Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19257 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19257 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18373-2022 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– resistente con mandato –
nonché contro
Oggetto
Comune di Labro
-Lavoratori socialmente utili.
R.G.N. 18373/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 01/07/2025
CC
REGIONE LAZIO, MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1219/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/04/2022 R.G.N. 2639/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME proponeva ricorso al Tribunale di Rieti, con il quale, premesso di aver svolto sin dal 9.1.1997 attività lavorativa in favore del Comune di Labro nell’ambito di un progetto socialmente utile attivato dall’ente, agiva in giudizio nei confronti del predetto Comune, della Regione Lazio, del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’INPS, per sentir accogliere le seguenti conclusioni:
‘ accertare e dichiarare che l’impiego della parte ricorrente presso l’Ente locale resistente è avvenuto in oggettiva violazione della normativa sui lavori socialmente utili, instaurando un rapporto di lavoro di fatto protrattosi dal 9.1.1997 sino ad oggi; -accertare e dichiarare il diritto della parte ricorrente a percepire, in relazione a tutta la durata del rapporto, la differenza tra quanto effettivamente ricevuto a titolo di sussidio/assegno e il trattamento economico previsto per i dipendenti dell’Ente locale assegnati alle medesime mansioni (categoria B, o in subordine quella ritenuta di giustizia), comprensivo del trattamento di fine rapporto, come da conteggio che si allega al presente ricorso;
– accertare e dichiarare il diritto della parte ricorrente ad ottenere il versamento da parte delle Amministrazioni resistenti in favore dell’INPS di tutti i contributi previdenziali maturati nel corso del rapporto di lavoro o, in subordine, accertare e dichiarare in ogni caso il diritto della parte ricorrente ad ottenere dalle Amministrazioni resistenti la costituzione presso l’INPS di una rendita vitalizia reversibile di importo pari ai contributi omessi;
– condannare le Amministrazioni resistenti, in solido tra di loro, al pagamento delle differenze retributive, pari a complessivi € 73.491,11, e del trattamento di fine servizio, pari a € 4.886,66, come da conteggi allegati, oltre rivalutazione ed interessi come per legge, o alle maggiori o minori somme ritenute di giustizia; – condannare le Amministrazioni resistenti, in solido tra di loro, al versamento in favore dell’INPS dei contributi previdenziali omessi, come da conteggi allegati o, in subordine, condannare le Amministrazioni resistenti, in solido tra di loro, alla costituzione della rendita vitalizia sopra indicata, vinte le spese di lite da distrarsi’.
La Corte di appello di Roma, confermando la decisione di prime cure, rigettava ogni domanda.
Evidenziava che, perché possa trovare applicazione la tutela di cui al comma 2 dell’art. 2126 c.c. (unica invocata dalla parte ricorrente), deve necessariamente sussistere uno sviamento dal progetto originario che deve aver condotto ad uno stabile inserimento nell’organizzazione della P.A. e, nello specifico, nell’organizzazione del Comune utilizzatore ed in uno dei servizi istituzionali di quest’ultimo, atteggiandosi, in fatto, il rapporto, quale rapporto di pubblico impiego.
Sottolineava, invece, che l’istruttoria espletata – come già osservato dal giudice di prime cure – non aveva consentito
affatto di raggiungere la prova di detto sviamento dal progetto originario e del conseguente stabile incardinamento nell’ente pubblico, presupposti per l’accoglimento della domanda.
Al riguardo la Corte di appello rimarcava che, prima ancora ed oltre che la prova, sarebbe occorsa da parte del lavoratore socialmente utile l’allegazione dei progetti e delle proroghe, in relazione ai quali si sarebbe dovuta verificare la difformità, laddove il ricorrente ex art. 414 c.p.c. si era limitato ad una del tutto generica allegazione di aver svolto mansioni diverse rispetto a quelle oggetto del programma di LSU, senza alcuna altra puntuale specificazione, né temporale, né delle dedotte modalità di sviamento.
La sentenza qui impugnata negava, in ogni caso, che dall’espletata istruttoria testimoniale fossero ricavabili elementi utili alle tesi del lavoratore socialmente utile.
A tali argomenti la Corte territoriale aggiungeva la valorizzazione degli esiti dell’interrogatorio formale, con valore confessorio, ricordando come nel corso di esso il lavoratore aveva ammesso di aver svolto le attività indicate nel progetto di inserimento LSU approvato dal Comune di Labro con delibera di G.M. n. 104 del 1996.
