Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2100 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 2100 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 33747/2018 R.G. proposto da
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE », in persona del Direttore Generale pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende unitamente a ll’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 37/2018 de lla Corte d’Appello di Venezia, depositata il 19.5.2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7.11.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
I ricorrenti, tutti infermieri professionali dipendenti dell’ RAGIONE_SOCIALE, si rivolsero con separati ricorsi al Tribunale di Venezia, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere l’a nnullamento delle sanzioni amministrative loro applicate per avere svolto attività non autorizzata di volontariato extraziendale, retribuita con un importo forfettario giornaliero, nonché per l’a ccertamento negativo del credito che l’ RAGIONE_SOCIALE aveva preannunciato di vantare nei loro confronti a titolo di riversamento alla pubblica amministrazione datrice di lavoro di quanto percepito altrove dai suoi dipendenti, come previsto dall’art. 53, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001.
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale di Venezia accolse parzialmente le domande, accertando l’inesistenza del credito per il versamento al datore di lavoro delle somme percepite dai lavoratori, ma confermando le sanzioni disciplinari applicate (due giorni di sospensione dal servizio e dalla retribuzione).
La Corte d’Appello di Venezia, davanti alla quale le sentenze di primo grado furono impugnate da entrambe le parti, riuniti i processi, accolse gli appelli proposti dall’ RAGIONE_SOCIALE» e rigettò quelli dei lavoratori, le domande dei quali furono quindi integralmente respinte.
Contro la sentenza della Corte territoriale i lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione articolato in sei motivi.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso. La causa è trattata in camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti censurano, «in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 111, comma 6, Cost.».
Il secondo motivo denuncia, « in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., invalidità d ella sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c.».
I ricorrenti chiosano queste due prime censure con l’aggiunta : «entrambi i motivi per manifesta illogicità motivazionale».
Nel ricorso vi è un’unica illustrazione promiscua dei primi due motivi e dei due successivi che sono così rubricati:
«3 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 53 , comma 6, lett. d , e 7 d.lgs. n. 151/2001»;
«4 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., omesso esame di più fatti decisivi oggetto di discussione».
L’illustrazione promiscua dei primi quattro motivi giustifica la loro trattazione congiunta, per rilevarne la comune inammissibilità.
3.1. La denuncia cumulativa di diverse tipologie di vizi (violazione di legge, nullità della sentenza, omesso esame) non consente di isolare le singole censure e di comprendere quale sia l’effettiva consistenza della critica mossa alla sentenza impugnata.
3.2. I ricorrenti riconoscono che i fatti di causa sono sostanzialmente pacifici e che la questione di diritto riguarda l’interpretazione dell’art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, secondo il quale sono vietati, salva autorizzazione della pubblica amministrazione di appartenenza, «tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso», essendo invece esclusi dal divieto solo gli «incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate».
3.3. La Corte d’Appello ha constatato che i ricorrenti non allegano di avere documentato le spese sostenute, mentre è pacifico che hanno ricevuto una somma a forfait per ogni giorno di attività prestata in favore della RAGIONE_SOCIALE. Nonostante la pacifica mancanza di documentazione di spesa, la Corte territoriale ha comunque considerato la possibilità di qualificare come «rimborso delle spese» le somme ricevute dai ricorrenti, giungendo ad una motivata risposta negativa (rilevando, in particolare, che le somme non erano differenziate in base a criteri orientati alla spesa sostenuta da ciascuno, ma «secondo la diversa attività degli operatori»). Infine, il giudice d’appello ha confutato la tesi dei ricorrenti secondo cui la documentazione delle loro spese sarebbe stata impossibile.
3.4. In tale percorso argomentativo non si ravvisa alcuna contraddittorietà palese , né tanto meno un’assenza di motivazione, mentre non si comprende quali sarebbero i «più fatti decisivi» di cui la Corte veneziana avrebbe omesso l’esame. Ciò basta per escludere che si rientri nell’ambito del sindaca to sulla motivazione del giudice di merito consentito in sede di legittimità, secondo i condivisibili criteri fissati dalle Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 8053/2014).
