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Lavoro extra dipendenti pubblici: Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di alcuni infermieri, dipendenti pubblici, sanzionati per aver svolto attività di volontariato extraziendale non autorizzata. L’attività era remunerata con un importo forfettario giornaliero. La Corte ha confermato la decisione di merito che qualificava tale importo come compenso, e non come rimborso spese, legittimando così le sanzioni disciplinari per la violazione del divieto di lavoro extra dipendenti pubblici. La decisione sottolinea che la semplice colpa, e non necessariamente il dolo, è sufficiente a giustificare la sanzione.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Lavoro Extra per Dipendenti Pubblici: quando il Rimborso Spese diventa Compenso

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce su un tema cruciale per il pubblico impiego: il lavoro extra per i dipendenti pubblici. La pronuncia chiarisce in modo netto la distinzione tra un legittimo rimborso spese e un compenso mascherato, confermando la legittimità delle sanzioni disciplinari anche in assenza di un’intenzione fraudolenta da parte del lavoratore. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni dei giudici.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine dall’iniziativa di un gruppo di infermieri professionali, dipendenti di un’Azienda Sanitaria Locale, che avevano svolto attività di volontariato extraziendale per una ONLUS. Per questa attività, i lavoratori avevano percepito un importo forfettario giornaliero. L’ente sanitario, venuto a conoscenza dei fatti, aveva avviato un procedimento disciplinare, culminato con l’applicazione di sanzioni e la richiesta di restituzione delle somme percepite, in base alla normativa che regola l’impiego pubblico.

I dipendenti avevano impugnato i provvedimenti, sostenendo la natura di rimborso spese delle somme ricevute e non di vero e proprio compenso, chiedendo l’annullamento delle sanzioni.

Il Percorso Giudiziario e l’Appello

In primo grado, il Tribunale aveva parzialmente accolto le ragioni dei lavoratori, annullando la richiesta di restituzione delle somme ma confermando le sanzioni disciplinari. Insoddisfatte, entrambe le parti avevano presentato appello.

La Corte d’Appello, riformando la decisione iniziale, ha dato piena ragione all’Azienda Sanitaria. I giudici di secondo grado hanno stabilito che le somme percepite non potevano essere qualificate come mero rimborso spese, bensì come un vero e proprio compenso. La motivazione si fondava su due elementi chiave: la natura forfettaria dell’importo e la sua differenziazione non in base alle spese sostenute, ma in base al tipo di attività svolta. Di conseguenza, la Corte d’Appello ha ritenuto legittime sia le sanzioni disciplinari sia la richiesta di riversamento degli importi percepiti, respingendo integralmente le domande dei lavoratori.

Il divieto di lavoro extra per dipendenti pubblici e la decisione della Cassazione

I lavoratori hanno quindi proposto ricorso per Cassazione, articolando diverse censure contro la sentenza d’appello. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per motivi procedurali, in particolare per la formulazione promiscua e cumulativa dei motivi, che non consentiva di isolare e comprendere le singole critiche mosse alla sentenza impugnata.

Nonostante l’inammissibilità, la Corte ha comunque avuto modo di soffermarsi sul nucleo della questione, offrendo importanti chiarimenti.

Le Motivazioni

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione dell’art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001. Questa norma vieta ai dipendenti pubblici di svolgere incarichi retribuiti non autorizzati che non rientrino nei loro compiti d’ufficio. L’unica eccezione riguarda gli incarichi per i quali sia previsto esclusivamente un “rimborso delle spese documentate”.

La Corte d’Appello, con un ragionamento avallato dalla Cassazione, ha correttamente evidenziato che i lavoratori non avevano mai documentato alcuna spesa. Al contrario, avevano ricevuto una somma a forfait, un importo fisso giornaliero. Questo elemento, unito al fatto che l’importo variava in base all’attività svolta, è stato decisivo per qualificare la somma come “compenso” e non come “rimborso spese”. Un vero rimborso, infatti, deve essere strettamente correlato ai costi effettivamente sostenuti e provati.

Un altro punto cruciale riguarda la colpevolezza. I ricorrenti lamentavano una violazione del principio di colpevolezza, ritenendo di non aver agito con l’intenzione di violare la legge. La Corte ha chiarito che, ai fini della sanzione disciplinare, non è necessario il dolo (la volontà consapevole di commettere l’illecito), ma è sufficiente la colpa. La colpa consiste nella mera possibilità di dubitare, con l’ordinaria diligenza, del carattere gratuito della prestazione. In altre parole, il dipendente pubblico ha il dovere di essere diligente e di accertarsi che l’attività extra che svolge sia pienamente conforme alle normative, specialmente quando riceve del denaro.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione ribadisce un principio fondamentale per chi lavora nella Pubblica Amministrazione: la regola generale è l’esclusività del rapporto di lavoro. Qualsiasi attività esterna che preveda un corrispettivo economico, sotto qualsiasi forma che non sia un mero rimborso di spese documentate, deve essere preventivamente autorizzata dall’amministrazione di appartenenza. La distinzione è netta: un rimborso copre un costo vivo e documentato, mentre un compenso, anche se forfettario e di modesto importo, remunera la prestazione lavorativa. La mancanza di questa autorizzazione configura un illecito disciplinare, per il quale è sufficiente la negligenza del lavoratore nel non essersi adeguatamente informato sulla natura del corrispettivo ricevuto.

Un dipendente pubblico può svolgere attività di volontariato retribuita?
No, non senza una specifica autorizzazione da parte della propria amministrazione. Se l’attività, anche se definita di volontariato, prevede un corrispettivo che va oltre il semplice rimborso di spese documentate, si configura come un incarico extra vietato dalla legge (art. 53, D.Lgs. 165/2001).

Un rimborso spese forfettario è considerato compenso ai fini del divieto di lavoro extra?
Sì. Secondo la sentenza, una somma corrisposta a forfait, ovvero in misura fissa e non correlata a specifiche spese documentate, deve essere qualificata come compenso e non come rimborso. Questo fa scattare il divieto di svolgere l’attività senza autorizzazione.

Per applicare una sanzione disciplinare è necessario dimostrare il dolo del dipendente?
No, non è necessario. La Corte ha chiarito che per la legittimità della sanzione disciplinare è sufficiente la colpa, che consiste nella violazione di un dovere di diligenza. Il dipendente pubblico ha l’obbligo di informarsi e dubitare della liceità di un’attività esterna per cui riceve denaro, anche se non ha l’intenzione specifica di violare la legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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