Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4574 Anno 2025
RAGIONE_SOCIALE Ord. Sez. L   Num. 4574  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/02/2025
 La  Corte  di  Appello  di  Catanzaro  ha  rigettato  il  gravame  proposto dalla Regione Calabria avverso la sentenza del Tribunale di Catanzaro, che accolto le domande proposte da NOME COGNOME, dipendente della Regione Calabria addetto alla Sala Operativa del RAGIONE_SOCIALE, volte ad ottenere il  pagamento  della  somma  di  €  8621,83  a  titolo  di  retribuzione  per  il  lavoro straordinario svolto negli anni 2011, 2012 e 2013.
La Corte territoriale ha ritenuto irrilevante la pregressa corresponsione del compenso  per  il  lavoro  straordinario  relativo  al  periodo  da  gennaio  2011  a febbraio 2012 da parte della Regione Calabria, avendo la stessa parte appellante chiarito  che  le  somme  richieste  e  riconosciute  dalla  sentenza  di  primo  grado erano riferite al lavoro straordinario prestato da marzo 2012 a dicembre 2013.
Richiamato il principio secondo cui il diritto al compenso per lavoro straordinario presuppone necessariamente la previa autorizzazione dell’Amministrazione, ha evidenziato che l’appellato aveva documentato, in assenza di rilievi da parte dell’appellante, che tra i debiti fuori bilancio riconosciuti con decreto n. 6638/2014 figurava quello riguardante il lavoro straordinario diurno, festivo e notturno svolto dal COGNOME RAGIONE_SOCIALE all’interno del Settore RAGIONE_SOCIALE nel periodo da marzo 2012 a dicembre 2013, del quale la Regione non aveva documentato l’avvenuto pagamento.
Il giudice di appello ha ritenuto che tale decreto, rispetto al quale la Regione non aveva preso posizione, fosse idoneo a sanare la mancanza di autorizzazione preventiva, essendo stati i debiti ivi indicati riconosciuti in quanto relativi sia ad attività che si erano rese necessarie per far fronte a situazioni emergenziali, sia al funzionamento dell’attività in ordinario; ha rilevato che per tali ragioni con il suddetto decreto si era ritenuto di dover procedere al pagamento come da prospetto allegato.
 Ha in proposito osservato che il nominativo del COGNOME compare tra i dipendenti del Settore RAGIONE_SOCIALE che avevano svolto lavoro straordinario
da marzo 2012 a dicembre 2013 e che le somme risultanti dal suddetto prospetto erano addirittura superiori a quelle riconosciute con la sentenza impugnata.
 Avverso  tale  sentenza  la  Regione  Calabria  ha  proposto  ricorso  per cassazione sulla base di quattro motivi.
NOME COGNOME è rimasto intimato.
DIRITTO
1.Con  il  primo  motivo  il  ricorso  denuncia  violazione  e  falsa  applicazione dell’art. 97 Cost., nonché dell’art. 2, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 165/2001, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale riconosciuto il diritto del COGNOME alla retribuzione per il lavoro straordinario, in assenza di preventiva autorizzazione.
Con il secondo motivo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del CCNL 14.12.2000 del RAGIONE_SOCIALE, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
Torna a sostenere che in mancanza di preventiva autorizzazione da parte del dirigente, la prestazione di lavoro straordinario non può essere retribuita.
 Con  il  terzo  motivo  il  ricorso  denuncia  violazione  e  falsa  applicazione dell’art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. , per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che il  DDS  n.  6638/2014  fosse  idoneo  a  sanare  la  mancanza  della  preventiva autorizzazione.
Evidenzia che il suddetto decreto, preesistente al giudizio di primo grado, era stato introdotto per la prima volta nel giudizio di appello e non contempla come allegato alcun elenco recante i nominativi dei dipendenti, le ore di straordinario svolte e le somme riconosciute, ma indica in modo generico il complessivo importo di € 1.300.000 da ricondurre a causale di lavoro straordinario per gli anni 2011-2013 (indicato tenendo conto delle autocertificazioni prodotte dai diretti interessati, salva ogni opportuna e doverosa verifica da parte dell’Amministrazione RAGIONE_SOCIALE).
Contesta che tale importo possa essere qualificato come debito fuori bilancio, in quanto privo dei requisiti della certezza, della liquidità e dell’esigibilità.
Con il quarto motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1987 e 1988 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
Contesta  la  qualificazione  del  decreto  n.  6638/2014  come  ricognizione  di debito,  in  quanto  privo  di  carattere  negoziale  e  non  recettizio,  non  essendo direttamente rivolto al La COGNOME.