Per quanto riguarda la violazione di legge, non viene svolta alcuna effettiva censura all’interpretazione data nella sentenza impugnata all’art. 53, comma 6, d.lgs. 165 del 2001, di cui, anzi, la Corte territoriale ha preso in considerazione una lettura non meramente testuale (che avrebbe limitato il discorso alla semplice constatazione della mancanza di «spese documentate» e del divieto normativo di percepire compensi «sotto qualsiasi forma»), salvo constatare che, nel caso in esame, le somme erogate non erano quantificate secondo criteri orientati al ristoro delle spese, ma piuttosto secondo criteri remunerativi, in quanto differenziati in base al tipo di attività svolta.
Il quinto e il sesto motivo censurano il mancato accoglimento degli appelli incidentali dei lavoratori volti a ottenere l’annullamento delle sanzioni disciplinari confermate dal Tribunale di Venezia.
Sebbene anche agli ultimi due motivi segua un’unica trattazione nel ricorso, in questo caso è possibile distinguere le diverse ragioni poste a sostegno di ciascuna censura.
Il quinto motivo prospetta, «in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 43 c.p. e dell’art. 1 3 codice disciplinare di categoria CCNL 2002/2003/2004 e codice deontologico d.P.C.M. 28.11.2000».
I ricorrenti rilevano la contraddizione insita nella conferma delle sanzioni disciplinari in assenza di accertamento dello svolgimento di una attività retribuita non autorizzata e contestano alla Corte d’Appello di avere violato il principio di colpevolezza che deve essere rispettato per la legittimità di ogni tipo di sanzione.
5.1. Anche questo motivo è inammissibile.
Innanzitutto, perché denuncia una contraddizione (conferma delle sanzioni disciplinari nonostante l’accertamento negativo del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE) che, ravvisabile eventualmente nella sentenza di primo grado, è stata superata con l’accoglimento degli appelli della pubblica amministrazione e, quindi, con il coerente rigetto di entrambe le domande dei lavoratori nella sentenza qui impugnata.
In secondo luogo, la Corte veneziana non ha affatto affermato che la sanzione disciplinare può essere applicata anche in difetto di colpevolezza, ma, al contrario, ha accertato, in fatto, la colpa dei ricorrenti, la quale -a differenza del dolo -non richiede «la consapevolezza del carattere retributivo del compenso», bastando la mera possibilità di dubitare, con l’ordinaria diligenza, del carattere gratuito della prestazione.
Infine, il sesto motivo denuncia, « in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione».
Il motivo riguarda soltanto quattro dei sei ricorrenti, dei quali si afferma che «hanno allegato ai propri fascicoli (v. per un esemplare doc. n. 2 fascicolo Cassazione, presente in ogni fascicolo di 1° grado) la lettera dell’ RAGIONE_SOCIALE di autorizzazione a svolgere l’attività di volontariato».
6.1. Il motivo è inammissibile, perché basato su un documento che evidentemente non corrisponde a quello depositato. Infatti, il citato doc. n. 2, prodotto ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., non è una « lettera dell’U.S.RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. n. 10 di autorizzazione a svolgere l’attività di volontariato» , bensì, al contrario, una lettera con cui l’ RAGIONE_SOCIALE ricorda «a
tutto il personale» (senza indicazione nominativa dei destinatari) «che per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni vige il divieto di svolgere qualsivoglia altra attività e che la violazione di tale divieto costituisce giusta causa di licenziamento». Seguono l’invito a presentare la domanda di autorizzazione e l’avvertimento che l’attività può essere espletata solo una volta autorizzata («a nulla valendo che la domanda sia stata fatta anteriormente») e che «è cura del ricorrente assicurarsi del buon esito della pratica».
Dichiarato in ammissibile il ricorso, le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che , in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna i ricorrenti al pagamento in solido, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 5.000 per compensi, oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali al 15% dei compensi e agli accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 7.11.2023.