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Lavoro effettivo: anche senza prestazione per colpa datoriale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19630/2025, ha stabilito che il requisito del “lavoro effettivo” per l’accesso all’indennità NASpI è soddisfatto anche quando il dipendente è impossibilitato a svolgere la propria mansione a causa di un ingiustificato rifiuto da parte del datore di lavoro. Secondo la Corte, il concetto di “lavoro effettivo” ha una valenza giuridica e non meramente naturalistica, comprendendo tutti i periodi in cui il rapporto di lavoro è attivo e dà diritto a retribuzione e contribuzione. Di conseguenza, è stata annullata la decisione della Corte d’Appello che richiedeva la presenza fisica del lavoratore, penalizzandolo per una condotta illecita del datore.

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Pubblicato il 23 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Lavoro Effettivo e NASpI: Conta Anche se il Datore ti Impedisce di Lavorare?

L’accesso all’indennità di disoccupazione NASpI è subordinato al possesso di specifici requisiti, tra cui quello delle “trenta giornate di lavoro effettivo” nei dodici mesi precedenti la perdita del lavoro. Ma cosa succede se un lavoratore, pur essendo a disposizione, viene ingiustificatamente allontanato dal posto di lavoro dal proprio datore? Questo periodo di inattività forzata può essere considerato valido ai fini del requisito? La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 19630 del 2025, fornisce una risposta chiara e a tutela del lavoratore.

I Fatti del Caso: Un Anno Senza Lavorare per Decisione Aziendale

Il caso esaminato riguarda un lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo. Per quasi un anno prima del licenziamento, tuttavia, il datore di lavoro gli aveva impedito di accedere ai locali aziendali e di svolgere la sua prestazione, nonostante un ordine contrario della Direzione provinciale del tesoro. Di fronte alla richiesta di NASpI, l’ente previdenziale aveva negato l’indennità, sostenendo la mancanza del requisito delle trenta giornate di lavoro effettivo. Mentre il tribunale di primo grado aveva dato ragione al lavoratore, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, interpretando la norma in senso restrittivo e richiedendo la presenza fisica al lavoro.

La Visione Restrittiva della Corte d’Appello

La Corte territoriale aveva adottato un’interpretazione letterale del termine “lavoro effettivo“, escludendo dal computo i periodi in cui il lavoratore non aveva materialmente prestato la propria attività, anche se per causa imputabile al datore di lavoro. Secondo questa visione, la responsabilità datoriale per l’impedimento al lavoro avrebbe potuto generare un diritto al risarcimento, ma non avrebbe potuto trasformare un periodo di inattività in “lavoro effettivo” valido per le prestazioni previdenziali.

Il Lavoro Effettivo secondo la Cassazione: Un Concetto Giuridico, non Materiale

La Corte di Cassazione ha completamente sconfessato l’interpretazione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno chiarito che il concetto di “effettività” richiamato dalla legge non ha un significato puramente naturalistico (inteso come materiale svolgimento di un’attività), bensì giuridico. La prestazione lavorativa è “effettiva” non solo quando viene eseguita, ma anche durante le pause funzionali (come ferie e riposi) e, soprattutto, quando viene offerta dal lavoratore ma ingiustificatamente rifiutata dal datore di lavoro.

Le Motivazioni della Sentenza

Il ragionamento della Suprema Corte si fonda su un principio cardine del diritto del lavoro: finché il sinallagma contrattuale (lo scambio tra prestazione e retribuzione) rimane funzionalmente attivo, il rapporto di lavoro è da considerarsi a tutti gli effetti in essere. Nel caso di un rifiuto ingiustificato da parte del datore, l’obbligo retributivo e contributivo non viene meno. Di conseguenza, sarebbe una palese contraddizione considerare questi periodi non validi ai fini previdenziali.

La Corte ha specificato che un’interpretazione diversa finirebbe per pregiudicare ingiustamente il lavoratore, facendogli subire le conseguenze negative di un comportamento illegittimo del datore di lavoro. Questo principio di tutela si estende quindi anche al diritto di accedere alle prestazioni di sostegno al reddito come la NASpI.

Inoltre, la sentenza distingue nettamente questa situazione dai casi di sospensione del rapporto di lavoro (es. cassa integrazione a zero ore, maternità), in cui le obbligazioni principali sono temporaneamente interrotte per legge. Tali periodi, infatti, vengono “neutralizzati”, cioè esclusi dal computo dei dodici mesi di riferimento, proprio per non danneggiare il lavoratore. Nel caso di specie, invece, il rapporto non era sospeso, ma pienamente attivo.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Lavoratori e Aziende

La sentenza stabilisce un principio di diritto fondamentale: il requisito delle “trenta giornate di lavoro effettivo” per la NASpI è integrato da ogni giornata che dia diritto alla retribuzione e alla relativa contribuzione, comprese quelle in cui la prestazione lavorativa non è stata svolta per un ingiustificato rifiuto del datore di lavoro. Questa decisione rafforza significativamente la posizione del lavoratore, assicurando che i diritti previdenziali non siano compromessi da condotte datoriali arbitrarie e illegittime.

I giorni in cui il datore di lavoro impedisce ingiustificatamente al dipendente di lavorare contano come ‘lavoro effettivo’ per la NASpI?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la prestazione di lavoro è da considerarsi ‘effettiva’ anche quando è offerta dal lavoratore ma ingiustificatamente rifiutata dal datore. Questi periodi danno diritto a retribuzione e contributi e, pertanto, sono validi per il requisito delle 30 giornate.

Cosa si intende per concetto giuridico di ‘lavoro effettivo’?
Si intende un concetto che va oltre la mera esecuzione materiale dell’attività. Include tutti i momenti in cui il rapporto di lavoro è pienamente vitale, come le ferie, i riposi e, come chiarito in questa sentenza, anche i periodi in cui il lavoratore è a disposizione ma non lavora per colpa del datore.

Qual è la differenza tra un’assenza per colpa del datore di lavoro e una sospensione del rapporto come la cassa integrazione?
Nel caso di rifiuto ingiustificato del datore, il rapporto di lavoro resta pienamente attivo, con obblighi retributivi e contributivi. Invece, in casi come la cassa integrazione a zero ore o la maternità, il rapporto è temporaneamente sospeso nelle sue prestazioni principali (lavoro e retribuzione). Questi ultimi periodi vengono ‘neutralizzati’, cioè non contati nel calcolo dei dodici mesi di riferimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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