Conclusivamente, confermando sul punto la decisione del giudice di prime cure, la sentenza di appello rigettava anche la domanda di risarcimento del ‘danno comunitario’ da abusiva reiterazione di rapporti, osservando che nel ricorso ex art. 414 c.p.c. detta domanda non era stata proposta, sicché era da considerarsi nuova.
La Corte territoriale evidenziava al riguardo che la tutela azionata, era incentrata, previo riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, sulla richiesta di condanna al pagamento di differenze retributive asseritamente conseguenti
1.
a tale accertamento. Ne conseguiva l’irrilevanza e la tardività di tutte le questioni sollevate per la prima volta in appello relative alla dedotta illegittimità delle proroghe.
Ricorreva il lavoratore indicato in epigrafe con due motivi, depositando altresì memoria ex art. 380. bis .1 c.p.c.
Resisteva il Comune di Labro.
Le altre parti restavano intimate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c..: del d.l. n. 366 del 1987, conv. con modif. con la l. n. 452 del 1987; del d.m. del 18 maggio del 1988; dell’art. 14 del d.l. n. 299 del 1994, conv. con l. n. 451 del 1994; del d.l. n. 510 del 1996, conv. con l. n. 608 del 1996; del d.lgs. n. 468 del 1997; della l. n. 196 del 1997; del d.lgs. n. 81 del 2000; della l. n. 448 del 2001; della l. n. 144 del 1999; della l. n. 388 del 2000; del d.lgs. n. 150 del 2015; di ogni altra norma e principio in materia di utilizzo degli LSU con abusivo inserimento di fatto degli stessi nell’ambito dell’organizzazione pubblicistica dell’ente per il quale prestano servizio; dell’art. 2126 c.c. per aver la Corte di Appello di Roma escluso il superamento del limite massimo di durata della prestazione quale LSU, laddove, nel caso di specie, i rapporti erano stati rinnovati continuativamente per oltre diciassette anni.
Parte ricorrente sostiene che, nel rigettare il motivo di appello connesso alla violazione del limite massimo di durata del progetto, la Corte territoriale ha affermato erroneamente che dalla lettura sistematica della disciplina sul lavoro socialmente utile emerge l’assenza di limiti temporali per l’impiego degli LSU,
autorizzando le norme di riferimento proroghe illimitate del progetto originale.
Attraverso il richiamo alle norme indicate in rubrica, conclusivamente, denunzia l’erroneità della decisione impugnata, nella parte in cui non ha censurato la violazione dei limiti di durata massima dei lavori socialmente utili.
1.1. Quanto al primo motivo, osserva brevemente il Collegio che la sentenza qui impugnata ha rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta con riguardo al dedotto superamento del termine di trentasei mesi, sulla base del rilievo che detta domanda e le allegazioni ad essa relative erano nuove (cfr. pagg. 8-9 della sentenza di appello punti da 5 a 6.7.).
Il mezzo è, conseguentemente, inammissibile perché non si confronta con il decisum .
La Corte territoriale, infatti, a differenza di quanto dedotto nella censura, non ha affatto affrontato il tema dell’illegittimità o meno del superamento del termine dei trentasei mesi nei rapporti di lavoro degli LSU, limitandosi a rimarcare la novità delle questioni proposte che non ne consentivano la valutazione e l’esame.
Con detto nucleo motivazionale il mezzo non si confronta affatto.
Né il motivo, peraltro nemmeno proposto attraverso il canale di accesso di cui all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., contesta con efficacia e nel rispetto del principio di autosufficienza sub specie di specificità ex art. 366 c.p.c., l’affermazione della sentenza di appello inerente la novità della questione.
Del pari inammissibili tutte le richieste di rivalutazione delle risultanze istruttorie, in primis , perché irrilevanti alla luce dell’assorbente considerazione innanzi svolta e, in secondo luogo, in ragione dell’impossibilità – in termini generali – di
2.
trasformare surrettiziamente il giudizio di legittimità in un terzo grado di merito.
Con il secondo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., viene lamentata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2126 c.c. per aver la sentenza impugnata escluso l’applicabilità di detta norma alle ipotesi in cui sussiste una difformità nell’utilizzo degli LSU, determinata dallo stabile inserimento del lavoratore nell’organizzazione dell’ente e nella sua adibizione a servizi rientranti nei fini istituzionali dell’amministrazione.
