LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Lavoro in prova: sì alla pensione in deroga

Un lavoratore si è visto negare la pensione in deroga (c.d. settima salvaguardia) perché, dopo la cessazione del rapporto principale, aveva svolto un breve periodo di lavoro in prova, non superato. La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione, affermando che il lavoro in prova non costituisce un rapporto di lavoro “a tempo indeterminato” stabile e definitivo, e pertanto non impedisce l’accesso al beneficio pensionistico. La Corte ha sottolineato che la finalità della norma è escludere solo chi ha trovato una nuova occupazione stabile, non chi ha tentato un reinserimento lavorativo tramite un periodo di prova poi fallito.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Lavoro in Prova e Pensione in Deroga: La Cassazione Fa Chiarezza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23411/2024, ha stabilito un principio fondamentale per i lavoratori “salvaguardati”: un periodo di lavoro in prova non superato non preclude l’accesso alla pensione con i vecchi requisiti. Questa decisione chiarisce la natura del patto di prova, distinguendolo nettamente da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato definitivo e stabile, e tutela le aspettative di chi, prossimo alla pensione, si era trovato coinvolto nelle riforme previdenziali.

I Fatti del Caso: La Domanda di Pensione e il Contratto in Prova

Un lavoratore, rientrante nella cosiddetta “settima salvaguardia” (l. n. 208/2015), aveva presentato domanda di pensione di vecchiaia. Questa misura eccezionale consentiva a specifiche categorie di lavoratori, il cui rapporto era cessato tra il 30 giugno e il 31 dicembre 2012, di andare in pensione con le regole previgenti alla riforma Fornero. Una delle condizioni ostative era non aver intrapreso, dopo la cessazione, un nuovo rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato.

Nel caso specifico, il lavoratore, dopo la fine del suo impiego principale, era stato assunto da un’altra azienda con un contratto che prevedeva un periodo di prova. Tuttavia, dopo appena quindici giorni, gli era stato comunicato il licenziamento per mancato superamento della prova. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano rigettato la sua domanda di pensione, ritenendo che anche quel breve rapporto fosse qualificabile come “a tempo indeterminato” e quindi ostativo al beneficio.

La Decisione della Cassazione sul Lavoro in Prova

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa per un nuovo esame. Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione della natura del patto di prova e della finalità delle norme di salvaguardia.

La Distinzione tra Lavoro in Prova e Contratto Definitivo

Secondo i giudici, l’errore delle corti di merito è stato quello di equiparare un’assunzione in prova a un rapporto di lavoro a tempo indeterminato definitivo. L’articolo 2096 del Codice Civile, infatti, stabilisce chiaramente che “compiuto il periodo di prova l’assunzione diviene definitiva”. Questo implica che, durante il periodo di prova, il rapporto non ha ancora quel carattere di stabilità e definitività che contraddistingue il contratto a tempo indeterminato vero e proprio. La sua stessa esistenza è subordinata al positivo esperimento delle mansioni.

L’Interpretazione della “Ratio Legis” della Salvaguardia

La Corte ha poi analizzato la ratio legis, ovvero lo scopo della norma di salvaguardia. L’intento del legislatore era quello di proteggere i lavoratori che avevano cessato il loro impiego confidando in un imminente pensionamento, escludendo dal beneficio solo coloro che avessero trovato una nuova, stabile e definitiva occupazione. Un tentativo di reinserimento lavorativo fallito durante il periodo di prova non rientra in questa casistica. Anzi, è l’esatto opposto di quella stabilità che la legge voleva considerare come elemento ostativo.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un’interpretazione logica e teleologica della normativa. I giudici hanno affermato che il rapporto di lavoro prestato nel periodo di prova non può essere connotato da quella “definitività” che caratterizza il contratto a tempo indeterminato. Tale definitività è il tratto qualificante che lo esclude, ad esempio, dalla disciplina generale dei licenziamenti.

Di conseguenza, escludere un lavoratore dalla salvaguardia per un rapporto così precario e non consolidato sarebbe contrario all’intenzione del legislatore. La Corte ha specificato che non si tratta di un’applicazione analogica di una norma eccezionale (vietata dall’art. 14 delle preleggi), ma di una corretta interpretazione del combinato disposto degli artt. 2096 c.c. e della legge sulla salvaguardia, secondo il principio minus dixit quam voluit (il legislatore ha detto meno di quanto intendesse). In sostanza, la norma, pur non menzionando esplicitamente il lavoro in prova, implicitamente lo considera una fattispecie non ostativa.

Conclusioni

L’ordinanza stabilisce un principio di diritto di grande importanza pratica: il regime derogatorio per l’accesso alla pensione previsto dalle norme di salvaguardia si applica anche a chi, nel periodo rilevante, ha prestato lavoro subordinato in regime di prova, se tale rapporto si è risolto prima del suo superamento. Questa decisione rafforza la tutela dei lavoratori che, pur avendo tentato un reinserimento nel mercato del lavoro, non hanno trovato una nuova occupazione stabile e definitiva, e conferma che la precarietà di un rapporto in prova non può essere equiparata alla stabilità di un contratto a tempo indeterminato ai fini pensionistici.

Un rapporto di lavoro in prova impedisce l’accesso alla pensione in deroga (salvaguardia)?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un rapporto di lavoro subordinato in regime di prova, che si risolve prima del suo positivo superamento, non costituisce un “rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato” ostativo all’accesso ai benefici pensionistici previsti dalle norme di salvaguardia.

Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto che il lavoro in prova non ostacoli la pensione?
Perché il rapporto durante il periodo di prova non ha il carattere di “definitività” e stabilità tipico del contratto a tempo indeterminato. L’assunzione diventa definitiva solo dopo il superamento della prova. La finalità della legge di salvaguardia è escludere solo chi ha trovato una nuova occupazione stabile, non chi ha fatto un tentativo di reinserimento fallito.

Qual è il principio di diritto stabilito dalla Corte in questa ordinanza?
Il principio stabilito è che il regime pensionistico derogatorio si applica anche ai lavoratori che, dopo la cessazione del rapporto principale, hanno prestato lavoro subordinato in prova ai sensi dell’art. 2096 c.c., qualora tale rapporto si sia interrotto prima del positivo superamento della prova stessa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati