Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5403 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 5403 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 31329-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
R.G.N.31329/2019
COGNOME
Rep.
Ud.14/01/2025
CC
avverso la sentenza n. 485/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 15/04/2019 R.G.N. 361/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
1. l a Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 485/2019, ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Milano, che aveva a sua volta respinto il ricorso proposto dalla stessa cooperativa contro l’INAIL per l’accertamento negativo avverso il verbale unico di accertamento e notificazione INAIL – sede Milano Boncompagni del 21.12.2015, richiamante altro verbale ispettivo INPS, con ricalcolo dell’imponibile ai fini del premio assicurativo per il periodo 1.3.2013 -31.12.2014 e il certificato di variazione del rapporto assicurativo 11.1.2016;
2. la Corte d’Appello, richiamate le motivazioni della sentenza di primo grado, esaminate criticamente alla luce dei motivi di appello, ha confermato l’accertamento della ravvisabilità in concreto degli elementi tipici della subordinazione; ha osservato che i rapporti di lavoro instaurati dalla cooperativa con i propri soci, pur formalizzati tramite contratto mutualistico, erano in realtà rapporti di lavoro subordinato, deponendo in tal senso una pluralità di indici (tra cui il comportamento del datore di lavoro, l’assenza di rischio in capo ai lavoratori, l’obbligo di giustificare l’assenza, l’inserimento all’interno della struttura aziendale, il coordinamento organizzativo e direttivo della cooperativa); ha rilevato che, poiché i soci svolgevano, in via continuativa, prestazioni di pulizia e facchinaggio nell’ambito degli appalti
acquisiti dalla cooperativa, a fronte di una retribuzione oraria prestabilita nei contratti di lavoro individuali, non apportavano alcuna attrezzatura, né materiale proprio, non erano soggetti ad alcun rischio imprenditoriale, essi si limitavano a porre le proprie energie lavorative a disposizione della società; ha rilevato che, in caso di malattia o maternità, essi percepivano le indennità erogate dall’INPS in ragione del regime previdenziale prescelto dalla cooperativa medesima; ha ritenuto superflue ulteriori indagini di tipo testimoniale, evidenziando che i dati rappresentati costituivano un assetto che, complessivamente valutato, rivelava la sostanziale natura subordinata dei rapporti oggetto di causa, anche perché la natura delle prestazioni, il loro svolgimento in via continuativa nell’ambito dell’organizzazione aziendale, la forma della relativa retribuzione erano incompatibili con il carattere autonomo del sotteso rapporto di lavoro;
3. avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE con 12 motivi, ai quali ha resistito l’INAIL con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. in punto criteri distintivi della subordinazione;
2. con il secondo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione dell’art. 2094 c.c. in punto determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto al fine di qualificare il rapporto di lavoro;
3. con il terzo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione degli artt. 3 e 4 della legge n. 142/2001; sostiene la violazione del principio di irrilevanza degli adempimenti fiscali e previdenziali ai fini qualificatori del rapporto di lavoro;
con il quarto motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione dell’art. 2697 c.c. in punto errata distribuzione dell’onere della prova a carico dell’INAIL in relazione ai fatti costitutivi della pretesa;
con il quinto motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione degli artt. 2094 e 2697 c.c. in punto di materiale individuazione analitica dei singoli rapporti di lavoro e prova della loro natura subordinata;
con il sesto motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione o falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 c.c. in punto presunzioni semplici e onere della prova, sostenendo che è stato fatto un uso vietato della presumptio presumptionis , in relazione a una serie di elementi su cui fondare l’accertamento della subordinazione per una moltitudine di soci di cui l’ INAIL non ha indicato i nomi;
