Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32433 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32433 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19569-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1388/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/03/2023 R.G.N. 699/2018;
R.G.N. 19569/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 23/10/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 6455/2017, con la quale il Tribunale aveva dichiarato l’illegittimità della sospensione del rapporto di lavoro tra detta società, datrice di lavoro, e il lavoratore istante NOME NOME, disposta unilateralmente dalla datrice di lavoro, e, dichiarata, altresì, l’illegittimità della richiesta di iscrizione del marittimo al turno particolare, aveva condannato la resistente al pagamento a titolo di risarcimento del danno dell’importo dovuto a titolo di retribuzione con decorrenza dal 13 maggio 2016 alla riammissione in servizio.
Premetteva la Corte territoriale essere incontroverse (e comunque documentalmente riscontrate) le seguenti circostanze: a) la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti, costituito in esecuzione della sentenza del Tribunale di Napoli n. 13411/2010 (confermata in sede d’appello, e passata in cosa giudicata), e, dunque, l’inserimento del ricorrente nel personale ‘stabile’ della Caremar; b) lo sbarco del lavoratore per avvicendamento comunicato in data 14.4.2016, e le successive riconvocazioni, da parte della società, per successivi imbarchi, con invito a presentarsi presso la sede operativa per gli adempimenti necessari alla reiscrizione nel turno particolare e la sottoscrizione del contratto di arruolamento a tempo indeterminato.
Riteneva la Corte di condividere le motivazioni espresse dal giudice di prime cure sulla illegittimità della condotta datoriale; il quale giudice, a fronte di un rapporto a tempo indeterminato costituito in forza del suddetto titolo giudiziale, aveva ri tenuto l’inapplicabilità del regime previsto dall’art. 18 del CCNL dell’1.7.2015, che, regolando il contratto di arruolamento a tempo indeterminato, stabilisce per esso una durata non superiore ai 4 mesi e prevede che lo stesso si estingua al momento dello sbarco.
In particolare, considerando le previsioni dell’art. 18 di detto CCNL, dell’art. 83 dello stesso (in tema di ‘sbarco per avvicendamento’), e degli artt. 84 e 82 del medesimo CCNL, la Corte d’appello osservava che da tali disposizioni contrattuali emergeva che il contratto previsto dal cit. art. 18, pur definito a tempo indeterminato, era caratterizzato da una evidente precarizzazione, siccome destinato ad estinguersi decorsi i 4 mesi con contestuale liquidazione delle indennità di fine rapporto, salva successiva chiamata per un nuovo imbarco, tra l’altro non temporalmente garantita, in assenza di ogni continuità giuridica tra un imbarco e un altro; e a tanto conseguiva l’evidente illegittimità della condotta della Caremar che -a fronte di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato costituito in sede giudiziale, ai sensi dell’art. 325 del Codice della Navigazione, per la ritenuta illegittimità dei contratti a viaggio conclusi per decenni tra le parti in causa -pretendeva di applicare una disciplina contrattuale che determinava una sostanziale novazione oggettiva dello stesso, modificandolo in una serie di contratti a termine, tra l’altro incerti sia nell’ an della prosecuzione che nelle modalità dell’eventuale consecuzione di nuovi contratti.
Richiamati a riguardo taluni precedenti di legittimità, ed evidenziate altre circostanze del caso concreto, la Corte distrettuale concludeva nel senso della non assimilabilità del rapporto tra le parti in causa con quello previsto dall’art. 18 della contrattazione collettiva considerata.
Pertanto, confermava l’illegittimità del provvedimento di sbarco per avvicendamento adottato dalla Caremar nei confronti del lavoratore appellato.
Inoltre, riteneva la Corte la continuità del rapporto in contestazione, fino ad un valido atto di licenziamento da adottarsi con le formalità di legge e sorretto da giusta causa o giustificato motivo; ma che nel caso di specie, al contrario, non risultava che il datore di lavoro avesse mai disposto espressamente e per iscritto un tale licenziamento; e che risultava, piuttosto, che la società illegittimamente aveva comminato la non reiscrizione del marittimo nel turno particolare della società, ritenendo con ciò di aver fatto cessare il rapporto di lavoro con lo stesso.
