Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13531 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 13531 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/05/2025
SENTENZA
sul ricorso 12267-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
R.G.N. 12267/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 11/02/2025
PU
avverso la sentenza n. 1461/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 10/09/2019 R.G.N. 713/2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/02/2025 dalla Consigliera Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado che aveva dichiarato il diritto di NOME COGNOME a percepire la indennità NASPI.
1.1. Per quanto qui solo rileva, la Corte territoriale esponeva che il lavoratore era stato licenziato per giustificato motivo oggettivo il 13 dicembre 2013; il licenziamento era stato annullato in sede giudiziaria con ordine di reintegrazione.
1.2. La reintegrazione, tuttavia, non era stata eseguita dalla società datrice di lavoro che, comunque, provvedeva al pagamento della retribuzione e dei contributi previdenziali.
1.3. Con successiva comunicazione del 21 luglio 2015, il ricorrente era nuovamente licenziato e il lavoratore, in data 30 novembre 2015, richiedeva la NASPI.
1.4. Per la Corte di appello, la circostanza che il datore di lavoro non avesse richiesto la controprestazione lavorativa, nei dodici mesi precedenti la definitiva cessazione del rapporto di lavoro, non aveva alcuna rilevanza ai fini della
verifica del requisito delle trenta giornate di lavoro effettivo, integrato dal pagamento della retribuzione e versamento della contribuzione.
1.5. Per i giudici territoriali, irrilevante era anche la circostanza che, in data successiva alla domanda di accesso alla Naspi, tra le parti fosse intervenuta una conciliazione giudiziale. L’evento non modificava la condizione di ‘involontarietà’ dello stato di disoccupazione del lavoratore, poiché l’accordo conciliativo non aveva in alcun modo modificato gli effetti del provvedimento comminato per giustificato motivo oggettivo ma solo definito il contenzioso insorto.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza l’INPS, articolato in un unico motivo di censura, cui NOME COGNOME ha resistito con controricorso. È rimasta intimata l’altra parte indicata in epigrafe.
2.1. La causa, già fissata per l’adunanza camerale del 14 novembre 2024, in relazione alla quale l’Istituto e il controricorrente depositavano memoria, è stata rinviata per la fissazione della udienza pubblica. Il PG ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso; NOME COGNOME ha depositato nuova memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di censura l’INPS deduce -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- la violazione e/o falsa applicazione dell’art.3, comma 1, lett. c) del d.lgs. 4 marzo 2015 n.22 anche in relazione all’art. 12 disp. prel.cod.civ.
1.1. L’INS contesta la decisione impugnata per avere quest’ultima computato come giornate di lavoro effettivo quelle ricadenti nel periodo antecedente il secondo licenziamento, per le quali vi è stato il pagamento della
retribuzione e il versamento della relativa contribuzione, senza prestazione lavorativa.
1.2. L’Istituto ha svolto, poi, una serie di censure anche in ordine alla mancata considerazione che il lavoratore aveva sostanzialmente rinunciato agli effetti del provvedimento (cioè aveva rinunciato a prestare la propria attività lavorativa per effetto conciliazione: v. pag. 16 del ricorso per cassazione).
1.3. Il motivo è, nel complesso, da respingere.
1.4. Sono inammissibili le censure in ultimo riportate in quanto genericamente sviluppate, senza neppure trascrivere, ritualmente, l’accordo transattivo.
1.5. Per il resto, i rilievi dell’Inps sono infondati per le ragioni che vanno ad illustrarsi.
1.6. Gli antecedenti di fatto non sono controversi fra le parti.
1.7. L’odierno controricorrente ha rivendicato l’indennità di disoccupazione NASpI, regolata dal d.lgs. n. 22 del 2015, allegando la disoccupazione involontaria conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, a seguito del secondo licenziamento. A seguito di diniego in sede amministrativa, per difetto del requisito delle «trenta giornate di lavoro effettivo nei dodici mesi precedenti l’inizio della disoccupazione», in sede giudiziaria, la Corte d’appello, nel confermare la decisione pronunciata dal Tribunale, ha ritenuto, invece, integrate le trenta giornate lavorative richieste dall’art. 3, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 22 del 2015.