Richiama  l’orientamento  secondo  cui  il  riconoscimento  di  debito  non  può costituire esso stesso fonte di obbligazione.
 I  motivi,  che  vanno  trattati  congiuntamente  per  ragioni  di  connessione logica, sono inammissibili, in quanto non colgono il decisum .
La  Corte  territoriale  ha  rilevato  che  con  decreto  6638/14  del  dirigente  del Settore RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la Regione aveva riconosciuto come debiti fuori bilancio quelli riferiti al lavoro straordinario diurno, festivo e notturno svolto all’interno del Settore RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, tra cui figurava quello per il lavoro straordinario svolto dal RAGIONE_SOCIALE nel periodo da marzo 2012 a dicembre 2013.
Ha  inoltre  evidenziato  che  i  debiti  fuori  bilancio,  tra  cui  quelli  per  lavoro straordinario, erano stati riconosciuti in quanto relativi sia ad attività che si erano rese necessarie per far fronte a situazioni emergenziali, sia per il funzionamento del l’attività in ordinario.
Tali affermazioni vanno ricollegate alle affermazioni del Tribunale riportate dalla sentenza impugnata, secondo cui « erano state prodotte in giudizio le disposizioni di servizio relative alle turnazioni delle squadre assegnate alla RAGIONE_SOCIALE» e secondo cui: «…’il provvedimento con il quale il ricorrente è stato designato può essere considerato come un vero e proprio ordine di servizio’. Dalla documentazione in atti si evinceva che il ricorrente, appartenente alla squadra D, aveva espletato turni dalle 7,30 alle 20,00 e dalle 19,30 alle 8,00 e che tali turni erano stati effettivamente svolti come risultava dalle copie delle timbrature delle presenze effettuate dal ricorrente. ‘I prospetti in questione’ erano stati confermati dal respons abile della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che aveva riferito circa lo svolgimento da parte del ricorrente di turni di 12 ore ciascuno e quindi le ore di straordinario indicate. Dalla documentazione prodotta
in giudizio emergeva quindi la durata dei turni effettivamente svolti, dunque del lavoro straordinario da retribuirsi ai sensi dell’art. 38 CCNL di RAGIONE_SOCIALE ».
Considerati i riferimenti della sentenza impugnata alle disposizioni di servizio relative alle turnazioni delle squadre assegnate alla RAGIONE_SOCIALE e al provvedimento di designazione del ricorrente, che ‘può considerato come un vero e proprio ordine d i servizio’, la Corte territoriale, che non si è in alcun modo discostata dalla sentenza di primo grado, ha accertato la sussistenza di un’autorizzazione implicita allo straordinario.
6. La sentenza impugnata è pertanto conforme alla giurisprudenza di questa Corte,  secondo  cui  il  diritto  al  compenso  per  il  lavoro  straordinario  svolto presuppone  necessariamente  la  previa  autorizzazione  dell’amministrazione, poiché essa implica la valutazione della sussistenza delle ragioni di interesse pubblico che impongono il ricorso a tali prestazioni e comporta, altresì, la verifica della compatibilità della spesa con le previsioni di bilancio (Cass. n. 2509/2017).
Si è inoltre evidenziato che nel pubblico impiego contrattualizzato il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la preventiva autorizzazione dell’Amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l’art. 2108 cod. civ., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 97 Cost., p revede il diritto al compenso per lavoro straordinario se debitamente autorizzato; pertanto, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la presenza dell’autorizzazione datoriale è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 cod. civ. (Cass. n. 23506/2022; Cass. n. 17912/2024).
P er autorizzazione, nell’ambito del lavoro straordinario, si intende il fatto che le  prestazioni  non  siano  svolte insciente  vel  prohibente  domino ,  ma  con  il consenso anche implicito del medesimo; il consenso, una volta esistente, integra gli estremi che rendono necessario il pagamento, anche ove la richiesta risulti illegittima o contraria a disposizioni del contratto collettivo.
In particolare, sul piano delle fonti, nel pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi dell’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001, l’attribuzione dei trattamenti
economici  è  in  effetti  riservata  alla  contrattazione  collettiva,  sicché  non  è sufficiente a  tale scopo un atto deliberativo della P.A. ma occorre, a pena di nullità,  la  conformità  di  tale  atto  alla  contrattazione  collettiva  (Cass.  n. 11645/2021; Cass. n. 17226/2020).