Osservava, infine, che era pacifico che la società avesse posto, quale condizione per i successivi imbarchi, l’iscrizione di un nuovo contratto di arruolamento, che il rifiuto datoriale di ricevere la prestazione resa fino a quel momento era da considerarsi ingiustificato, e che, conseguentemente, continuando il rapporto di lavoro, sussisteva il diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate dalla data della messa in mora (il 13.5.2016) e fino alla riammissione in servizio, precisando che dalle somme, da quantificarsi in separata sede, andavano escluse le voci collegate all’effettiva esecuzione della prestazione lavorativa.
Avverso tale decisione la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
10 . Ha resistito l’intimat o con controricorso e successiva memoria.
Il Presidente Aggiunto di questa Corte, con provvedimento depositato il 17.10.2024, ha rigettato l’istanza di rimessione del ricorso alle Sezioni unite della Corte, avanzata dalla ricorrente con separato atto dopo averla formulata nel ricorso per cassazione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 83, 83 bis ed 84 del c.c.n.l. per il personale navigante ed amministrativo della società che svolgono servizi di cabotaggio di breve, medio e lungo raggio sia con navi superiori a 50 tsl sia con unità veloci hsc, dsc e aliscafi del 1 luglio 2015 -in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.’. Secondo la ricorrente, il presupposto erroneo che determinava la lacunosità della sentenza di secondo grado ora impugnata si ravvisava nel fatto che la pregressa sentenza n. 13411 del 10.5.2010 resa dal Tribunale di Napoli (invocata e depositata dal sig. COGNOME, nel dichiarare l’illegittimità dei contratti di arruolamento a viaggio, da nessuna parte, mutava il regime giuridico del rapporto da marittimo a comune (infatti fa continuo riferimento alle norme del c.c.n.l. marittimi). Tale pregressa sentenza del Tribunale di Napoli trasformava il contratto a viaggio marittimo ritenuto illegittimo in un contratto a tempo indeterminato marittimo. La Corte d’appello di Napoli, invece, nell’impugnata sentenza aveva
ritenuto che detta precedente sentenza abbia trasformato il rapporto di lavoro marittimo in un rapporto di lavoro comune (rapporti che trovano la loro regolamentazione nel codice civile e in contratto collettivi estranei al rapporto di lavoro marittimo).
Con un secondo motivo denuncia ‘Violazione degli artt. 2065 e 2069 c.c. nonché -inibizione al Giudice di Merito di un intervento di carattere sostitutivo rispetto alla normativa contrattuale; intervento che ha avuto (anche nel caso in esame) l’effetto di modificare l’assetto contrattuale autonomamente determinato dalle parti sociali’. Per la ricorrente la sentenza di secondo grado a riguardo contrastava con l’orientamento di questa Suprema Corte espresso nella sent. n. 4570/1996 delle Sezioni Unite.
Con un terzo motivo deduce ‘Decadenza del termine di sessanta giorni per l’impugnativa della risoluzione del rapporto violazione dell’art. 6 L. n. 604/1966 in relazione all’art. 32, commi 3 e 4, L. n. 183/2010 (tempestivamente eccepita sia in primo che in secondo grado)’.
Il primo motivo è infondato, presentando rilevanti profili d’inammissibilità.
Rileva infatti il Collegio che l’impugnata sentenza è conforme ad un orientamento ormai consolidato di questa Corte Suprema, espresso in più precedenti, parecchi dei quali, peraltro, richiamati nella motivazione resa dalla Corte territoriale (cfr. in particolare facciate 7-9 della stessa).
