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Lavoro autonomo giornalisti: Cassazione conferma

Un ente previdenziale per giornalisti ha impugnato una decisione della Corte d’Appello che negava la natura subordinata del rapporto di lavoro di alcuni giornalisti con un’emittente televisiva. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che si trattava di lavoro autonomo per i giornalisti. La decisione si fonda sulla completa autonomia creativa e gestionale dei professionisti nel proprio programma, sull’assenza di direttive aziendali e sulla chiara volontà espressa nel contratto di lavoro.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Lavoro Autonomo Giornalisti: Quando il Rapporto è Davvero Indipendente?

La distinzione tra lavoro subordinato e autonomo è una delle questioni più dibattute nel diritto del lavoro, specialmente in settori creativi come quello giornalistico. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo tema, analizzando il caso di alcuni professionisti di un’emittente televisiva e definendo i contorni del lavoro autonomo giornalisti. La sentenza sottolinea l’importanza dell’autonomia decisionale e della volontà contrattuale delle parti, offrendo criteri chiari per distinguere le due tipologie di rapporto.

I Fatti del Caso

La controversia nasce dalla richiesta di un istituto previdenziale di categoria che pretendeva il pagamento di contributi omessi da parte di una nota società televisiva. Secondo l’ente, il rapporto di lavoro intercorso con cinque giornalisti, tra cui l’ideatore di un famoso programma di approfondimento, era di natura subordinata e non autonoma, come invece contrattualizzato. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione all’emittente televisiva, revocando il decreto ingiuntivo iniziale di oltre 1,5 milioni di euro. L’istituto previdenziale ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo la violazione delle norme che definiscono il lavoro subordinato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’ente, confermando in via definitiva le sentenze dei gradi precedenti. I giudici hanno stabilito che il rapporto tra i giornalisti e l’azienda televisiva era correttamente qualificato come lavoro autonomo. La decisione si basa su un’analisi approfondita delle modalità concrete di svolgimento della prestazione lavorativa, che ha fatto emergere una totale assenza degli indici tipici della subordinazione.

Le Motivazioni: Indici del Lavoro Autonomo per i Giornalisti

Le motivazioni della Corte offrono spunti fondamentali per comprendere quando si configura un rapporto di lavoro autonomo per i giornalisti. I giudici hanno distinto la posizione del giornalista ideatore del programma da quella degli altri collaboratori, giungendo per tutti alla medesima conclusione.

L’Autonomia del Giornalista Ideatore di un Programma

Per quanto riguarda il giornalista principale, ideatore e autore del suo programma, la Corte ha evidenziato la sua posizione peculiare. Dalle prove è emerso che egli:
– Decideva in totale autonomia ogni aspetto della trasmissione: temi, ospiti, scaletta.
– Non aveva obblighi di presenza né di restare a disposizione della rete.
– Non riceveva indicazioni sui contenuti, se non il rispetto generale della linea editoriale dell’emittente, un limite esterno e non un’ingerenza diretta.
Questa piena autonomia creativa e gestionale ha escluso qualsiasi forma di subordinazione, anche quella “attenuata” che può talvolta caratterizzare figure apicali come i direttori di testata.

L’Importanza della Volontà Contrattuale e l’Assenza di Eterodirezione

Per gli altri giornalisti coinvolti, la Corte ha valorizzato circostanze decisive come il loro coinvolgimento esclusivo nel programma in questione, senza ulteriori obblighi di presenza, e le modalità autonome con cui partecipavano alla sua realizzazione. Elemento cruciale è risultato essere “l’assenza di ogni traccia di eterodirezione” da parte di rappresentanti della direzione aziendale. In questo contesto, i giudici hanno ritenuto corretto non superare il dato testuale del contratto, che le parti avevano volutamente configurato come autonomo. La Corte ha richiamato un suo precedente orientamento (Cass. n. 22264/2021), secondo cui per affermare la subordinazione non basta l’incarico, ma è necessario dimostrare un effettivo inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale con assoggettamento al potere direttivo e disciplinare.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza rafforza un principio chiave: la qualificazione di un rapporto di lavoro non dipende dal nome che le parti gli danno (“nomen iuris”), ma dalle concrete modalità di svolgimento della prestazione. Tuttavia, la volontà contrattuale delle parti assume un peso determinante quando i fatti non la smentiscono. Per le aziende del settore media e per i giornalisti, questa decisione ribadisce l’importanza di definire chiaramente i ruoli e le responsabilità. Un giornalista che agisce come vero e proprio “imprenditore” di se stesso, con piena autonomia creativa e organizzativa, è a tutti gli effetti un lavoratore autonomo. Al contrario, la presenza di un potere direttivo e di controllo costante da parte dell’azienda configurerà sempre un rapporto di lavoro subordinato, a prescindere da quanto scritto sul contratto.

Quando un rapporto di lavoro giornalistico può essere considerato autonomo e non subordinato?
Secondo l’ordinanza, un rapporto di lavoro giornalistico è autonomo quando il professionista, specialmente se ideatore e autore di un programma, gode di piena autonomia decisionale su contenuti, temi, ospiti e scaletta, non ha obblighi di presenza o di disponibilità verso la rete e non riceve direttive specifiche, se non il rispetto della linea editoriale generale. La volontà espressa nel contratto è decisiva se i fatti non la contraddicono.

Il solo inserimento in un programma televisivo rende un giornalista un lavoratore subordinato?
No. La sentenza chiarisce che il coinvolgimento, anche stabile, in un programma non è di per sé sufficiente a stabilire la subordinazione. È indispensabile provare l’esistenza di ‘eterodirezione’, ovvero che il giornalista sia soggetto a ordini e al controllo da parte della direzione aziendale. In assenza di tale prova, il rapporto rimane autonomo.

Che valore ha il contratto scritto nel qualificare la natura del rapporto di lavoro?
Il contratto scritto ha un valore fondamentale. La Corte di Cassazione afferma che la qualificazione del rapporto come autonomo, data dalle parti nel contratto, non può essere superata se non attraverso la prova concreta di circostanze fattuali che dimostrino l’esistenza di un reale vincolo di subordinazione, come l’esercizio del potere direttivo e disciplinare da parte del datore di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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