Sebbene l’autorizzazione prevista dal CCNL risponda ad ulteriori ragioni (programmatiche, di spesa, etc…) o risalga a fattispecie diversa da quella dello straordinario (attività da remunerare con compensi incentivanti di cui non si realizzino i presupposti), rispetto alla remunerazione del lavoratore ciò che conta è lo svolgimento del lavoro su incarico anche solo implicito del datore e non contro la volontà di questi, sicché non rileva il fatto che siano osservate forme, né che l’autorizzazione si mani festi per qualunque ragione come invalida o potenzialmente tale, oppure come inidonea al suo scopo originario.
E’ stato poi escluso un reale contrasto tra la norma del codice civile (art. 2126 cod. civ., in relazione all’art. 2108 cod. civ.) e le regole che disciplinano l’autorizzazione nella contrattazione collettiva; si è sul punto evidenziato che al di là del regime del rapporto tra le fonti, mutevole nelle diverse versioni normative del pubblico impiego privatizzato succedutesi nel tempo, attraverso l’applicazione dell’art. 2126 cod. civ. viene regolata una fattispecie ulteriore e comune, in tutto il diritto del lavoro, alle prestazioni subordinate svolte coerentemente con la volontà datoriale, ma in condizioni non conformi al regime di validità proprio di esse, le quali vanno ciononostante remunerate secondo il quantum previsto, per tali prestazioni e per quanto riguarda il pubblico impiego privatizzato, dalla contrattazione collettiva.
Si è inoltre chiarito che la fattispecie di cui all’art. 2126 cod. civ. è indubbiamente espressiva, nell’evoluzione dell’ordinamento, del precetto di cui all’art. 36 Cost.; Corte costituzionale n. 8/2023, nel vagliare la legittimità dell’art. 2033 cod. civ. rispetto alla ripetizione di pagamenti indebiti nel pubblico impiego privatizzato, ha evidenziato come l’art. 2126 cod. civ., in ragione della protezione ad esso assicurata alla ‘causa dell’attribuzione, costituita da un’attività lavorativa che è stata, di fatto, concretamente pres tata, pur se si dimostra giuridicamente non dovuta’ giustifica ‘sia la pretesa a conseguire il corrispettivo sia, quando questo sia stato già erogato, l’irripetibilità del
medesimo’, ponendosi, sotto quest’ultimo profilo,  come  uno  dei  parametri  di equilibrio  dell’ordinamento  a  fronte  di  pretese  recuperatorie  sproporzionate rispetto alla situazioni coinvolte, ma inevitabilmente giustificando e corroborando  la  centralità  della  norma  anche  ove  vista  sotto  il  profilo  delle prestazioni  retributive  che  essa  impone  siano  adempiute,  pur  in  assenza  di validità, anche solo in parte, del rapporto di lavoro e delle prestazioni rese.
Ancorché le remunerazioni delle prestazioni nel pubblico impiego possano essere riconosciute solo se in linea con le previsioni e allocazioni di spesa ed ancorchè sia invalido l’accordo incoerente con esse (Cass. n. 5679/2022), essendo pertanto ripetibili eventuali pagamenti eseguiti sulla base del medesimo (Cass. n. 14672/2022), una volta autorizzata e svolta la prestazione, non è sul lavoratore, in forza dell’asse sostanziale della disciplina di cui all’art. 36 Cost. e 2126 cod. civ., che possono gravare le conseguenze della divergenza rispetto agli impegni di spesa.
Tale divergenza può certamente impedire di riconoscere aumenti di corrispettivo non coperti da una regolare conduzione della contrattazione o di riconoscere speciali emolumenti di cui siano carenti i necessari presupposti quali previsti dalla contrattazione collettiva, ma non può essere di ostacolo al pagamento di una prestazione ulteriore rispetto a quella ordinaria che sia resa non insciente vel invito domino. Semmai il tema si sposta sul piano della responsabilità, nei confronti della PA,dei preposti che non avrebbero in ipotesi dovuto consentire quelle lavorazioni, ma non può ammettersi che il sistema giuridico, contro il disposto di norme centrali di esso, sia alla fine declinato in pregiudizio del prestatore di lavoro straordinario che abbia svolt o l’attività sua propria ed alla cui tutela sono di presidio i principi costituzionali già richiamati.
Restano al di fuori del diritto alla retribuzione, a meno di prestazioni svolte contro norme a tutela del prestatore di lavoro, le nullità afferenti alla prestazione o alla sua richiesta che si riconnettano ad illiceità dell’oggetto o della causa; tale ipotesi è estranea al caso di specie.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
 Considerato  che  il  COGNOME  non  ha  svolto  attività  difensiva,  nessuna statuizione va adottata sulle spese di lite.
Sussistono  le  condizioni  per  dare  atto,  ai  sensi  dell’art.13,  comma  1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo  unificato  pari  a  quello  previsto  per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della