Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4936 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 4936 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16120/2023 r.g., proposto da
COGNOME COGNOME elett. dom.to presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 2770/2023 pubblicata in data 04/07/2023, n.r.g. 1184/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 28/01/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME era stato assunto da RAGIONE_SOCIALE in data 16/12/1988 come operaio, inquadrato nel 3^ livello CCNL gas e acqua, per lo svolgimento di mansioni di addetto alla distruzione del gas, all’effettuazione di interventi tecnici presso i vari clienti anche per i casi di emergenza (fughe di gas) e per la sostituzione dei misuratori.
OGGETTO:
licenziamento disciplinare – fatto accertato mediante agenzia investigativa -ammissibilità – limiti
In data 27/09/2019 gli era stata comunicata contestazione disciplinare: per aver falsamente attestato la presenza in servizio in determinati giorni; per aver indicato orari diversi da quelli durante i quali sarebbero stati effettuati gli interventi presso gli utenti; per avere utilizzato l’auto aziendale per scopi personali; per essersi fermato presso esercizi pubblici con indosso la divisa aziendale.
Ritenute insufficienti le giustificazioni rese dal COGNOME la datrice di lavoro lo aveva licenziato per giusta causa in data 15/10/2019.
Il COGNOME impugnava il licenziamento dinanzi al Tribunale di Napoli per ottenerne l’accertamento dell’illegittimità per insussistenza dei fatti contestati, per mancata affissione del codice di comportamento interno e del codice etico, per violazione delle norme sui controlli del datore di lavoro ed infine per previsione del CCNL di una sanzione soltanto conservativa per le condotte contestate.
2.Costituitosi il contraddittorio, all’esito della fase c.d. sommaria introdotta dalla legge n. 92/2012, il Tribunale rigettava l’impugnazione. Poi con sentenza rigettava l’opposizione del lavoratore.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dal COGNOME.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
da luglio 2009, a seguito di un accordo sindacale, si era instaurata una nuova modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che prevedeva la partenza del lavoratore ed il suo rientro direttamente presso la sua abitazione;
con successivo accordo sindacale del 2010 era previsto che le attività di gestione degli interventi avvenissero mediante il sistema work force management, in base al quale a ciascun operaio veniva dato in assegnazione un IPad, con quale accedere al portale ‘one service’, sul quale, al termine della giornata lavorativa, inserire i dati relativi ai lavori eseguiti ed ai relativi esiti;
dalla prova documentale emergono risultanze rilevanti ai fini della decisione, come già valutati dal Tribunale, con riguardo alle esatte procedure da osservare;
il COGNOME ha inserito dati errati nel sistema operativo; si è intrattenuto in locali pubblici durante l’orario di lavoro; ha utilizzato l’auto aziendale per scopi diversi da quelli lavorativi, trasportando anche terzi estranei al rapporto di lavoro; ha lasciato il posto di intervento prima dell’ultimazione dei lavori;
si tratta di condotte molto gravi, che non sono sanzionabili se non con il licenziamento;
tali fatti sono stati accertati mediante attività investigativa e ponendo a confronto anche i dati risultanti dallo I-Pad in dotazione;
quanto alla legittimità dell’uso dello strumento investigativo e dei sistemi di controllo vale riportare Cass. n. 34092/2021 circa i ‘sistemi difensivi’ di controllo e Cass. n. 15094/2018 circa il ricorso ad agenzie investigative;
d’altronde, come bene ha ritenuto il Tribunale, ai sensi del co. 2 dell’art. 4 L. n. 300/1970 la disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze;
nella specie l’azienda ha riscontrato i dati attraverso l’I -Pad in dotazione al COGNOME proprio per lo svolgimento del lavoro;
anche fra un intervento e un altro il dipendente deve restare a disposizione del datore di lavoro durante l’intero arco dell’orario di lavoro, sicché è infondata la tesi del COGNOME, secondo cui rileverebbe soltanto il risultato dell’intervento programmato e quindi nessun rilievo avrebbe la condotta tenuta fra un intervento e l’altro;
il COGNOME ha manifestato una inescusabile noncuranza dei criteri e delle regole proprie della sua attività lavorativa;
il licenziamento è sanzione proporzionata, considerando anche l’art. 21, punto 5, CCNL settore acqua e gas, che prevede il licenziamento senza preavviso qualora il lavoratore commetta ‘ irregolare scritturazione o timbratura di schede o alterazione dei sistemi aziendali di controllo delle presenze o dei rendiconti per i rimborsi delle spese di trasferta o comunque si rende responsabile di falsa attestazione della presenza in servizio ‘;
irrilevante è la mancata affissione del codice disciplinare, valendo sul punto il principio di diritto affermato da Cass. n. 11120/2021, secondo cui l’onere della previa affissione non sussiste in tutte le ipotesi in cui il comportamento sanzionato sia immediatamente percepibile come illecito perché contrario al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale.
4.Avverso tale sentenza Coletta Angelo ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
5.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2 e 3 L. n. 300/1970, 2119 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto provato il fatto contestato sulla scorta degli esiti del controllo occulto attuato dalla datrice di lavoro a mezzo di agenzia investigativa e a mezzo dell’I -Pad aziendale.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 4 L. n. 300/1970 e 2119 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto legittimo il controllo della datrice di lavoro attuato mediante il dispositivo elettronico I-Pad e, quindi, utilizzabili i dati tratti da quel dispositivo.
