Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33186 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33186 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 6289-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME DE
Oggetto
Contributi previdenziali
R.G.N. 6289/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 27/09/2024
CC
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrenti –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 394/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 21/12/2018 R.G.N. 65/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/09/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 21.12.2018, la Corte d’appello di Brescia ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva ritenuto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la Fondazione NOME COGNOME e due fisioterapiste assunte con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, rigettando per conseguenza la domanda di accertamento negativo e l’opposizione ad avviso di addebito proposte dalla Fondazione medesima; che avverso tale pronuncia la Fondazione NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura, successivamente illustrati con memoria; che, chiamata la causa all’adunanza camerale del 27.9.2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di che l’INPS e l’INAIL hanno resistito con distinti controricorsi; giorni sessanta (articolo 380bis .1, comma 2°, c.p.c.);
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2222 e 2697 c.c. per avere la Corte di merito ritenuto la sussistenza della subordinazione sulla scorta di elementi non decisivi ai fini della qualificazione della prestazione e in assenza di prova concernente la sottoposizione delle due fisioterapiste al potere direttivo, organizzativo e disciplinare;
che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 116, comma 8, l. n. 388/2000, e 2697 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che, ai fini del regime sanzionatorio applicabile, si versasse in ipotesi di evasione e non di mera omissione contributiva;
che, con il terzo motivo, la ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 54, d.lgs. n. 81/2015, per avere la Corte di merito ritenuto che non sussistessero i presupposti per l’ammissione alla sanatoria ivi prevista;
che, con riguardo al primo motivo, va premesso che la valutazione circa la sussistenza degli elementi dai quali inferire l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato costituisce un accertamento di fatto, rispetto al quale il sindacato di questa Corte di cassazione è equiparabile al più generale sindacato sul ricorso al ragionamento presuntivo da parte del giudice di merito, di talché il giudizio relativo alla qualificazione di uno specifico rapporto come subordinato o autonomo è censurabile ex art. 360, comma 1°, n. 3, c.p.c. solo per ciò che riguarda l’individuazione dei caratteri identificativi del lavoro subordinato, per come tipizzati dall’art. 2094 c.c., mentre è sindacabile nei limiti ammessi dall’art. 360, comma 1°, n. 5, c.p.c. allorché si proponga di criticare il ragionamento (necessariamente presuntivo) concernente la scelta e la
ponderazione degli elementi di fatto, altrimenti denominati indici o criteri sussidiari di subordinazione, che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (così, tra le più recenti, Cas s. nn. 33820 del 2021 e 22846 del 2022, entrambe sulla scorta di Cass. S.U. n. 379 del 1999);
che, tanto premesso, la censura in esame si palesa inammissibile, atteso che, ad onta del riferimento a presunte violazioni degli artt. 2094 e 2222 c.c., mira piuttosto a sovvertire l’accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito in ordine alla modalità con cui sono state rese le prestazioni lavorative per cui è causa, ciò che non è punto consentito in presenza di una doppia conforme di merito (art. 348ter , ult. co., c.p.c., nel testo vigente ratione temporis );
che, per quanto specificamente concerne la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., merita d’essere ribadito che la censurabilità per cassazione della violazione della norma in esame è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l ‘onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece quando -come nella specie -oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (così, tra le più recenti, Cass. nn. 13395 del 2018 e 18092 del 2020);
che il secondo motivo è invece infondato, avendo i giudici territoriali dato continuità al principio secondo cui l’omessa o infedele denuncia mensile agli enti previdenziali circa i rapporti di lavoro e le retribuzioni erogate fa presumere la sussistenza di un’evasione contributiva ex art. 116, comma 8, lett. b) , l. n. 388/2000, salvo che il datore di lavoro non provi l’assenza di
alcun intento fraudolento (così da ult. Cass. n. 20446 del 2022), ciò che -nella specie -è stato escluso con valutazione di merito non suscettibile di riesame in questa sede di legittimità;
che del pari infondato è il terzo motivo, atteso che -come correttamente rilevato dai giudici di merito -l’estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali, prevista dall’art. 54, d.lgs. n. 81/2015, per i datori di lavoro privati che, in conseguenza di una ‘erronea qualificazione del rapporto di lavoro’, procedano all’assunzione con contratto di lavoro subordinato di lavoratori già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto, opera per le assunzioni effe ttuate ‘a decorrere dal 1° gennaio 2016’ e, soprattutto, presuppone il riconoscimento da parte del datore di lavoro dell’erroneità della situazione per l’innanzi denunciata, ciò che nella specie è stato incontrovertibilmente escluso per avere la ricorrente ‘continuato a sostenere la genuinità e regolarità dei rapporti di collaborazione con le due fisioterapiste’ e non aver conseguentemente presentato ‘alcuna domanda amministrativa volta ad ottenere i benefici in questione’, che avrebbe comportato ‘la volontaria chiusura dell’odierno giudizio’ (così la sentenza impugnata, pag. 31);
che il ricorso, pertanto, va conclusivamente rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano
in € 8.200,00, di cui € 8.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge, per ciascuna delle parti controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 27.9.2024.