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Lavoro carcerario: quale retribuzione spetta?

Un detenuto ha richiesto la piena retribuzione per il suo lavoro in carcere, basandosi su un contratto collettivo standard. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che la remunerazione per il lavoro carcerario è stabilita da una commissione speciale e non deve essere inferiore ai due terzi della paga prevista dal contratto collettivo di riferimento, che nel caso specifico era quello per il lavoro domestico.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Lavoro Carcerario: Come si Calcola la Giusta Retribuzione?

La questione della retribuzione per il lavoro carcerario è un tema complesso che bilancia i diritti del lavoratore detenuto con la specificità del contesto penitenziario. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi fondamentali che regolano questa materia, chiarendo perché il trattamento economico non possa essere automaticamente equiparato a quello di un normale rapporto di lavoro esterno.

I Fatti di Causa: La Richiesta del Detenuto

Il caso trae origine dalla domanda di un detenuto che, tra il 2006 e il 2010, aveva svolto diverse mansioni all’interno di un istituto penitenziario (scopino, piantone, porta vitto e magazziniere). Egli si era rivolto al tribunale per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento delle differenze retributive, sostenendo che il suo compenso avrebbe dovuto essere calcolato secondo il Contratto Collettivo Nazionale (CCNL) per i servizi di pulizia. La sua richiesta includeva il pagamento di straordinari, lavoro domenicale e festivo, tredicesima mensilità, indennità per ferie non godute e TFR.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano rigettato la sua domanda.

La Decisione dei Giudici di Merito e il Contesto del Lavoro Carcerario

La Corte d’Appello aveva confermato la decisione di primo grado, basando la propria motivazione sulla natura speciale del lavoro carcerario. I giudici hanno sottolineato che la retribuzione per i detenuti lavoratori (chiamata “mercede”) non deriva automaticamente dall’applicazione integrale di un CCNL. La sua determinazione è invece affidata a una commissione apposita, come previsto dalla legge sull’ordinamento penitenziario (L. 354/1975). Questa commissione stabilisce la paga in base a misure percentuali rispetto ai contratti collettivi, garantendo un limite minimo inderogabile: la retribuzione non può essere inferiore ai due terzi di quella prevista dal CCNL di riferimento.

Nel caso specifico, la commissione aveva identificato il CCNL per il lavoro domestico come quello più attinente alle mansioni svolte dal detenuto, e la Corte territoriale aveva ritenuto tale scelta corretta, non essendo stata provata una violazione del limite minimo legale.

Le Motivazioni della Cassazione: Perché il Ricorso è Inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del detenuto, confermando la validità del ragionamento della Corte d’Appello. I giudici supremi hanno spiegato che il ricorrente non aveva efficacemente contestato la ratio decidendi della sentenza impugnata. Invece di confutare la ricostruzione giuridica sulla specificità del lavoro penitenziario, si era limitato a ribadire la propria tesi, ovvero la richiesta di applicazione integrale del CCNL per i servizi di pulizia.

La Corte ha ribadito che la determinazione della mercede è un processo regolato da norme speciali che tengono conto del contesto detentivo e che la scelta del CCNL per il lavoro domestico, operata dalla commissione, era stata coerente con la natura intra muraria delle attività svolte.

Anche il motivo relativo alla mancata ammissione delle prove (come il registro presenze per dimostrare gli orari di lavoro) è stato giudicato inammissibile. La Cassazione ha ricordato che l’ordine di esibizione di documenti è uno strumento residuale e non può essere utilizzato per sopperire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte di chi avanza la pretesa.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza consolida un principio giuridico cruciale: il rapporto di lavoro carcerario è un istituto sui generis, non pienamente assimilabile a un comune rapporto di lavoro subordinato. Le sue finalità non sono solo economiche, ma anche rieducative e di reinserimento sociale. Di conseguenza, la retribuzione (mercede) segue regole proprie, stabilite per legge, che prevedono un meccanismo di calcolo basato su percentuali dei CCNL e un limite minimo costituzionalmente garantito (art. 36 Cost.). La decisione sottolinea che la pretesa di un’applicazione diretta e integrale di un contratto collettivo, senza confrontarsi con la disciplina speciale, è destinata a fallire. Inoltre, ribadisce l’importanza per il lavoratore di fornire prove concrete a sostegno delle proprie rivendicazioni, senza poter contare su strumenti processuali per colmare le proprie lacune probatorie.

La retribuzione per il lavoro carcerario è uguale a quella di un normale rapporto di lavoro?
No, non è automaticamente uguale. La retribuzione, chiamata “mercede”, è determinata da una commissione specifica in base a percentuali dei contratti collettivi, ma non può essere inferiore ai due terzi del trattamento economico previsto da tali contratti.

Quale contratto collettivo si applica al lavoro svolto da un detenuto all’interno del penitenziario?
Il contratto collettivo di riferimento è individuato dalla commissione competente in base alla natura dell’attività svolta. Nel caso esaminato, per mansioni come pulizia e facchinaggio all’interno del carcere, è stato ritenuto applicabile il CCNL per il lavoro domestico.

È possibile chiedere al giudice di ordinare all’amministrazione di esibire documenti per provare le ore di lavoro svolte?
In linea di principio sì, ma l’ordine di esibizione è uno strumento residuale. Non può essere utilizzato per supplire al mancato adempimento dell’onere della prova da parte di chi avanza la richiesta. Se la richiesta ha un carattere meramente esplorativo, il giudice può respingerla.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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