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Lavoro effettivo NASpI: sì anche senza prestazione

Un lavoratore, licenziato e poi reintegrato per ordine del giudice, non veniva riammesso in servizio ma continuava a percepire retribuzione e contributi. Dopo un secondo licenziamento, l’INPS negava la NASpI per mancanza del requisito del “lavoro effettivo”. La Cassazione ha stabilito che il concetto di lavoro effettivo NASpI ha valenza giuridica: il requisito è soddisfatto ogni volta che sussiste il diritto a retribuzione e contribuzione, anche se la prestazione lavorativa è rifiutata ingiustamente dal datore di lavoro.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Lavoro Effettivo per la NASpI: Vale anche Senza Lavorare?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13531/2025, affronta un tema cruciale per i diritti dei lavoratori: la definizione di lavoro effettivo NASpI. La pronuncia stabilisce un principio fondamentale: il diritto all’indennità di disoccupazione non dipende solo dall’aver materialmente lavorato, ma dall’esistenza giuridica del rapporto di lavoro che dà diritto a stipendio e contributi, anche quando il datore di lavoro si rifiuta di ricevere la prestazione.

I Fatti di Causa: un Licenziamento Controverso

Il caso riguarda un lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo. Il licenziamento viene però annullato in sede giudiziaria, con un ordine di reintegrazione nel posto di lavoro. Nonostante la sentenza, l’azienda datrice di lavoro non riammette fisicamente il dipendente in servizio. Tuttavia, adempie parzialmente all’ordine del giudice, continuando a versare regolarmente la retribuzione e i relativi contributi previdenziali.

Successivamente, l’azienda procede con un secondo licenziamento. A questo punto, il lavoratore presenta domanda per ottenere l’indennità di disoccupazione NASpI. L’INPS, però, respinge la richiesta sostenendo la mancanza di un requisito essenziale: le trenta giornate di ‘lavoro effettivo’ nei dodici mesi precedenti la cessazione del rapporto. Secondo l’ente, non essendoci stata una prestazione lavorativa concreta, il requisito non poteva considerarsi soddisfatto.

La Questione sul Lavoro Effettivo NASpI

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione dell’espressione ‘lavoro effettivo’ contenuta nell’art. 3 del d.lgs. n. 22/2015. L’INPS adotta una lettura letterale e naturalistica: ‘effettivo’ significa concretamente eseguito. Per l’ente, il pagamento della retribuzione in assenza di attività lavorativa non è sufficiente a integrare il requisito.

D’altro canto, il lavoratore, sostenuto dai giudici di primo e secondo grado, propone una visione giuridica. Se il rapporto di lavoro è legalmente in essere, e il lavoratore ha diritto a stipendio e contributi, allora le giornate devono essere considerate ‘effettive’. Il fatto di non aver lavorato non è dipeso da una sua volontà, ma dalla decisione ingiusta del datore di lavoro di non ottemperare pienamente all’ordine di reintegrazione.

La Decisione della Cassazione: Prevale il Concetto Giuridico

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell’INPS, confermando le decisioni dei giudici di merito e fornendo un’interpretazione chiara e a tutela del lavoratore. I giudici supremi chiariscono che il concetto di lavoro effettivo NASpI non può essere ridotto alla mera esecuzione materiale delle mansioni. Si tratta, invece, di un concetto giuridico che fa riferimento alla piena vitalità del rapporto di lavoro.

Le Motivazioni

La Corte argomenta che l’effettività del lavoro sussiste non solo quando la prestazione è concretamente eseguita, ma anche durante le ‘pause’ fisiologiche come ferie e riposi retribuiti. A maggior ragione, essa sussiste quando la prestazione è offerta dal lavoratore ma ingiustificatamente rifiutata dal datore di lavoro. In questi casi, il sinallagma contrattuale, ovvero il legame tra prestazione e controprestazione, rimane funzionalmente attivo, come dimostrato dal continuo pagamento di stipendio e contributi.

Un comportamento illegittimo del datore di lavoro, che rifiuta la prestazione dopo un ordine di reintegrazione, non può pregiudicare i diritti previdenziali del lavoratore. Diversamente ragionando, si finirebbe per penalizzare il dipendente per una colpa non sua.

La sentenza opera anche un’importante distinzione rispetto ai periodi di sospensione del rapporto di lavoro (come maternità, cassa integrazione a zero ore, congedi), durante i quali le obbligazioni reciproche sono sospese per legge. Tali periodi, infatti, non sono considerati ‘lavoro effettivo’, ma vengono ‘neutralizzati’, ossia esclusi dal conteggio dei dodici mesi di riferimento, proprio per non danneggiare il lavoratore.

Le Conclusioni

In conclusione, la Cassazione enuncia due principi di diritto fondamentali:
1. Il requisito delle ‘trenta giornate di lavoro effettivo’ per la NASpI è integrato non solo da ferie e riposi, ma da ogni giornata che dia al lavoratore diritto alla retribuzione e alla relativa contribuzione.
2. I periodi di sospensione del rapporto per cause tutelate dalla legge (che impediscono le reciproche prestazioni) sono esclusi (neutralizzati) dal calcolo dei dodici mesi precedenti la disoccupazione.

Questa sentenza rafforza la tutela dei lavoratori, stabilendo che i requisiti per le prestazioni previdenziali devono essere valutati sotto un profilo giuridico e non meramente fattuale. La condotta del datore di lavoro non può diventare un ostacolo all’accesso ai diritti garantiti dall’ordinamento.

Un periodo in cui non ho lavorato ma ho ricevuto stipendio e contributi vale per il requisito delle 30 giornate per la NASpI?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che il requisito del ‘lavoro effettivo’ è soddisfatto ogni volta che il lavoratore ha diritto alla retribuzione e alla relativa contribuzione, anche in assenza di una prestazione lavorativa concreta, come nel caso in cui il datore di lavoro rifiuti illegittimamente la prestazione offerta.

Cosa si intende per ‘lavoro effettivo’ ai fini della NASpI?
Per ‘lavoro effettivo’ non si intende solo la materiale esecuzione delle mansioni, ma un concetto giuridico che include tutte le giornate in cui il rapporto di lavoro è pienamente attivo e dà diritto a stipendio e contributi. Ciò comprende ferie, riposi retribuiti e i periodi in cui la prestazione è offerta ma non accettata dal datore di lavoro per sua colpa.

I periodi di cassa integrazione a zero ore o di congedo parentale contano come ‘lavoro effettivo’?
No. La sentenza chiarisce che eventi come cassa integrazione a zero ore, congedi o malattia, che sospendono le obbligazioni reciproche del rapporto (lavoro e retribuzione), non contano come ‘lavoro effettivo’. Tali periodi vengono ‘neutralizzati’, cioè esclusi dal calcolo dei dodici mesi di riferimento per la verifica del requisito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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