I due motivi -da esaminare congiuntamente per la loro connessione -sono infondati.
Con riguardo all’I -Pad, va premesso che il lavoratore non ha mai eccepito di non sapere adoperare l’I -Pad o di essere caduto in errore nel suo utilizzo o di non aver digitato quei dati tecnici riportati nella contestazione disciplinare (che non attengono a dignità e riservatezza del dipendente), ma si è limitato ad una difesa meramente formale, volta a negare di aver ricevuto le informazioni relative al predetto dispositivo invece necessarie ai sensi dell’art. 4, co. 3, L. n. 300/1970. Peraltro, per la prima volta con l’atto di reclamo -come riconosce lo stesso ricorrente (v. ricorso per cassazione, p. 52) -ha tardivamente dedotto di non aver ricevuto la prescritta preventiva ‘informazione’ dalla datrice di lavoro.
In ogni caso, la Corte d’Appello ha motivato soprattutto sul fatto che era lo stesso tecnico ad inserire nel sistema informatico tempi e modalità di esecuzione della sua prestazione lavorativa. La condotta oggetto di contestazione disciplinare è infatti consistita nell’aver inserito nel sistema informatico dati falsi, ossia non rispondenti al vero. Ne deriva che il dispositivo I-Pad nel presente giudizio rileva non come sistema del datore di lavoro per effettuare un controllo sulla prestazione lavorativa, ma come mezzo adoperato dal dipendente per fornire al datore di lavoro dati falsi. Tali dati, forniti dallo stesso lavoratore, rilevano pertanto non quale esito di un controllo a distanza della prestazione lavorativa, bensì come elementi da raffrontare con l’esito delle indagini investigative. A ben vedere, quegli elementi integrano proprio gran parte delle condotte disciplinarmente rilevanti, sicché non è pertinente il richiamo all’art. 4 L. n. 300/1970 (Cass. n. 28378/2023).
Con riguardo al ricorso ad agenzia investigativa privata, questa Corte ha già affermato che le disposizioni dell’art. 2 dello statuto dei lavoratori, nel limitare la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale, non precludono a quest’ultimo di ricorrere ad agenzie investigative, purché queste non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata dall’art. 3 dello statuto dei lavori direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (Cass. 14/02/2011, n. 3590; v. inoltre in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile a quella in esame il precedente di Cass. 30079/2024, che si richiama anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.) . Dunque va ribadito che i controlli del datore di lavoro a mezzo di agenzia investigativa, riguardanti l’attività lavorativa del prestatore svolta anche al di fuori dei locali aziendali, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa, in ragione del divieto di cui agli artt. 2 e 3 L. n. 300/1970 (Cass.
ord. 11/06/2018, n. 15094).
Ciò è quanto ricorre nel caso di specie: come accertato dalla Corte territoriale, la condotta tenuta dal ricorrente è stata connotata da frode idonea a conseguire indebiti arricchimenti a danno della società datrice di lavoro. Dunque si è trattato di comportamenti fraudolenti, fonte di danno per la società datrice di lavoro. Tanto basta a ritenere legittimo e giustificato il ricorso all’agenzia investigativa.
2.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ dell’art. 7, co. 1, L. n. 300/1970 per avere la Corte territoriale ritenuto irrilevante la mancata affissione del codice di comportamento e del codice etico.
Il motivo è inammissibile, perché non si confronta in alcun modo con l’argomentazione articolata dai giudici del reclamo, in senso conforme a i principi di diritto affermati da questa Corte di legittimità: il comportamento disciplinarmente rilevante è dotato di manifesto disvalore morale e sociale, quindi immediatamente percepibile e conoscibile dal quisque de populo , sicché la mancata affissione del codice disciplinare è del tutto irrilevante.
3.- Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. il ricorrente lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso di pronunziare sul quarto motivo di gravame relativo alla mancata previa affissione del codice di comportamento, delle procedure aziendali e del codice etico.
Il motivo è infondato.
L ‘immediata percepibilità del disvalore di comportamenti aventi anche rilievo penale è tale da escludere l’onere della previa specificazione di quei comportamenti. Quindi deve ritenersi che valga a tal riguardo la medesima motivazione spesa dalla Corte territoriale per il codice disciplinare. Dunque si è trattato di un rigetto implicito, sicché una pronunzia, sia pure implicita, vi è stata.
4.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c., il ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 2119 c.c., 18, co. 4, L. n. 300/1970, 21, punto 5, CCNL gas e acqua, 1362 c.c. relativamente alla consuntivazione contenuta nella procedura aziendale, per avere la Corte territoriale ritenuto sussumibili le condotte contestate in
via disciplinare nella fattispecie prevista dall’art. 21, punto 5, CCNL cit. implicante l’applicazione di sanzione espulsiva.
Il motivo è inammissibile, poiché muove sostanzialmente da una ricostruzione del contenuto della c.d. attività di consuntivazione di cui alla richiamata procedura aziendale in contrasto con l’accertamento della Corte di merito, accertamento non più rivedibile perché sorretto da ‘ doppia conforme ‘ ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c.
5.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in