7.1. E da ultimo tale indirizzo è stato ribadito in Cass., sez. lav., sent. 21.6.2023, n. 17825 (ed ivi in motivazione il richiamo ai precedenti di legittimità a riguardo), relativa a fattispecie concreta molto simile a quella che qui ci occupa, in cui ricorreva
per cassazione RAGIONE_SOCIALE avverso altra sentenza della Corte d’appello di Napoli in base a tre motivi, analoghi a quelli qui in esame. Anche in quel caso, infatti, il giudice di appello aveva rammentato che con precedenti sentenze passate in giudicato era stata accertata e dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra due lavoratori e la RAGIONE_SOCIALE
7.2. In particolare, è stato confermato, da un lato, che la fattispecie dell’iscrizione al turno particolare dell’armatore è istituto di matrice collettiva, che incide esclusivamente sulla disciplina del collocamento/ricollocamento del lavoratore sul navig lio dell’armatore titolare del ruolo e non può incidere invece né sulla qualificazione del rapporto né sulla sua cessazione, e, dall’altro, che nel lavoro nautico la nozione di contratto a tempo indeterminato non è diversa da quella propria dei rapporti di lavoro comune.
Tanto rilevato, la censura in questione, oltre a non specificare in che senso la Corte territoriale avrebbe omesso l”esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’ (pur richiamando in rubrica anche l’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c.), fa riferimento alla ‘pregressa sentenza n. 13411 del 10/05/2010 resa dal Tribunale di Napoli’, ma neanche sommariamente ne riporta il contenuto motivazionale.
8.1. Più nello specifico, premesso che la Corte di merito, a più riprese nella sua motivazione, ha richiamato tale decisione, ponendo subito in luce il suo passaggio in giudicato (cfr. facciata 3 della sua sentenza), la ricorrente per cassazione non risulta aver prodotto in questa sede copia di quella sentenza del Tribunale di Napoli, senza peraltro specificarne l’esatta
collocazione nell’incarto processuale e limitandosi infatti ad indicare che era stata ‘invocata e depositata dal Sig. COGNOME (cfr. pag. 23 del ricorso).
Analogamente, come nel caso deciso in Cass. n. 17825/2023 cit., la ricorrente non solo non ha tempestivamente prodotto in questa sede copia integrale del CCNL in cui sono contenute le norme collettive delle quali si assume la violazione o falsa applicazione ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., ma non ha indicato se e dove e da chi lo stesso CCNL sia stato depositato nei precedenti gradi di merito.
A maggior ragione, allora, stanti tali evidenti carenze dei requisiti di specificità/autosufficienza del ricorso per cassazione nella censura in esame, risulta assertiva la tesi della ricorrente, secondo la quale la sentenza n. 13411/2010 del Tribunale di Napoli avrebbe trasformato il contratto a viaggio marittimo ritenuto illegittimo’ ( rectius , i plurimi contratti a viaggio, secondo quanto constatato dalla Corte di merito in relazione al giudicato: cfr. facciata 6) ‘in un contratto a tempo indeterminat o marittimo’, e, segnatamente, assoggettato alla disciplina contrattual-collettiva cui si riferisce la ricorrente.
11. Parimenti infondato è il secondo motivo.
Esso s’incentra sempre sull’assunto che ‘la pregressa sentenza dichiarava la sussistenza di un rapporto di lavoro marittimo a tempo indeterminato’, sostenendosi che ‘in virtù di detta statuizione sia la RAGIONE_SOCIALE in gestione pubblica che successivamente la RAGIONE_SOCIALE in gestione privata hanno imbarcato il sig. COGNOME esclusivamente con contratto a tempo indeterminato e dato continuativamente applicazione alle disposizioni di cui al richiamato art. 18 del c.c.n.l. che consente
di prorogare o meno la indicata durata dall’imbarco di quattro mesi’.
Pure tale motivo, tuttavia, non si confronta con la completa motivazione della Corte distrettuale.
13.1. Quest’ultima, infatti, come accennato in narrativa, era giunta alla conclusione che ‘il titolo giudiziale posto a fondamento del rapporto’, ossia, la più volte richiamata sent. n. 13411/2010 del Tribunale di Napoli, passata in giudicato; l’omesso richiamo, nell’ambito del relativo procedimento, ‘ad una disciplina contrattuale derogatoria alla configurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato di diritto comune (sostanzialmente assimilabile a quello di lavoro in CRL, senza la retribuibilità dei tempi di attesa all’imbarco) e, da ultimo, la condotta della Caremar successiva alla pronuncia giudiziale, depongono univocamente nel senso della non assimilabilità del rapporto tra le parti in causa con quello previsto dall’art. 18 della contrattazion e collettiva’ (così riassuntivamente alla facciata 6 della sua sentenza).
