’acquiescenza al medesimo dal reperimento di una nuova occupazione, temporanea o definitiva, non rivelandosi, in tale scelta, in maniera univoca, ancorché implicita, la sicura intenzione del lavoratore di accettare l’atto risolutivo.’ (Cass. n. 31419/2023, Cass. 12613 del 2007 e Cass. n. 29922 del 2018)
7. La ricorrente, infine, nella memoria ex art. 378 c.p.c., solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, c. 4 bis del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, introdotto in sede di conversione dalla l. 28 febbraio 2008, n. 31, per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost., nella parte in cui prevede che l’acquisizione del personale già impiegato nel medesimo appalto, a seguito del subentro di un nuovo appaltatore, non comporta l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 24 della l. 223 del 1991 e successive modificazioni, in materia di licenziamenti collettivi, ‘ non indicando nel proprio perimetro dell’esclusione anche la l. 604 del 1996 ‘.
Secondo la ricorrente, la norma violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto irragionevole, atteso che viene lasciata al lavoratore la possibilità di agire in giudizio per ottenere una pronuncia di reintegrazione presso l’imprenditore uscente per violazione dell’o bbligo di repechage, a fronte del mantenimento dell’occupazione presso il nuovo appaltatore (laddove l’adempimento di detto obbligo si sarebbe tradotto in un minus di tutela, privando il lavoratore del diritto di conservare
l’occupazione alle medesime condizioni), nonché l’art. 41 Cost. realizzando una significativa compressione dell’iniziativa economica privata, gravando l’appaltatore cessante di un onere economico privo di giustificazione, ossia il pagamento in favore del l avoratore vittorioso dell’indennità sostituita della reintegrazione. Evidenzia pure la ricorrente che tale forma di ristoro si tradurrebbe in un arricchimento senza causa. Diversamente, il datore di lavoro sarebbe gravato della necessità di un esborso per ottenere in sede conciliativa la rinuncia ad ogni diritto relativo all’interruzione del rapporto da parte del lavoratore transitato, con la conseguenza che, senza alcun corrispettivo, la transazione sarebbe priva di causa, difettando il requisito delle rec iproche concessioni di cui all’art. 1965 c.c..
8. La questione è manifestamente infondata.
In primo luogo, occorre evidenziare che la norma in questione si riferisce chiaramente all’ipotesi cambio d’appalto, ed ha lo scopo precipuo di rafforzare le tutele del lavoratore, aggiungendo una tutela complementare alle tutele già esistenti, garantendo la continuità occupazionale presso il nuovo appaltatore, senza pregiudicare la possibilità per il lavoratore di agire per eventuali diritti non correlati al subentro. E’ evidente, infatti che il lavoratore potrebbe preferire una collocazione differente rispetto a quella offerta dal nuovo appaltatore.
Tuttavia, la questione è irrilevante nel caso concreto, giacché la normativa di cui all’art. 7, comma 4 -bis, si applica esclusivamente ai casi di subentro di un nuovo appaltatore, circostanza non presente nella fattispecie in esame poiché risulta evidente dalla mera lettura della sentenza di appello che non si ricade in un effettivo caso di cambio d’appalto. Ed infatti il lavoratore risulta essere stato riassorbito di fatto da un nuovo
datore di lavoro senza una procedura di cambio appalto regolata dalla norma contestata.
In ogni caso l’interpretazione opposta è manifestamente irragionevole, perché priverebbe di tutela quei lavoratori che, rimasti in esubero e non transitati con il cambio d’appalto, trovino una nuova occupazione autonomamente, determinando un’evidente disparità di trattamento. Né, in linea generale, l’applicazione della norma comporta una compressione ingiustificata dell’iniziativa economica privata , giacché la soggezione (nella fattispecie regolata dall’art. 7, comma 4 bis cit.) del datore di lavoro al rispetto della (sola) disciplina dei licenziamenti individuali rientra nel bilanciamento dei valori sottesi agli artt. 4 e 41 Cost., terreno su cui non può non esercitarsi la discrezionalità del legislatore.
9.Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02
dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 22 ottobre 2024
La Presidente d.ssa NOME COGNOME