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Lavoro subordinato cooperativa: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società cooperativa contro l’ente previdenziale, confermando l’obbligo di versare i contributi per il Fondo di solidarietà residuale. La Corte ha stabilito che, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, non rileva il nome dato al contratto dalle parti, ma le concrete modalità di svolgimento della prestazione. Nel caso di specie, la presenza di indici quali l’eterodirezione, la natura ripetitiva delle mansioni e l’assenza di rischio d’impresa hanno dimostrato l’esistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato in cooperativa, legittimando la pretesa contributiva.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Lavoro subordinato in cooperativa: quando la forma cede il passo alla sostanza

La distinzione tra lavoro autonomo e subordinato rappresenta da sempre uno dei nodi cruciali del diritto del lavoro. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna sul tema, offrendo chiarimenti fondamentali sulla qualificazione del lavoro subordinato in cooperativa. La decisione sottolinea un principio cardine: per determinare la natura di un rapporto di lavoro, non basta guardare al nome che le parti gli hanno dato, ma è necessario analizzare le concrete modalità di esecuzione della prestazione. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I fatti di causa

Il caso trae origine dalla richiesta di pagamento di contributi avanzata da un ente previdenziale nei confronti di una società cooperativa. L’ente riteneva che i rapporti di lavoro con i soci della cooperativa dovessero essere qualificati come subordinati e, di conseguenza, fossero soggetti al versamento dei contributi destinati al Fondo di solidarietà residuale. La cooperativa si è opposta, sostenendo la natura autonoma del rapporto con i propri soci e impugnando la pretesa contributiva.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione all’ente previdenziale, ritenendo che, al di là della qualifica formale, i rapporti di lavoro presentassero tutte le caratteristiche della subordinazione. La cooperativa ha quindi deciso di ricorrere in Cassazione, contestando la decisione dei giudici di merito.

I motivi del ricorso e il dibattito sul lavoro subordinato in cooperativa

La società ricorrente ha basato la sua difesa su diversi motivi, sostenendo che i giudici avessero errato nel non considerare la volontà delle parti, che avevano escluso il vincolo di subordinazione. Inoltre, secondo la cooperativa, non era stata data adeguata prova dell’assoggettamento dei soci al potere direttivo, organizzativo e disciplinare tipico del datore di lavoro. Si contestava, in sostanza, una valutazione presuntiva della subordinazione, basata sull’opzione della cooperativa per il regime previdenziale del lavoro dipendente, senza un accertamento concreto e individualizzato delle singole posizioni lavorative.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando le sentenze dei gradi precedenti e ribadendo principi consolidati in materia. I giudici hanno chiarito che l’indagine sulla natura del rapporto di lavoro non può fermarsi al nomen iuris (il nome dato al contratto), poiché il tipo negoziale del lavoro subordinato è indisponibile per le parti.

La Corte ha valorizzato il “comportamento complessivo” delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, come criterio primario di interpretazione. Nel caso specifico, sono emersi numerosi indici di subordinazione:

* Inserimento stabile nell’organizzazione: I soci non agivano come imprenditori autonomi, ma mettevano le loro energie lavorative a stabile disposizione della società.
* Natura delle mansioni: Le prestazioni (pulizia, facchinaggio, movimentazione merci) erano elementari, ripetitive e predeterminate nelle modalità di esecuzione.
* Assenza di rischio d’impresa: I soci non partecipavano al rischio economico dell’attività, percependo una retribuzione oraria prestabilita.
* Mancato apporto di mezzi: I lavoratori non utilizzavano materiali o attrezzature proprie.

Questi elementi, complessivamente considerati, delineano un quadro di eterodirezione, in cui il lavoratore è soggetto al potere direttivo e organizzativo dell’impresa. La Cassazione ha ritenuto irrilevanti, in senso contrario, elementi come la facoltà dei soci di rifiutare le proposte di lavoro, poiché non sufficienti a escludere il vincolo di subordinazione di fronte a un quadro probatorio così solido.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un’importante conferma del principio di prevalenza della sostanza sulla forma nella qualificazione del rapporto di lavoro. La Corte di Cassazione ribadisce che lo schermo della forma cooperativistica non può essere utilizzato per eludere gli obblighi contributivi e previdenziali legati al lavoro subordinato, quando le modalità concrete di svolgimento della prestazione rivelano un’effettiva dipendenza del lavoratore. Questa decisione serve da monito per tutte le imprese: la corretta qualificazione del rapporto di lavoro e il conseguente adempimento degli obblighi di legge dipendono dalla realtà fattuale e non dalle etichette contrattuali.

La qualifica che le parti danno a un contratto di lavoro è vincolante per il giudice?
No, la qualifica formale attribuita dalle parti al contratto (nomen iuris) non è vincolante. Il giudice deve accertare la natura del rapporto basandosi sulle sue concrete modalità di svolgimento e sul comportamento complessivo delle parti.

Quali sono gli elementi principali che indicano un rapporto di lavoro subordinato in una cooperativa?
Gli elementi chiave sono l’assoggettamento del socio al potere direttivo e organizzativo della cooperativa (eterodirezione), lo stabile inserimento nell’organizzazione aziendale, la natura elementare e ripetitiva delle mansioni, l’assenza di rischio d’impresa a carico del socio e una retribuzione fissa, come quella oraria.

Il fatto che un socio lavoratore possa rifiutare una proposta di lavoro esclude la subordinazione?
No, secondo la Corte, la facoltà di rifiutare singole prestazioni di lavoro non è di per sé un elemento decisivo per escludere la natura subordinata del rapporto, specialmente quando sono presenti tutti gli altri indici tipici della subordinazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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