13.2. Il riferimento (anche) alla condotta della Caremar successiva alla pronuncia passata in cosa giudicata è da intendersi alla luce di un precedente aspetto evidenziato dalla Corte di merito, e incluso tra le circostanze ritenute incontroverse (oltre che documentalmente riscontrate), e cioè che l’inserimento del lavoratore nel personale ‘stabile’ della Caremar a seguito della sent. n. 13411/2010 costituiva circostanza (v. facciata 3 dell’impugnata sentenza).
13.3. Anche per questo, la Corte in parte successiva della propria motivazione ha considerato illegittima la condotta della Caremar che, più di recente, aveva preteso di applicare al rapporto tra le parti ‘una disciplina contrattuale, che determina una sostanziale novazione oggettiva dello stesso, modificandolo in una serie di contatti a termine, tra l’altro incerti sia nell’ an della prosecuzione che nelle modalità della eventuale consecuzione di nuovi contratti’ (cfr. facciata 5 della sua sentenza).
Dunque, infondatamente la ricorrente assume che la Corte di merito avrebbe illegittimamente operato un intervento sostitutivo rispetto alla normativa contrattuale collettiva di riferimento.
La Corte d’appello, piuttosto, ha diffusamente argomentato, anche in base ad un accertamento fattuale non considerato dalla ricorrente e comunque non sindacabile in questa sede di legittimità, perché al rapporto di lavoro inter partes per come delineato nella sentenza passata in cosa giudicata e poi inizialmente configurato dalla stessa datrice di lavoro, quale rapporto a tempo indeterminato di diritto comune, non fosse applicabile la speciale disciplina collettiva cui si riferisce l’a ttuale ricorrente.
Il terzo motivo è inammissibile per più ragioni.
In primo luogo, la censura difetta di specificità/autosufficienza perché la ricorrente asserisce di aver ‘tempestivamente eccepita sia in primo che in secondo grado’ la decadenza cui ora si riferisce, ma non specifica in quali scritti
(non richiamati, né qui prodotti) e come avrebbe eccepito la decadenza di cui all’art. 32, commi 3 e 4, L. n. 183/2010.
16.1. Inoltre, la ricorrente si riferisce ad una risoluzione del rapporto in data 29.9.2016, che assume non impugnata dalla controparte neppure in giudizio.
Ebbene, in disparte il rilievo -non considerato dalla ricorrente -che la Corte d’appello, come già accennato in narrativa, ha espressamente escluso che ‘la non reiscrizione del marittimo nel turno particolare’, cui allude la ricorrente, costituisse un ‘l icenziamento per giusta causa o giustificato motivo’ (cfr. facciata 9), non risulta dal testo dell’impugnata sentenza che la Corte d’appello fosse stata investita, nell’ambito di un motivo d’impugnazione, della questione di decadenza ora sollevata dalla ricorrente (cfr. in particolare facciate 2 e 3 della sua sentenza); né la stessa specifica in quale punto del proprio ricorso in appello avesse eccepito detta decadenza.
Conseguentemente, l’anomalia motivazionale che la ricorrente pure deduce in proposito (dolendosi che: ‘Su tale rilevante eccezione la sentenza di secondo grado non motiva da nessuna parte’), alla fine di un motivo in ipotesi riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., non può essere presa in considerazione.
Non si ravvisano i presupposti per una responsabilità processuale aggravata della società nel coltivare il ricorso. Il carattere temerario della lite, che costituisce presupposto della condanna al risarcimento dei danni, va ravvisato nella coscienza della infondatezza della domanda e delle tesi sostenute, ovvero nel difetto della normale diligenza per l’acquisizione di detta consapevolezza -circostanze che non emergono in questo caso
-ma non nella mera opinabilità della posizione fatta valere (cfr. Cass. 9.2.2017, n. 3464).
La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del