con il settimo motivo (art. 360, n. 4, c.p.c.), violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comunque nullità processuale, violazione del diritto di difesa e manifesta illogicità della motivazione, scaturenti dalla scelta di rigettare erroneamente le istanze istruttorie e poi dichiarare la domanda non provata;
con l’ottavo motivo (art. 360, n. 5, c.p.c.), vizio di motivazione in punto mancata ammissione delle istanze istruttorie orali dedotte su fatti decisivi ai fini della prova del carattere autonomo dei rapporti di lavoro dei soci;
9. con il nono motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione dell’art. 1, comma 2, legge n. 142/2001, in punto assunzione del rischio di impresa da parte dei soci della cooperativa;
10. con il decimo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione o falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, lett. d), 1, comma 3, 6, legge n. 142/2001, in punto di cd. lavoro disponibile ed effetti previdenziali; sostiene che la Corte di merito ha disatteso il principio secondo cui, nelle cooperative, in assenza di disponibilità di lavoro ogni obbligazione reciproca viene meno, con la conseguenza che per i periodi non lavorati per indisponibilità di lavoro il socio non può pretendere alcuna retribuzione e l’INPS alcuna contribuzione;
11. con l’undicesimo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione dell’art. 1, comma 2, legge n. 142/2001, in punto contratto di lavoro e attività svolta dai soci;
12. con il dodicesimo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione o falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. per illogica utilizzazione dei parametri normativi di riferimento relativi alla subordinazione;
13. il ricorso è complessivamente infondato; tutti i motivi sono stati esaminati in svariati precedenti di questa Corte (Cass. n. 21830/2022, n. 29973/2022, n. 31683/2022, n. 22025/2024, n. 29551/2024), su ricorsi promossi dalla medesima cooperativa ricorrente, precedenti cui il Collegio intende dare continuità, e le cui motivazioni qui si richiamano, anche per relationem ;
14. preliminarmente osserva il Collegio che i motivi di ricorso sopra riportati possono essere esaminati unitariamente, per la connessione che li collega;
15. essi sono in parte infondati ed in parte inammissibili nei termini di seguito indicati;
16. non sussiste la denunciata carenza di motivazione, perché l’impugnata sentenza ha svolto argomentazioni motive idonee ad esplicitare il procedimento logico-giuridico posto a sostegno di ogni punto qualificante della decisione, anche per relationem ;
17. d’altronde, non risultano indicate in ricorso, in maniera precisa e specifica, lacune od omissioni decisive che, se evitate, avrebbero condotto ad una diversa decisione (Cass. S.U. n. 8053 e n. 8054/2014);
18. quanto all’omessa valutazione di fatti decisivi, va ricordato che nell’ipotesi di ‘doppia conforme’, sussistente nel caso di specie, prevista dall’art. 348 -ter, quinto comma, c.p.c., applicabile ratione temporis , il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo dedotto ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774/2016, n. 20994/2019); ma ciò la ricorrente non ha fatto;
19. in generale, è opportuno ricordare che quello di Cassazione non è un terzo grado di giudizio il cui compito sia di verificare la fondatezza di ogni affermazione effettuata dal giudice di appello nella sentenza; esso è invece (Cass. n. 25332/2014) un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di Cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa;
20. ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta
nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti; ma deve promuovere specifiche censure nei limiti dei motivi consentiti dalla legge;
21. è inoltre ius receptum che sia devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato; conseguentemente, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’ iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata;
22. tale parametro valutativo si applica anche in relazione agli indici sintomatici della subordinazione, talché non appare rilevante la censura secondo cui la Corte avrebbe privilegiato alcuni indici a scapito di altri di opposto tenore; tutto ciò rappresenta ndo null’altro che l’esercizio di un tipico potere di valutazione della prova e di ricostruzione della fattispecie che rientra nei tipici poteri discrezionali del giudice del merito effettuare, tanto in ordine agli elementi essenziali del rapporto di lavoro subordinato, tanto in relazione ai requisiti sintomatici del medesimo rapporto;
