Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16770 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 16770 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16863-2019 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 167/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 04/03/2019 R.G.N. 951/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/03/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Firenze, con la sentenza n. 167/2019, ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede
R.G.N. 16863/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 27/03/2024
CC
che aveva respinto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME volta all’accertamento di un rapporto di lavoro di natura subordinata dal 31.8.2003 al dicembre 2007, con inquadramento nel IV livello CCNL Pubblici esercizi, per avere svolto mansioni di gestore dell’attività turistico-ricettiva collocata nella casa colonica toscana sita nel podere Crispino a Panzano, nonché alla declaratoria dell’illegittimità del licenziamento intimatole oralmente e al pagamento delle differenze retributive quantificate in euro 101.366,04.
I giudici di seconde cure hanno rilevato, premessa la mancanza di un accordo negoziale scritto e la riconducibilità in astratto dell’attività tanto ad un rapporto subordinato che ad un incarico professionale continuativo, che dalle risultanze processuali non era emersa la possibilità di individuare gli elementi della subordinazione, così come non era stata fornita alcuna prova di un licenziamento orale.
Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidato ad un unico motivo cui ha resistito con controricorso l’intimato.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico articolato motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, nonché la violazione di legge per la errata qualificazione del rapporto di lavoro. Si sostiene che, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, si imponeva la necessaria ricostruzione del rapporto di lavoro come subordinato e che i dati acquisiti, documentali ed orali, erano tutti nel senso del riconoscimento della natura subordinata del rapporto stesso.
Il ricorso non è meritevole di accoglimento presentando il motivo di censura profili di infondatezza e di inammissibilità.
E’ infondato relativamente alla individuazione degli elementi della subordinazione (denunciata violazione, in sostanza, da parte della ricorrente, dell’art. 2094 cc), che sono stati, in
pratica, correttamente riscontrati dai giudici di seconde cure nell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro: requisiti che consentono di distinguere il rapporto di lavoro di cui all’art. 2094 cod. civ. dal lavoro autonomo (in ordine ai principi di diritto, per tutte cfr. Cass. n. 13858/2009; Cass. n. 5645/2009; Cass. 15631/2018).
E’, invece, inammissibile nella parte in cui vengono censurati l’accertamento di fatto e la pertinenza delle prove articolate che costituiscono facoltà rimesse all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito ed il mancato esercizio di tale potere, al pari di quello riconosciuto al giudice del lavoro di disporre d’ufficio dei mezzi di prova, involgendo un giudizio di merito, non può formare oggetto di censura in sede di legittimità, soprattutto se vi sia stata adeguata motivazione, come nel caso in esame (per tutte Cass. n. 10371/1995).
Nella fattispecie, la Corte territoriale, con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, nuova formulazione ratione temporis applicabile, ha precisato che, pur risultando che la COGNOME rivestisse la figura di collegamento tra i clienti e il COGNOME, tuttavia non era stata raggiunta la prova che ad essa fossero date specifiche direttive da quest’ultimo ovvero che questi controllasse volta per volta il lavoro svolto: ciò a fronte di una mancata allegazione di un orario di lavoro cui la prestatrice avrebbe dovuto attenersi e di un corrispettivo erogato in maniera fissa e continua; secondo i giudici di seconde cure, poi, l’alloggio di cui godeva la COGNOME costituiva il parziale controvalore della prestazione resa da questa neutralizzando il costo con il compenso fisso e percependo, invece, una percentuale sugli affitti; il tutto, quindi, in un contesto di una collaborazione autonoma e non di un rapporto di lavoro subordinato, con assunzione del rischio di impresa da parte della COGNOME.
6. Si tratta di una valutazione di merito, come detto adeguatamente motivata, e più volte questa Corte ha affermato che la valutazione delle risultanze processuali che inducono il giudice del merito ad includere un rapporto controverso nello schema contrattuale del rapporto di lavoro subordinato o
autonomo costituisce accertamento di fatto, per cui è censurabile in Cassazione solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto (Cass. ord. n. 9106/2021; Cass. n. 13202/2019; Cass. n. 5436/2019; Cass. n. 332/2018; Cass. n. 17533/2017; Cass. n. 14434/2015; Cass. n. 4346/2015; Cass. n. 9808/2011; Cass. n. 23455/2009; Cass. n. 26896/2009).
Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
E’ opportuno sottolineare che il patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, ex art. 74, comma secondo, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, non vale ad addossare allo Stato anche le spese che la parte ammessa sia condannata a pagare all’altra parte, risultata vittoriosa, perché “gli onorari e le spese” di cui all’art. 131 d.P.R. cit. sono solo quelli dovuti al difensore della parte assistita dal beneficio, che lo Stato si impegna ad anticipare (Cass. n. 10053/2012; Cass. n. 8388/2017).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 marzo 2024