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Lavoro straordinario sanità: pagamento anche senza ok

Un operatore sanitario ha svolto ore di lavoro extra per un servizio di dialisi estiva. L’azienda sanitaria ha negato il pagamento sostenendo la mancanza dei requisiti formali per le ‘prestazioni aggiuntive’. La Corte di Cassazione ha stabilito che, anche in assenza di tali requisiti, le ore prestate con il consenso del datore di lavoro costituiscono lavoro straordinario e devono essere retribuite, proteggendo il diritto del lavoratore alla giusta retribuzione.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Lavoro Straordinario nella Sanità: Pagamento Garantito Anche Senza Autorizzazione Formale

Il tema del lavoro straordinario nel pubblico impiego, e in particolare nel settore sanitario, è spesso fonte di contenziosi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il diritto alla retribuzione per le ore di lavoro extra prevale sui vizi formali dell’autorizzazione, a patto che la prestazione sia stata svolta con il consenso del datore di lavoro. Questa decisione tutela il lavoratore e chiarisce i confini tra le diverse tipologie di prestazioni eccedenti l’orario standard.

Il Caso: Dal Servizio di Dialisi Estiva al Contenzioso

La vicenda trae origine dalla richiesta di un operatore sanitario di vedersi riconosciuta la retribuzione per ore di lavoro svolte oltre il proprio debito orario. Tali prestazioni erano state rese nell’ambito di un servizio di ‘dialisi estiva’, organizzato dall’Azienda Sanitaria per far fronte alle esigenze di pazienti provenienti da altre regioni.

La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda del lavoratore. Secondo i giudici di secondo grado, le attività in questione rientravano nella categoria delle ‘prestazioni aggiuntive’, una fattispecie specifica regolata da una normativa speciale che richiede precisi presupposti per essere attivata e retribuita: un’autorizzazione regionale, specifiche condizioni soggettive dei lavoratori e una tariffazione definita. Poiché tali requisiti non erano stati provati, la domanda era stata respinta.

La Controversia sul Lavoro Straordinario

Il lavoratore ha impugnato la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che, al di là della qualificazione formale, si trattava di ore di lavoro effettivamente prestate su richiesta e a vantaggio del datore di lavoro. L’Azienda Sanitaria, infatti, non solo aveva ‘comandato’ l’esecuzione delle prestazioni, ma ne aveva anche tratto un beneficio economico, percependo dei ‘ricavi’.

Il nodo centrale della questione era quindi stabilire se la mancanza dei requisiti per le ‘prestazioni aggiuntive’ potesse annullare il diritto del dipendente a essere pagato per il lavoro straordinario effettivamente svolto.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione: Il Diritto alla Retribuzione

La Suprema Corte, pur riconoscendo la correttezza della ricostruzione della Corte d’Appello sulla disciplina delle prestazioni aggiuntive, ha ritenuto il suo apprezzamento parziale e, in ultima analisi, errato nella conclusione.

Il punto focale, secondo gli Ermellini, non è la qualificazione formale delle ore extra, ma la sostanza della prestazione. Se un dipendente lavora oltre il proprio orario su richiesta o con il consenso, anche implicito, del datore di lavoro, tale attività deve essere qualificata e retribuita come lavoro straordinario.

Il Principio dell’Art. 2126 c.c. e il Consenso del Datore

La Corte ha richiamato l’articolo 2126 del Codice Civile, che tutela il lavoro prestato anche in esecuzione di un atto nullo. Questo principio, applicato al contesto del pubblico impiego e combinato con l’articolo 36 della Costituzione (diritto a una retribuzione proporzionata e sufficiente), impone il pagamento delle prestazioni effettivamente rese. L’unico elemento necessario è il consenso del datore di lavoro, ovvero che le prestazioni non siano state svolte insciente o prohibente domino (all’insaputa o contro la volontà del datore).

Nel caso di specie, era pacifico che l’Azienda Sanitaria avesse richiesto e beneficiato delle ore extra. Pertanto, la mancanza di un’autorizzazione regionale o di altri requisiti formali non poteva pregiudicare il diritto del lavoratore al compenso per il lavoro straordinario.

La Responsabilità dei Dirigenti e i Vincoli di Spesa

La Cassazione ha inoltre chiarito un aspetto cruciale riguardante i vincoli di spesa pubblica. Le norme che impongono autorizzazioni preventive e il rispetto dei budget sono poste a tutela dell’amministrazione e non possono essere usate per penalizzare il lavoratore che ha adempiuto alla sua prestazione in buona fede.

L’eventuale violazione di tali norme sposta la responsabilità sul piano interno all’amministrazione, esponendo i dirigenti che hanno autorizzato la spesa a possibili conseguenze, ma non può tradursi in un mancato pagamento per il dipendente. Il sistema giuridico non può tollerare che il lavoratore subordinato subisca il pregiudizio derivante da irregolarità amministrative a lui non imputabili.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un’altra sezione della stessa Corte territoriale. Quest’ultima dovrà ora ricalcolare quanto dovuto al dipendente sulla base dei principi del lavoro straordinario, secondo quanto previsto dalla contrattazione collettiva applicabile.

Il principio affermato è chiaro e di vasta portata: nel pubblico impiego privatizzato, quando una prestazione di lavoro eccedente l’orario ordinario è svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro, essa deve essere retribuita come straordinario, a prescindere dalla validità formale della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica. La tutela del diritto costituzionale alla retribuzione prevale sui vizi procedurali interni all’amministrazione.

Un dipendente pubblico ha diritto al pagamento del lavoro straordinario anche se manca un’autorizzazione formale secondo le norme speciali (es. per ‘prestazioni aggiuntive’)?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, se la prestazione è stata richiesta o accettata dal datore di lavoro, essa va retribuita come lavoro straordinario ai sensi della disciplina generale e del contratto collettivo, anche se non possiede i requisiti specifici previsti da normative speciali come quelle per le ‘prestazioni aggiuntive’.

Qual è la differenza fondamentale tra ‘prestazioni aggiuntive’ e ‘lavoro straordinario’ nel settore sanitario?
Le ‘prestazioni aggiuntive’ sono una categoria speciale di lavoro, normata da leggi specifiche, che richiede presupposti rigorosi come l’autorizzazione regionale e tariffe predefinite. Il ‘lavoro straordinario’ è, invece, la categoria generale che copre qualsiasi prestazione resa oltre l’orario di lavoro con il consenso, anche implicito, del datore, e la sua retribuzione è disciplinata dal contratto collettivo nazionale.

Chi è responsabile se il lavoro straordinario autorizzato viola le norme sulla spesa pubblica?
La responsabilità ricade sui funzionari o dirigenti che hanno autorizzato o consentito lo svolgimento delle prestazioni in violazione delle norme sui vincoli di spesa. Tale violazione non può essere usata come motivazione per negare il pagamento al lavoratore, il cui diritto alla retribuzione per il lavoro effettivamente svolto è tutelato dalla Costituzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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