23. nel caso di specie la sentenza impugnata, nel confermare sul punto la valutazione del primo giudice, ha riesaminato le circostanze rilevanti ai fini della decisione motivando, in parte per relationem , in relazione alla natura dell’attività esercitata dai soci di facchinaggio in presenza di plurimi elementi sintomatici, prima evidenziati in narrativa, tutti rivelatori dell’esistenza della subordinazione; ciò pure perfettamente aderendo ad una risalente giurisprudenza di questa Corte in materia di accertamento della subordinazione ex art. 2094 c.c.; in particolare ha dato atto del carattere pacifico di una serie di circostanze tratte dal verbale INPS ( sentenza, pag. 4);
24. si tratta di un iter argomentativo esaustivo e immune da vizi logici e giuridici; le valutazioni svolte e le conclusioni che ne sono state tratte configurano un’opzione interpretativa del materiale probatorio congruamente argomentata, espressione di una potestà propria del giudice del merito e che non può essere sindacata nel suo esercizio in questa sede;
25. nessuna differenza deriva dalla legge n. 142/2001, dal momento che la natura dell’ulteriore rapporto di lavoro (che si combina a quello associativo di socio di cooperativa) deve rispondere allo schema qualificatorio stabilito in modo inderogabile dalla legge, sia sul piano lavoristico sia su quello previdenziale; i due piani devono corrispondere, a norma dell’art. 1, comma 3, della legge n. 142/2001 (‘… Dall’instaurazione dei predetti rapporti associativi e di lavoro in qualsiasi forma derivano i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale … ‘) che ha introdotto la regola della corrispondenza degli effetti in relazione ai rapporti instaurati;
26. sono pertanto inconfigurabili gli errores in iudicando formalmente denunciati, laddove piuttosto le censure sollevate con i motivi di ricorso mirano esclusivamente a contestare
l’accertamento di fatto operato dalla Corte di Appello, congruamente argomentato, in esatta applicazione del principio di accertamento in concreto del rapporto di lavoro (Cass. n. 19199/2013, n. 14434/2015), che prescinde dalla volontà delle parti, trattandosi di una qualificazione di natura inderogabile da effettuare in base alle reali modalità di esecuzione del rapporto; risolvendosi in tal modo le censure sollevate in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, ad essa esclusivamente spettante quale giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 29404/2017, S.U. n. 34476/2019, n. 5987/2021).
27. sollecita una diversa valutazione del fatto, già analizzato in termini convergenti dai giudici di prime e di seconde cure, anche il richiamo alla sentenza del Tribunale ordinario di Milano, sezione quinta penale, di assoluzione del legale rappresentante della cooperativa con formula piena perché il fatto non sussiste;
28. detto precedente non risulta depositato, benché indicato nella memoria, né consta deposito di attestazione del passaggio in giudicato , come onere dell’odierna parte ricorrente ( Cass. n. 36258/2023);
29. peraltro, in sede penale, è differente il canone di giudizio rispetto alla cd. preponderanza dell’evidenza tipica del giudizio civile; invero, l’ambito di operatività della fattispecie penale non coincide con i profili (assicurazione INAIL) qui in esame ai fini della proposta eccezione di giudicato esterno, se non altro perché il delitto previsto dall’art. 37, legge 24 novembre 1981, n. 689, è caratterizzato, sotto il profilo soggettivo, da dolo generico, quanto all’omessa registrazione o denunzia obbligatoria, e da dolo specifico di evasione, esigendosi che il datore di lavoro persegua il fine di non versare, in tutto o in
parte, i contributi previdenziali o assistenziali (cfr. Cass. pen. n. 20835/2024; v. anche Cass. pen. n. 7145/2021); la questione dell’elemento soggettivo del delitto è del tutto estranea agli accertamenti oggetto di causa, con conseguente non rilevanza nel caso concreto della prospettata questione di costituzionalità per disparità di trattamento con imputati assolti da reati tributari;
30. in ragione della soccombenza parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore di parte controricorrente, liquidate come da dispositivo;
31. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 12.000,00 per compensi, € 200,00 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 14 gennaio 2025.
La Presidente dott.ssa NOME COGNOME