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Lavori socialmente utili: onere della prova del lavoratore

Un lavoratore impiegato per anni in un progetto di lavori socialmente utili per un ente comunale ha richiesto il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei gradi precedenti. La Corte ha ribadito che l’onere della prova grava sul lavoratore, il quale deve dimostrare una radicale difformità tra le mansioni effettivamente svolte e quelle previste dal progetto, non essendo sufficiente la mera durata del rapporto.

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Pubblicato il 27 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Lavori Socialmente Utili: Quando si ha Diritto al Riconoscimento del Lavoro Subordinato?

La questione dei lavori socialmente utili (LSU) e la loro potenziale trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato è da tempo al centro del dibattito giuslavoristico. Un’ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: l’onere della prova a carico del lavoratore. La Corte ha stabilito che, per ottenere il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, non è sufficiente la lunga durata della prestazione, ma è necessario dimostrare una radicale difformità tra le mansioni svolte e quelle previste dal progetto originario. Analizziamo insieme la decisione.

I Fatti di Causa

Un lavoratore, impiegato dal 1997 in un progetto di lavori socialmente utili presso un Comune, si rivolgeva al Tribunale per chiedere il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato. A suo dire, l’impiego si era protratto per anni in violazione della normativa sui lavori socialmente utili, configurandosi di fatto come un normale rapporto di lavoro alle dipendenze dell’ente. Il lavoratore chiedeva, di conseguenza, il pagamento delle differenze retributive, dei contributi previdenziali e del trattamento di fine rapporto.

La sua domanda veniva rigettata sia in primo grado che in appello. La Corte d’Appello, in particolare, sottolineava che il lavoratore non aveva adeguatamente provato lo “sviamento” dal progetto originario. Mancava, infatti, un’allegazione specifica dei progetti e delle relative proroghe, nonché una dimostrazione puntuale delle mansioni diverse che sarebbero state svolte. Anzi, durante l’interrogatorio formale, il lavoratore stesso aveva ammesso di aver svolto le attività previste dalla delibera comunale che aveva approvato il progetto LSU.

La Decisione della Corte: l’Onere della Prova nei Lavori Socialmente Utili

La Corte di Cassazione, investita del caso, ha dichiarato il ricorso del lavoratore inammissibile, confermando la linea dei giudici di merito. Il punto centrale della decisione risiede nell’applicazione rigorosa del principio dell’onere della prova (art. 2697 c.c.).

I giudici hanno chiarito che, sebbene la normativa non escluda in assoluto la possibilità di una conversione di fatto, questa avviene solo in condizioni molto specifiche. Non è la durata, anche se di molti anni, a trasformare un progetto LSU in un rapporto di lavoro subordinato, ma la radicale difformità tra la prestazione resa e quella prevista dal progetto.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha articolato il suo ragionamento su alcuni pilastri fondamentali. In primo luogo, ha ribadito la natura giuridica dei lavori socialmente utili: non un rapporto di lavoro, ma un “rapporto speciale” a carattere assistenziale e formativo, volto a riqualificare e ricollocare personale disoccupato. La legge stessa (d.lgs. n. 468/1997) esclude che l’utilizzo di LSU determini l’instaurazione di un rapporto di lavoro.

L’eccezione a questa regola si verifica solo quando l’impiego del lavoratore si discosta in modo sostanziale e radicale dal progetto approvato, configurando un inserimento stabile nell’organizzazione dell’ente pubblico. In questo scenario, può trovare applicazione la tutela prevista dall’art. 2126 c.c. (prestazione di fatto con violazione di legge).

Tuttavia, la ratio decidendi della sentenza impugnata, non contestata efficacemente dal ricorrente, era proprio la totale assenza di prova. Il lavoratore si era limitato ad una generica allegazione di aver svolto mansioni diverse, senza però produrre in giudizio i progetti, le proroghe e senza specificare in cosa consistesse la difformità. Questo difetto di allegazione e prova, secondo la Corte, rende impossibile per il giudice verificare l’effettivo sviamento del rapporto.

La Corte ha inoltre sottolineato come le dichiarazioni confessorie rese dal lavoratore in appello, che confermavano la conformità delle sue attività al progetto iniziale, costituissero un ulteriore elemento a sfavore della sua tesi. Infine, la domanda di risarcimento per l’eccessiva durata del rapporto è stata considerata inammissibile perché proposta per la prima volta in appello, violando così il principio del divieto di domande nuove.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre un’indicazione pratica molto chiara per i lavoratori impiegati in progetti di lavori socialmente utili. Chi intende agire in giudizio per il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato deve essere consapevole che su di lui grava un onere probatorio particolarmente stringente. È indispensabile non solo affermare, ma documentare e provare in modo specifico e dettagliato:
1. Il contenuto esatto del progetto LSU e delle sue eventuali proroghe.
2. Le mansioni e i compiti effettivamente svolti quotidianamente.
3. La radicale e sostanziale differenza tra i due punti precedenti, che dimostri un inserimento stabile e organico nell’apparato della Pubblica Amministrazione.

In assenza di tale corredo probatorio, la semplice lunga durata del servizio non sarà sufficiente a superare la presunzione di legittimità del rapporto di LSU, e la domanda del lavoratore sarà destinata al rigetto.

Quando un rapporto di lavori socialmente utili si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato?
Secondo l’ordinanza, la trasformazione avviene solo quando la prestazione lavorativa resa presenti una “radicale difformità” rispetto al progetto approvato, tale da configurare un inserimento stabile e organico del lavoratore nell’organizzazione dell’ente pubblico, assimilabile a un normale impiego.

Chi deve provare la differenza tra le mansioni svolte e quelle previste dal progetto di lavori socialmente utili?
L’onere della prova ricade interamente sul lavoratore. Egli deve allegare e provare in modo specifico il contenuto dei progetti e delle relative proroghe, e dimostrare puntualmente in che modo le attività concretamente espletate se ne siano discostate.

È sufficiente aver lavorato per molti anni in un progetto LSU per ottenere il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato?
No. La sentenza chiarisce che la lunga durata della prestazione, da sola, non è un elemento sufficiente a determinare la trasformazione del rapporto. L’elemento decisivo è la prova dello sviamento sostanziale del rapporto rispetto alle finalità e ai contenuti del progetto originario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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