Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31402 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31402 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21148/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l ‘Avvocatura centrale dell’Istitut o, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME unitamente agli avvocati COGNOME
-ricorrente-
contro
NOMECOGNOME con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 572/2021 pubblicata il 28/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Palermo, con la sentenza n.572/2021 del 28 maggio 2021, ha rigettato il gravame proposto dall’IRAGIONE_SOCIALE nella controversia con NOME COGNOME
La controversia ha per oggetto la computabilità dei giorni di ferie goduti al fine della sussistenza del requisito previsto dall’art.3 comma 1 lettera c) d.lgs. n.22/2015 per il godimento della NASpI.
Il Tribunale di Palermo accoglieva la domanda proposta dalla COGNOME.
La Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, ha ritenuto che con la locuzione «giornate di lavoro effettivo» il legislatore abbia inteso limitare la platea dei beneficiari della NASpI ai lavoratori ai quali sia stata effettivamente pagata sia la retribuzione che la contribuzione per almeno trenta giorni nell’ultimo anno, senza che possa avere rilievo la circostanza che in tali giorni il lavoratore si trovasse effettivamente al lavoro.
Per la cassazione della sentenza ricorre l’I.N.P.S. ed articola un unico motivo illustrato da memoria. La COGNOME resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo l’INPS lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art.3 comma 1 lettera c) del d.lgs. n.22/2015, anche in relazione all’art.12 disp. prel. al cod. civ., con riferimento all’art. 360 comma primo n.3 cod. proc. civ. . Deduce che l’aggettivo «effettivo» non possa che essere interpretato nel senso
di computare solo le giornate nel quale il lavoratore ha svolto la prestazione lavorativa, con esclusione di quelle giornate nelle quali pur mancando la prestazione effettiva sussiste comunque l’obbligo per il datore di lavoro di pagare la retribuzione ed i contributi.
Deve, preliminarmente, essere rigettata l’eccezione di cessazione della materia del contendere sollevata nel controricorso.
Nella memoria illustrativa l’Istituto previdenziale ha riportato la sua comunicazione del 08/09/2021, dalla quale risulta espressamente che il pagamento della prestazione dedotta in giudizio è stato effettuato senza animus solvendi , in esecuzione della sentenza della corte territoriale e con «riserva di ripetizione».
Deve pertanto escludersi l’acquiescenza.
Nel merito il ricorso è infondato.
Sul punto si intende dare continuità all’orientamento di Cass. Sez. Lav. 19/08/2024 n.22922, secondo il quale «le ferie, come i riposi retribuiti, rappresentano componenti essenziali del rapporto di lavoro. Durante la loro fruizione vi è piena vitalità -e quindi effettivitàdella prestazione lavorativa: quest’ultima è, pertanto, da intendersi comprensiva anche delle pause, rispetto ai momenti di effettiva e concreta esecuzione delle mansioni, e delle sospensioni, nello svolgimento di queste, connaturali al rapporto stesso. Il «lavoro effettivo» include, in particolare, le ferie e i riposi retribuiti, costituzionalmente tutelati e previsti proprio al fine di rendere possibile, attraverso pause periodiche, il recupero delle energie psicofisiche del lavoratore. A ben vedere, l’art. 16 della legge nr. 223 del 1991 codifica una regola iuris e, in modo espresso, chiarisce che nella nozione di «lavoro effettivo» debbano ricomprendersi determinati periodi di sospensione del rapporto. Nondimeno, per le ragioni innanzi evidenziate, al medesimo esito interpretativo deve pervenirsi in relazione all’art. 3, comma 1, lett. c), del D.Lgs nr. 22 del 2015 benché la norma si limiti a richiedere, quale presupposto di accesso alla NASpI, unitamente ad altre
condizioni, un numero di giornate di «lavoro effettivo». Per quanto, infine, possa valere, si evidenzia che la stessa circolare INPS nr. 197 del 2015, relativa al D. Lgs. nr. 148 del 2015 (recante «Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali»), nel chiarire i requisiti di accesso ai (nuovi) trattamenti di integrazione salariale, precisa che l’anzianità di «effettivo lavoro» richiesta dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs nr. 148, riferita, senza ulteriori precisazioni, alle giornate di effettiva presenza al lavoro, include, in analogia con quanto disposto dall’art. 16, comma 1, della legge nr. 223 del 1991, i periodi di sospensione dal lavoro derivanti da ferie, festività e infortuni e, in applicazione degli indirizzi emersi in giurisprudenza, anche quelli di maternità obbligatoria. Pertanto -e in conclusione- deve affermarsi che «le trenta giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti l’inizio della disoccupazione, cui l’art. 3, comma 1, lett. c) del D.Lgs. nr. 22 del 2015, subordina, in concorso con altre condizioni previste dalla stessa norma, il trattamento della NASpI, sono integrate anche da giornate di ferie e/o di riposo retributivo, trattandosi di pause essenziali e connaturali del rapporto di lavoro, costituzionalmente garantite».
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto sopra riportato al caso di specie, che ha per oggetto la computabilità delle giornate di ferie godute al fine del raggiungimento del requisito previsto dall’art.3 comma 1 lettera c) del d.lgs. n.22/2015.
Per questi motivi il ricorso deve essere rigettato. Poiché l’orientamento si è consolidato in data posteriore alla proposizione del ricorso per cassazione sussistono i giustificati motivi per la compensazione delle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15/11/2024.