Parte ricorrente evidenzia che la sentenza è viziata nella parte in cui sostiene che per l’integrazione del requisito della difformità della prestazione svolta rispetto al progetto e, conseguentemente, per l’operatività dei meccanismi di tutela previsti dalla predetta disposizione, non è sufficiente l’accertamento dello stabile inserimento del lavoratore nell’organizzazione dell’ente e la sua adibizione a servizi rientranti nei fini istituzionali, ma è necessaria una effettiva diversità di mansioni rispetto a quelle indicate nel progetto.
2.2. Del pari il secondo motivo non può essere accolto.
La Corte territoriale, infatti, ha rigettato la domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive pretese ex art. 2126 c.c., oltre che in ragione delle dichiarazioni dal contenuto confessorio rese dal lavoratore socialmente utile (che confermava di aver svolto attività in conformità del progetto), ancora a monte, in ragione del completo difetto di allegazione e prova dei progetti e delle relative proroghe e quindi dell’impossibilità di ogni verifica relativa all’eventuale difformità delle mansioni e dei compiti espletati rispetto a quelli di cui ai progetti (cfr. pagg. 5 in fondo e 6 della sentenza impugnata).
2.3. Tanto premesso quanto alle ragioni del rigetto da parte della Corte territoriale, giova anche dar conto degli approdi della giurisprudenza di questa Corte sulla questione qui in esame, approdi integralmente condivisi e fatti propri da questo Collegio anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.
Sul punto va rammentato che (cfr. Cass. n. 5896/2020) l’occupazione temporanea in lavori socialmente utili non integra un rapporto di lavoro subordinato, in quanto, ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 468 del 1997, poi riprodotto dall’art. 4 del d.lgs. 28 febbraio 2000, n. 81, l’utilizzazione di tali lavoratori non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro, ma realizza un rapporto speciale che coinvolge più soggetti (oltre al lavoratore, l’amministrazione pubblica beneficiaria della prestazione e l’ente previdenziale erogatore dell’assegno o di altro trattamento previdenziale) di matrice assistenziale e con una finalità formativa diretta alla riqualificazione del personale per una possibile ricollocazione (Cass. n. 2887 del 2008, n. 2605 del 2013, n. 22287 del 2014, n 6155/2018). Tale disciplina regola l’ipotesi, riconducibile al particolare istituto contemplato dal legislatore per sopperire allo stato di disoccupazione del lavoratore, di conformità della prestazione di lavoro al progetto. Soltanto nel caso in cui la prestazione resa presenti di fatto una radicale difformità dal progetto, il rapporto intercorso come subordinato resta regolato dall’art. 2126 c.c. (cfr. Cass. n. 6914 del 2015, nn. 22287 e 21311 del 2014, n. 11248 del 2012 e n. 10759 del 2009; Cass. n. 15071 del 2015 e da Cass. nn. 13472 e 13596 del 2016; più recentemente, Cass. nn. 17101, 17012 e 17014 del 2017, Cass. n. 20986 del 2017).
In sintesi, dall’esame della giurisprudenza di legittimità innanzi richiamata emerge con evidenza che è la difformità dal progetto
che può determinare la riconduzione del rapporto al paradigma normativo di cui all’art. 2126 c.c.
E non vi è dubbio che, al fine di verificare la difformità delle mansioni/funzioni espletate dal lavoratore socialmente utile rispetto ai progetti, essi devono dallo stesso essere allegati e provati.
Ebbene, la motivazione di rigetto della domanda ha quale ratio decidendi principale proprio la mancata allegazione (prima ancora che prova) da parte del lavoratore (cfr. pag. 6 della sentenza), su cui evidentemente detto onere incombeva ai sensi dell’art. 2697 c.c., dei progetti e delle relative proroghe.
Detto difetto di allegazione e prova – è di tutta evidenza – rende impossibile la valutazione della difformità dei compiti e mansioni dell’LSU rispetto al progetto originario e quindi anche lo stabile inserimento nella compagine della P.A.
Del pari la seconda censura, allora, non si confronta allora con il decisum ed è conseguentemente inammissibile.
A tanto va aggiunto il contenuto confessorio della dichiarazione del lavoratore che, secondo quanto emerge dalla sentenza di appello, ha confermato la conformità dei compiti svolti ai progetti di cui alla delibera di G.M. n. 104 del 1996 (sentenza di appello pag. 6).
Conclusivamente il ricorso è inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo nei rapporti con il Comune di Labro; nulla per le spese nei confronti delle restanti parti che non hanno svolto attività difensiva.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P .R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento in favore del Comune di Labro delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi, €. 3.900 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 1.7.2025