1.8. Ad avviso dei giudici di merito, al raggiungimento di tale requisito non ostava il fatto che il lavoratore, nell’arco temporale di riferimento, non avesse reso un’effettiva prestazione lavorativa. Ciò che rilevava era, infatti, la
sussistenza giuridica del rapporto di lavoro, con diritto alla retribuzione e alla contribuzione.
Sulle premesse giuridiche del ragionamento della Corte d’appello vertono le critiche dell’Istituto.
2.1. L’art. 3 del d.lgs. n. 22 del 2015, nella formulazione applicabile ratione temporis , riconosce l’indennità mensile di disoccupazione, denominata «Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI)», ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e presentino congiuntamente i seguenti requisiti: «a) siano in stato di disoccupazione ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni; b) possano far valere, nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione; c) possano far valere trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione».
2.2. Nell’odierno giudizio si controverte, nuovamente, sull’interpretazione del requisito delle trenta giornate «di lavoro effettivo», tipizzato dalla lettera c).
2.3. Questa Corte, invero, si è già confrontata con la disposizione in oggetto e ha ritenuto che «le trenta giornate di lavoro effettivo, nei dodici mesi precedenti l’inizio della disoccupazione, cui l’art. 3, comma 1, lett. c) del D.Lgs. nr. 22 del 2015, subordina, in concorso con altre condizioni previste dalla stessa norma, il trattamento della NASpI, sono integrate anche da giornate di ferie e/o di riposo retribuito» (Cass. nr. 22922 del 2024. Conforme, Cass. nr. 31402 del 2024).
2.4. Il principio poggia sulla considerazione che le ferie, come i riposi, rappresentano momenti connaturali al
rapporto di lavoro. Durante la loro fruizione vi è piena vitalità -e quindi effettività- del rapporto stesso.
2.5. Per la Corte il «lavoro effettivo» è, dunque, sempre comprensivo di quelle ‘pause’ periodiche della prestazione lavorativa che, finalizzate al recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore, sono equiparabili alla effettiva e concreta esecuzione delle mansioni.
Le argomentazioni esposte, dalle quali non vi è ragione di discostarsi, meritano, però, un ulteriore sviluppo nella presente sede, per la peculiarità del caso concreto.
3.1. Nello specifico è accaduto che il lavoratore non è stato reintegrato dal datore di lavoro che, tuttavia, ha ugualmente retribuito il dipendente. Pertanto, nel periodo considerato dalla norma di legge (ovvero quello dei «dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione») non vi è stato lo svolgimento, in concreto, dell’attività lavorativa.
3.2. Nella ricorrenza di una tale situazione, giudica il Collegio che il «lavoro» ( recte : il rapporto di lavoro) debba considerarsi «effettivo» ai sensi e per gli effetti dell’art. 3, comma 1, lett. c) del D.Lgs. nr. 22 del 2015.
3.3. Ciò in quanto, l’art. 3 cit., pur nella sua peculiare formulazione terminologica, evoca un concetto giuridico di ‘effettività’ non coincidente con il significato, strettamente naturalistico, di una attività materialmente in essere. La prestazione di lavoro è, infatti, effettiva non solo nel momento in cui è concretamente eseguita ma anche durante le sue pause fisiologiche e, a fortiori, quando è offerta ma, ingiustificatamente, rifiutata.
3.4. In tutte queste ipotesi, il sinallagma contrattuale resta inalterato nella sua concreta funzionalità, tanto che non vi è interruzione dell’obbligazione retributiva e di quella contributiva.
