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Lavoro intermittente: no pensione in salvaguardia

La Corte di Cassazione ha stabilito che un lavoratore autorizzato alla prosecuzione volontaria dei contributi prima della riforma pensionistica del 2011 non può beneficiare della clausola di salvaguardia se, successivamente, ha stipulato un contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato. Secondo la Corte, questo tipo di contratto rientra tra le attività di lavoro dipendente a tempo indeterminato che precludono l’accesso al beneficio, indipendentemente dalla continuità dei versamenti contributivi.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Lavoro Intermittente e Pensione: Stop dalla Cassazione alla Salvaguardia

Le riforme pensionistiche hanno spesso introdotto le cosiddette ‘clausole di salvaguardia’ per tutelare i lavoratori prossimi alla pensione. Tuttavia, l’interpretazione di queste norme può generare contenziosi, come nel caso di un lavoratore che svolge lavoro intermittente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto cruciale: svolgere un’attività di lavoro a chiamata a tempo indeterminato esclude l’accesso alla pensione con le vecchie regole.

Il Fatto: Dalla Prosecuzione Volontaria al Lavoro a Chiamata

Il caso esaminato riguarda una lavoratrice che, prima della riforma pensionistica del 2011, era stata autorizzata alla prosecuzione volontaria dei contributi per maturare i requisiti per la pensione di vecchiaia. Successivamente a tale data, la lavoratrice aveva stipulato un contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato, senza indennità di disponibilità.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione alla lavoratrice, ritenendo che potesse beneficiare della clausola di salvaguardia. Secondo i giudici di merito, il contratto di lavoro intermittente, caratterizzato da una prestazione non continuativa, non ostacolava l’applicazione della norma di tutela, pensata per garantire una continuità contributiva.

La Questione del Lavoro Intermittente e la Norma di Salvaguardia

L’ente previdenziale ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse errato nell’interpretare la normativa. Il cuore del problema risiede nella natura del contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato. La clausola di salvaguardia in questione (art. 1, co. 194, lett. a, L. n. 147/2013) permetteva ai lavoratori autorizzati ai versamenti volontari prima del 4 dicembre 2011 di andare in pensione con le vecchie regole, a condizione che non svolgessero, dopo tale data, ‘qualsiasi attività, non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato’.

L’ente sosteneva che un contratto di lavoro a chiamata a tempo indeterminato rientrasse a pieno titolo in questa categoria di attività escluse, precludendo così l’accesso al beneficio.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’ente previdenziale, ritenendolo fondato. I giudici hanno chiarito la ratio della clausola di salvaguardia: proteggere i ‘soggetti deboli’, ovvero coloro che, rimasti senza lavoro, contavano sui versamenti volontari per raggiungere la pensione secondo le regole previgenti.

Il legislatore, pur concedendo un notevole favore a questi soggetti, ha posto un limite preciso: la tutela viene meno se il lavoratore intraprende un nuovo rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Secondo la Suprema Corte, un contratto di lavoro intermittente stipulato a tempo indeterminato rientra in questa fattispecie. La discontinuità della prestazione e dei relativi contributi è irrilevante; ciò che conta è la natura giuridica del contratto.

La Corte ha specificato che la norma di favore deve essere interpretata restrittivamente e che permettere l’accesso alla salvaguardia in questo caso creerebbe un contrasto con la disciplina generale sulla prosecuzione volontaria, che normalmente non è consentita a chi è titolare di un rapporto di lavoro.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Cassazione stabilisce un principio chiaro: la titolarità di un contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato è incompatibile con la fruizione delle clausole di salvaguardia pensionistica previste per i prosecutori volontari. La decisione sottolinea che la qualificazione formale del rapporto di lavoro prevale sulla sua effettiva continuità contributiva. Per i lavoratori, ciò significa che accettare un contratto di lavoro a chiamata a tempo indeterminato, anche se con prestazioni saltuarie, può comportare la perdita del diritto ad accedere alla pensione con le regole più favorevoli previste dalle norme di salvaguardia.

Un lavoratore autorizzato ai versamenti volontari può accedere alla pensione in salvaguardia se svolge un lavoro intermittente?
No, se il contratto di lavoro intermittente è a tempo indeterminato. Secondo la Corte di Cassazione, questo tipo di contratto è considerato un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato e, come tale, esclude dal beneficio della salvaguardia.

Perché un contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato esclude dalla clausola di salvaguardia?
Perché la norma di salvaguardia è stata creata per proteggere i soggetti privi di lavoro. La stipula di un contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, anche se intermittente, fa venir meno questa condizione, indipendentemente dalla continuità della prestazione lavorativa e dei contributi.

Qual è la finalità della clausola di salvaguardia per i pensionati?
La finalità è quella di non pregiudicare i soggetti considerati ‘deboli’, come coloro che erano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria dei contributi prima di una riforma pensionistica, consentendo loro di raggiungere i requisiti per la pensione sulla base delle regole previgenti alla riforma stessa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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