Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13283 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13283 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 12560-2022 proposto da:
NOME COGNOME , domiciliato in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE, soggetta all’attività di direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4987/2021 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 02/11/2021 R.G.N. 2239/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/03/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 19/03/2024
CC
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Napoli, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado con cui era stata respinta la domanda di NOME COGNOME, dipendente di RAGIONE_SOCIALE con mansioni di operaio specializzato della manutenzione, volta ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale derivante dal mancato lavaggio di indumenti quali Dispositivi di Protezione Individuale;
la Corte territoriale – in estrema sintesi – richiamati precedenti di merito ai quali ha inteso uniformarsi (tra cui la sentenza n. 515 del 2018 della Corte di Appello di Salerno), ha ritenuto che l’inadempimento dell’azienda all’obbligo di manutenzione d egli indumenti forniti al personale ‘non autorizza alcuna automatica conclusione nel senso della responsabilità patrimoniale della datrice di lavoro’, occorrendo ‘il positivo accertamento di un pregiudizio concretamente subito dall’attore quale conseguen za dell’accertato illecito contrattuale del datore’; ha quindi considerato generiche le allegazioni fornite in proposito dal lavoratore, inammissibile la prova orale richiesta e insufficiente la documentazione versata in atti;
per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con due motivi, cui ha resistito l’intimata società con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memorie; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati;
1.1. col primo si denuncia la violazione e falsa applicazione di legge ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 77 del d.lgs. n. 81/2008 nonché dell’art. 2087 c.c., criticando diffusamente la sentenza impugnata per aver negato la pr etesa attorea senza considerare l’obbligo della datrice di lavoro ‘di mantenimento in stato di efficienza degli indumenti di lavoro inquadrabili nella categoria di D.P.I., ivi compreso l’obbligo di igienizzazione centralizzata o della predisposizione di una procedura periodica di lavaggio come scaturente proprio dal generale dovere del datore di lavoro di adottare tutte le misure e le cautele idonee a preservare l’integrità psicofisica del lavoratore’;
1.2. con il secondo mezzo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c. per avere la Corte territoriale negato il risarcimento del danno nonostante il lavoratore avesse allegato, senza contestazioni, ‘di essersi occupato della manutenzione con interventi programmati o straordinari su binari, traverse, ponti, impianti elettrici ed in genere sul materiale rotabile, per cui è stato obbligato ad indossare costantemente i dispositivi di protezione individuale idonei a salvaguardare la propria incolumità e a prevenire rischi per la sicurezza quali giubbotti ad alta visibilità, guanti sia isolanti che da manutenzione, scarpe antiinfortunistiche, caschi, cinture, pantaloni, gilet e tute’; deduce che la medesima Corte napoletana, in casi analoghi, aveva ritenuto che ‘ben potesse provvedersi alla liquidazione del danno in via equitativa considerata, , l’impossibilità di stabilirne il preciso ammontare considerato che lo stesso avveniva in ambito domestico o, al più, in lavanderia;
i motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per connessione, devono trovare accoglimento, nei limiti di ammissibilità delle censure proposte, che sono fondate secondo quanto già statuito da questa Corte in fattispecie
analoga (v. Cass. n. 12710 del 2023 – resa sulla sentenza n. 515/2018 della Corte di Appello di Salerno richiamata dalla pronuncia qui impugnata – alla quale si rinvia per ogni ulteriore aspetto anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.; v. pure Cass. n. 32865 del 2021 e Cass. n. 11069 del 2023); va premesso che, in conformità con l’art. 2087 cc, norma di chiusura del sistema di prevenzione degli infortuni e malattie professionali, suscettibile di interpretazione estensiva a ragione sia del rilevo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto a fornire i Dispositivi di Protezione Individuale ai dipendenti e a garantirne l’idoneità ai fini di prevenirne l’insorgenza e il diffon dersi di infezioni provvedendo al relativo lavaggio, che è indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza (tra le altre: Cass. n. 16749 del 2019);
in questa ottica, il contenuto di tale obbligo di sicurezza richiede che nei confronti del datore di lavoro sia ravvisabile una condotta commissiva o omissiva, sorretta da un elemento soggettivo, almeno colposo, quale il difetto di diligenza nella predisposizione di misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore (Cass. n. 15112 del 2020; Cass. n. 26495 del 2018);
ne consegue che il lavoratore, quale creditore dell’obbligo di sicurezza, deve allegare la fonte da cui scaturisce siffatto obbligo nonché la eventuale scadenza del termine e l’inadempimento; il datore di lavoro ha, invece, l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (tra le altre: Cass. n. 26945 del 2018; Cass. n. 2209 del 2016);
nella fattispecie, non doveva pertanto essere il lavoratore a dovere allegare i fatti in ordine alla dimostrazione
dell’effettivo utilizzo del D.P.I. per tutta la esecuzione del rapporto di lavoro ovvero circa le modalità, frequenza e numero dei lavaggi, ma una volta ritenuto ‘l’inadempimento dell’azienda all’obbligo di manutenzione degli indumenti forniti al personale’ , come opinato dai giudici di seconde cure, avrebbe dovuto essere il datore di lavoro ad allegare e dimostrare i fatti impeditivi della richiesta risarcitoria fondati sul non uso o sulla ininfluenza dei mancati lavaggi (in termini Cass. n. 12710/2023 cit., che richiama Cass. n. 9856 del 2002);
una volta che ‘il danno era sicuramente certo nella sua esistenza ontologica perché la società non aveva dimostrato di avere adempiuto ai lavaggi’, lo stesso poteva essere determinato in base a una liquidazione equitativa (in termini, Cass. n. 11069/2023 cit.);
3. pertanto il ricorso deve essere accolto nei sensi espressi, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato in dispositivo, che provvederà ad un nuovo esame e si uniformerà a quanto statuito e ai precedenti richiamati, statuendo anche sulle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure ritenute fondate e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 19 marzo