Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22057 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 22057 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 72-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che li rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 618/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 22/06/2018 R.G.N. 1027/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/05/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Oggetto
Qualificazione rapporto privato
R.G.N.72/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 16/05/2024
CC
Con la sentenza n. 618/2018 la Corte di appello di Palermo ha rigettato il gravame proposto avverso la pronuncia emessa dal Tribunale di Trapani, con la quale erano state respinte le domande proposte da COGNOME NOME, nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME, dirette al riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con quest’ultima dal mese di aprile 1998 al 7 luglio 2010 (data di decesso della COGNOME), con le mansioni di assistente a persone non autosufficienti inquadrabili al profilo C SUPER del CCNL, per il lavoro domestico del 16.2.2007, e osservando un orario di lavoro che andava dalle 9.00 alle 14.00 di tutti i giorni della settimana compresi i festivi e, per l’effetto, volte ad ottenere la condanna dei convenuti al pagamento della somma di euro 34.028,00 a titolo di differenze retributive, riposi e festività non goduti, tredicesima mensilità, indennità sostitutiva delle ferie non godute e trattamento di fine rapporto, oltre alla regolarizzazione contributiva.
I giudici di seconde cure, a fondamento della decisione, premesso che in sede di precisazione delle conclusioni non era stata reiterata la richiesta di escussione dei testi esclusi dal Tribunale perché sovrabbondanti, hanno rilevato che l’esame complessiv o delle risultanze testimoniali non aveva, in alcun modo consentito di accertare l’effettivo espletamento di attività lavorativa avente natura subordinata da parte della COGNOME, per il periodo indicato in ricorso.
Avverso la decisione di secondo grado NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui hanno resistito con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La ricorrente ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico articolato motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2094 cc e 116 cpc, oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
contro
verso e decisivo della controversia (art. 360 co. 1 n. 5 cpc), per avere la Corte di appello, con motivazione carente e sicuramente contraddittoria, valorizzato gli indici della subordinazione senza problematizzarla in relazione al tipo di prestazione di lavoro oggetto dell’indagine (assistente domestica con mansioni di accudimento di una persona anziana non autosufficiente) che incideva senza dubbio sulla estrinsecazione dei poteri del datore di lavoro connessi alla subordinazione.
Il motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.
E’ infondato relativamente alla individuazione degli elementi della subordinazione (denunciata violazione, da parte del ricorrente, dell’art. 2094 cc), che sono stati, in pratica, correttamente riscontrati dai giudici di seconde cure nell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro: requisiti che consentono di distinguere il rapporto di lavoro di cui all’art. 2094 cod. civ. dal lavoro autonomo (in ordine ai principi di diritto, cfr. Cass. n. 13858/2009; Cass. n. 5645/2009).
E’ opportuno sottolineare che viene considerato come ‘indefettibile’ l’elemento del vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo -non necessariamente stringente- del datore di lavoro (che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato), mentre solo quando tale elemento non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni (sia perché si tratta di mansioni estremamente elementari ripetitive e predeterminate nelle loro modalità, sia perché, all’opposto, si tratta di mansioni di livello particolarmente elevato perché di natura intellettuale, professionale o creativa) e del relativo atteggiarsi del rapporto, si ritiene necessario fare riferimento a criteri complementari e sussidiari -come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell’osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale -che,
benché isolatamente considerati siano privi di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della subordinazione stessa ( ex plurimis : Cass. 27 febbraio 2007, n. 4500; Cass. SU, 3 giugno 1999, n. 379; Cass. 17 aprile 2009, n. 9254; Cass. 19 aprile 2010, n. 9252; Cass.29 marzo 2004, n. 6224).
La Corte territoriale, in punto di diritto e come in seguito verrà specificato in fatto, si è attenuta a questi principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
Il motivo è, invece, inammissibile nella parte in cui vengono censurati l’accertamento di fatto e la pertinenza delle prove articolate che costituiscono facoltà rimesse all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito ed il mancato esercizio di tale potere, al pari di quello riconosciuto al giudice del lavoro di disporre d’ufficio dei mezzi di prova, involgendo un giudizio di merito, non può formare oggetto di censura in sede di legittimità, soprattutto se vi sia stata adeguata motivazione, come nel caso in esame (per tutte Cass. n. 10371/1995).
Va sottolineato, al riguardo, che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).
Quanto, poi, alle dedotte violazioni ex art. 360 n. 5 cpc, deve precisarsi che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe
determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, come sopra detto, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 27415/2018; Cass. 19881/2014).
Infine, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. 20867/2020).
Nella fattispecie la Corte distrettuale, condividendo le conclusioni del giudice di primo grado, avendo riguardo alla tipologia del lavoro svolto dalla COGNOME e con motivazione esente dai vizi ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc nuova formulazione, ratione temporis applicabile, ha sottolineato che i testi escussi avevano confermato esclusivamente la presenza della ricorrente, con frequenza incerta, presso l’abitazione della COGNOME, intenta semplicemente a svolgere una attività di pulizia degli ambienti, senza fornire alcuna indicazione decisiva in ordine alla sottoposizione al potere e controllo datoriale; il tutto in un contesto di assenza di specifiche indicazioni in relazione ai tempi, alla frequenza dell’attività lavorativa, al rispetto di un orario di lavoro pre determinato, all’obbligo di giustificazione in caso di assenze
o ritardi e in ordine alla predeterminazione e somministrazione costante del compenso.
Ciò che, quindi, non è risultato dimostrato, nel caso de quo, secondo i giudici del merito, è, in primo luogo, lo svolgimento di attività di assistente a persona non autosufficiente e, in secondo luogo, l’eterodirezione datoriale in relazione all’attività lavorativa effettivamente svolta, con la conseguente valutazione degli indici sintomatici della subordinazione.
Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 maggio 2024