Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17159 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17159 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17802-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresenta e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 455/2024 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/02/2024 R.G.N. 1437/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO che
Oggetto
R.G.N. 17802/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 06/05/2025
CC
Con sentenza del l’8 febbraio 2024, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE 7 S.p.A. volta ad ottenere l’accertamento del proprio diritto all’incidenza delle maggiorazioni percepite per il lavoro dominicale prestato, nella determinazione della retribuzione utile ai fini del calcolo degli emolumenti indiretti, con conseguente condanna della resistente al pagamento della somma di euro 12.320,31, come quantificata dal CTU, respingendo, al contempo, l’ulteriore domanda volta ad ottenere il pagamento dell’importo quantificato per il lavoro prestato nelle giornate del 15 agosto e del 25 e 31 dicembre.
In particolare, la Corte , rivedendo in parte l’ iter decisorio del primo giudice, ha ritenuto che l’interpretazione da offrirsi dell’art. 1 delle Norme Transitorie e di attuazione del CNLG, sulla base della allegata nota a verbale, implicasse che il carattere continuativo della prestazione – ritenuto comunque in fatto, nella specie, quanto alla persona del ricorrente – andasse riferito esclusivamente al riposo per la settimana corta e non invece, al lavoro domenicale.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso RAGIONE_SOCIALE affidandolo a quattro motivi.
Resiste, con controricorso, NOME COGNOME.
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
CONSIDERATO che
1.Con il primo motivo di ricorso si censura la decisione impugnata per violazione degli artt. 112, 324, 342, 346 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., nonché violazione e falsa
applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e della normativa di cui al punto 1 della Nota a verbale in calce all’art. 1 delle Norme Transitorie e di attuazione del CNLG anche in relazione all’art. 1362 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, co. 1 n. 3, cod. proc. c iv.
1.1. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione delle nozioni di continuità e non occasionalità desumibili dall’art. 2120 cod. civ., con riguardo all’incidenza degli elementi retributivi sugli istituti indiretti e differiti.
1.2. Con il terzo motivo si allega l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione alla assenza di prova sulla continuità della prestazione domenicale, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.5, cod. proc. civ. nonché violazione dell’art. 2697 cod. civ.
1.3. Con il quarto motivo si denunzia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4 cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per le parti con riguardo alle doglianze in appello di La 7 S.p.A., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2943 comma 4, con riferimento all’eccezione di prescrizione formulata.
Il primo e il secondo motivo, da valutarsi congiuntamente per ragioni logico -sistematiche, sono infondati.
Parte ricorrente deduce l’erronea interpretazione del richiamato testo normativo e, al contempo, la violazione del giudicato interno per difetto di impugnativa di parte controricorrente sul punto.
I due motivi non sono idonei ad aggredire la ratio decdendi.
Nella specie, parte ricorrente censura la decisione impugnata per aver la stessa ritenuto riferirsi il concetto di continuità esclusivamente al riposo per la settimana corta e non all’attività prestata di domenica.
L’interpretazione della disciplina collettiva in modo conforme a quello propugnato dalla società deve ritenersi in linea con quella adottata in
sede di legittimità (cfr., Cass. n. 32260 del 2023) e, nondimeno, non si confronta con la ratio decidendi del giudice di secondo grado atteso che quest’ultimo, sulla base di quanto accertato dal Tribunale, ha ritenuto che, in ogni caso, nella specie, la continuità, in fatto, fosse stata adeguatamente dimostrata, talché alcun rilievo può assumere una statuizione in senso contrario.
Deve, poi, escludersi la formazione dell’eccepito giudicato interno al riguardo, atteso che nessun onere gravava sul controricorrente quanto all’impugnazione incidentale essendo egli risultato vittorioso sulla specifica domanda inerente al diritto all’inci denza delle maggiorazioni per lavoro domenicale sulla retribuzione utile ai fini del calcolo degli istituti indiretti.
Il lavoratore, infatti, era stato riconosciuto in primo grado meritevole del riconoscimento dell’incidenza de qua sugli istituti indiretti, sebbene in base ad un delle due ragioni prospettate in via alternativa in ricorso, ovvero la percezione in via assolutamente continuativa dell’emolumento anzidetto.
Il terzo motivo, con cui si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo e, al contempo, la violazione dell’art. 2697 cod. civ., è inammissibile.
Va premesso che è da ritenersi inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di legge e dell’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in quanto una tale formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati
dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 3397 del 2024).
3.1. Nella specie, le censure, veicolate promiscuamente mediante il ricorso alla violazione di legge ed all’omesso esame di fatti decisivi mirano, nella sostanza, ad una rivalutazione in fatto delle conclusioni raggiunte dalla Corte d’appello che deve rite nersi inammissibile in sede di legittimità.
Occorre rilevare che, come noto, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., si verte nell’ambito di una valutazione di fatto, totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 d el cod. proc. civ., al di fuori dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017).
Nella specie, non solo la motivazione è presente e ben chiara nel suo svolgimento ma parte ricorrente non deduce l’omessa valutazione di un fatto storico ma appunta le proprie censure su aspetti valutativi dell’ iter motivazionale, concernenti la asseritamente erronea valutazione della Corte d’appello .
Invero, l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l’ ” omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate ( cfr., in questi termini, fra le più recenti, Cass.n. 2268 del 2022).
3.2. Qu anto alla dedotta violazione dell’art. 2697 cod. civ., occorre evidenziare che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, ( ex plurimis, Sez. III, n. 15107/2013) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, avendo la Corte fatto corretta applicazione del disposto normativo considerato.
3.3. Questa Corte ha poi affermato che, in caso di censura per motivazione mancante, apparente o perplessa, spetta al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza (Cass. n. 13578 del
02/02/2020) e, d’altra parte, per aversi motivazione apparente occorre che la stessa, pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. (sul punto, fra le altre, Cass. n. 13248 del 30/06/2020).
4. Il quarto motivo è infondato.
La statuizione della Corte territoriale è, infatti, conforme alla giurisprudenza di questa Corte (V. da ultimo, Cass., n. 18008 del 2024) secondo cui il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della l. n. 92 del 2012 e del d.lgs n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro, riguardando, la originaria pretesa, crediti di lavoro, azionati dopo l’entrata in vigore della legge n. 92/2012 e in costanza di rapporto.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dell’ articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
PQM
La Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 3.500,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso nell’adunanza camerale del 6 maggio 2025.