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Lavoro sportivo: quando scatta l’obbligo contributivo?

Una società sportiva dilettantistica si opponeva al pagamento dei contributi per i suoi istruttori, sostenendo si trattasse di lavoro sportivo amatoriale. La Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che l’iscrizione al CONI non basta. Se l’attività è svolta in modo stabile e continuativo, è considerata professionale e soggetta a contribuzione INPS, con l’onere della prova a carico della società.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Lavoro Sportivo: Oltre la Forma, la Sostanza Determina i Contributi

Il mondo delle associazioni e società sportive dilettantistiche si fonda spesso sulla passione e sulla dedizione, ma quando questa passione si traduce in un’attività lavorativa continuativa, le implicazioni legali, in particolare quelle contributive, diventano cruciali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sulla linea di demarcazione tra lavoro sportivo amatoriale, con i suoi benefici fiscali e contributivi, e l’attività professionale, soggetta alle regole ordinarie. La sentenza sottolinea un principio fondamentale: non basta la forma, ma conta la sostanza del rapporto di lavoro.

I Fatti del Caso

Una società sportiva dilettantistica a responsabilità limitata, gestore di una palestra, ha impugnato un avviso di addebito dell’INPS per il mancato versamento di contributi previdenziali relativi a dieci dei suoi istruttori. La società sosteneva che i compensi erogati rientrassero nella categoria dei “redditi diversi”, come previsto per le attività sportive dilettantistiche (art. 67, co. 1, lett. M del TUIR), e fossero quindi esenti da contribuzione entro la soglia di legge (all’epoca dei fatti, 7.500 euro annui). A sostegno della propria tesi, evidenziava la natura non professionale delle collaborazioni, i compensi modesti e il fatto che molti istruttori avessero un altro impiego principale.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto le ragioni della società, ritenendo che, al di là della qualifica formale, le prestazioni lavorative avessero carattere professionale. La questione è così giunta all’esame della Corte di Cassazione.

Lavoro Sportivo e Obblighi Contributivi: La Decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, confermando le decisioni dei giudici di merito e consolidando un orientamento giurisprudenziale ormai chiaro in materia. I giudici hanno stabilito che, per beneficiare del regime agevolato, non è sufficiente la mera qualificazione formale come società sportiva dilettantistica, né l’iscrizione al registro del CONI. È invece necessario un accertamento concreto sulla natura effettiva dell’attività svolta.

La Distinzione tra Forma e Sostanza nel Lavoro Sportivo

Il punto centrale della decisione risiede nella differenza tra l’apparenza formale e la realtà sostanziale. La Corte ribadisce che l’iscrizione al CONI o la previsione statutaria di uno scopo non lucrativo sono elementi necessari ma non sufficienti. La verifica cruciale riguarda due aspetti:

1. La natura genuinamente dilettantistica del soggetto erogatore: La società deve dimostrare di operare effettivamente senza scopo di lucro, in conformità con il proprio statuto.
2. La natura non professionale della prestazione del collaboratore: L’attività svolta dall’istruttore non deve avere le caratteristiche di una professione abituale.

Il Criterio della Professionalità

Come si determina se un’attività è svolta “professionalmente”? La Corte chiarisce che il concetto di professionalità va inteso in senso soggettivo, guardando alle modalità con cui il lavoro viene eseguito. Gli indici di professionalità riscontrati nel caso di specie, e che hanno portato alla condanna della società, includevano:

* Abitualità e Stabilità: Gli istruttori erano impiegati in modo stabile e continuo nella struttura.
* Regolarità e Sistematicità: Le prestazioni non erano occasionali ma seguivano schemi e orari precisi, integrandosi nell’organizzazione della palestra.
* Non Marginalità dei Compensi: Le retribuzioni erano costanti e, in alcuni casi, superiori ai limiti stabiliti dalle circolari di settore per essere considerate puramente amatoriali.

In sintesi, anche se un’attività sportiva è di per sé dilettantistica, se viene svolta da un individuo in modo professionale, il rapporto che ne deriva è soggetto agli ordinari obblighi contributivi.

L’Onere della Prova

Un altro aspetto fondamentale chiarito dalla Corte riguarda l’onere della prova. Poiché il regime agevolato per il lavoro sportivo dilettantistico costituisce un’eccezione alla regola generale dell’obbligo contributivo, spetta alla parte che invoca il beneficio (la società sportiva) dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti di legge. Non è l’INPS a dover provare la natura professionale del rapporto, ma è la società a dover provare la sua natura dilettantistica e non professionale.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su un consolidato orientamento giurisprudenziale che privilegia l’analisi sostanziale dei rapporti di lavoro rispetto alla mera qualificazione formale. I giudici hanno sottolineato che la disciplina fiscale sui “redditi diversi” per il settore dilettantistico è un’eccezione che deve essere interpretata restrittivamente. L’obiettivo della norma è agevolare le vere attività amatoriali e non creare una zona franca per eludere gli obblighi contributivi in contesti lavorativi strutturati. La Corte ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse correttamente valutato gli indici di professionalità emersi dal verbale ispettivo (stabilità, continuità, retribuzioni costanti) e avesse giustamente concluso che le prestazioni degli istruttori configurassero un’attività svolta professionalmente, facendo così scattare l’obbligo di versamento dei contributi.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per tutte le associazioni e società sportive dilettantistiche. Per evitare contenziosi con gli enti previdenziali, è essenziale non limitarsi agli adempimenti formali come l’iscrizione al CONI, ma valutare attentamente e concretamente la natura dei rapporti di collaborazione instaurati. Se un istruttore, un allenatore o qualsiasi altro collaboratore svolge la propria attività in modo stabile, continuativo e non marginale, il rischio che tale rapporto venga riqualificato come professionale, con conseguente obbligo di versare i contributi omessi, è molto elevato. Una corretta gestione e qualificazione dei rapporti di lavoro è, quindi, fondamentale per la salute economica e la serenità giuridica di ogni ente sportivo.

L’iscrizione al CONI è sufficiente per esentare una società sportiva dilettantistica dal versamento dei contributi per i suoi collaboratori?
No, secondo la sentenza, l’iscrizione al CONI o l’affiliazione a una federazione sportiva, così come la previsione statutaria di uno scopo non lucrativo, non sono sufficienti. È necessaria una verifica concreta dell’effettiva natura dilettantistica sia della società sia dell’attività svolta dal collaboratore.

Come si distingue il lavoro sportivo dilettantistico da quello professionale ai fini contributivi?
La distinzione si basa sulle modalità concrete di svolgimento dell’attività. Si considera professionale un’attività esercitata con carattere di abitualità, ripetitività, regolarità, stabilità e sistematicità, anche se non in modo esclusivo. Se questi elementi sono presenti, il rapporto è soggetto a contribuzione ordinaria, a prescindere dalla qualifica formale.

Su chi ricade l’onere di provare la natura dilettantistica della prestazione lavorativa in caso di contenzioso?
L’onere della prova ricade sulla parte che intende beneficiare dell’esenzione contributiva, ovvero sulla società o associazione sportiva. È quest’ultima che deve dimostrare in giudizio la sussistenza di tutti i requisiti previsti dalla legge per qualificare i compensi come “redditi diversi” esenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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