3.5. Diversamente ragionando, il lavoratore verrebbe ad essere pregiudicato, nei diritti previdenziali, pur esercitando legittime prerogative, garantite da leggi o contratti collettivi, o, ancor di più, in presenza di comportamenti unilaterali e ingiusti del datore di lavoro, come nel caso di specie, in cui l’ordine giudiziale di ricostituzione del rapporto di lavoro non è stato pienamente ottemperato, poiché il datore di lavoro ha rifiutato la prestazione del lavoratore.
Occorre precisare che differente è, invece, la situazione in presenza di eventi che, per legge, determinano una cesura temporanea del rapporto di lavoro, con sospensione delle reciproche prestazioni delle parti. Sono i casi tipici, in via esemplificativa, della maternità, infortunio e malattia ma lo sono anche quelli, per esempio, di godimento del congedo genitoriale o di permessi dal lavoro per assistere persone con handicap grave o, ancora, quelli coperti da cassa integrazione guadagni o contratti di solidarietà a zero ore.
4.1. Si tratta di eventi questi che impediscono totalmente lo svolgimento dell’attività e che -diversamente dalle ipotesi prima valutate (ferie, riposi, festività, ecc.)sospendono pure le obbligazioni principali delle parti. Casi tutti accumunati dal fatto che l’originario rapporto, per un certo periodo di tempo, entra in uno stato di quiescenza non essendo dovute né la prestazione lavorativa dal dipendente, né la retribuzione dal datore di lavoro. Durante il verificarsi di tali situazioni, dunque, il lavoro non è ‘effettivo’, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. C) d.lgs. n. 22/2015.
4.2. E tuttavia, la sospensione del rapporto di lavoro in luogo della sua estinzione per impossibilità della prestazione lavorativa, secondo la disciplina dei rapporti di durataè l’effetto della protezione che l’Ordinamento
riconosce, ex art. 38 Cost., ad obiettive situazioni impeditive dello svolgimento della prestazione lavorativa per cause non imputabili al lavoratore.
4.3. In questa prospettiva, è evidente allora che anche i periodi di ‘inattività’ del sinallagma contrattuale per eventi tutelati dal Legislatore non possano ricadere in danno del lavoratore, quanto al godimento della prestazione NASpI, e sono, perciò, ‘neutralizzati’, nel senso che di essi non si tiene conto nel computo del periodo di riferimento dei dodici mesi di cui all’art.3 in commento.
4.4. In altre parole, ove nei «dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione» si sia verificata una causa di sospensione del rapporto di lavoro, il relativo periodo non è preso in considerazione (ed è, dunque, neutralizzato) ai fini della verifica del periodo di riferimento (di dodici mesi) di cui alla lettera c) dell’art. 3 del d.lgs. n. 22 del 2015, in applicazione di un principio generale insito nel sistema e volto ad impedire che il lavoratore perda il diritto ad una prestazione previdenziale in una situazione tutelata dal medesimo ordinamento assicurativo.
Conclusivamente, possono enunciarsi i seguenti principi di diritto :
«In tema di accesso ai nuovi trattamenti di integrazione salariale ( cd . NASpI) ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 22 del 2015 , nella formulazione antecedente alle modifiche disposte dall’art. 1, comma 171, della l. 30 dicembre 2024, n. 207 ( e applicabili agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° gennaio 2025):
il requisito delle ‘trenta giornate di lavoro effettivo’ risulta integrato -oltre che da giornate di ferie e/o di riposo retribuito- da ogni giornata che dia luogo al diritto del lavoratore alla retribuzione e alla relativa contribuzione;
ai fini del computo dei ‘dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione’ si escludono (sono neutralizzati) i periodi di sospensione del rapporto di lavoro per cause tutelate dalla legge, impeditive delle reciproche prestazioni».
La sentenza impugnata è conforme alle indicazioni che precedono e si sottrae, dunque, ai mossi rilievi.
La novità di molti profili delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità, nei confronti della parte controricorrente, mentre nulla va, al riguardo, statuito nei rapporti con la parte rimasta intimata. Tenuto conto del rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio