Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8152 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8152 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 30346-2020 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALEAZIENDA RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1037/2020 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 31/07/2020 R.G.N. 1006/2016;
Oggetto
R.G.N. 30346/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 11/12/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
La Corte di appello di Bari ha confermato il rigetto della domanda degli odierni ricorrenti – tutti dipendenti a tempo indeterminato di RAGIONE_SOCIALE con qualifica di operaio e mansioni di addetti al servizio di nettezza urbana e extraurbana – i quali, sul presupposto della natura di dispositivi individuali di protezione delle divise che erano tenuti a indossare, avevano chiesto la condanna della convenuta RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale scaturito dall’inadempimento datoriale a quanto stabilito dall’art. 43 comma 4 l. n. 626/1994 e dalla legge n. 123/2007 che poneva a carico del soggetto datore l’obbligo di assicurare le condizioni igieniche di tali dispositivi di protezione.
Per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso i lavoratori in epigrafe indicati sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce error in procedendo della sentenza impugnata per violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. e dell’art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c.; denunzia che la sentenza impugnata aveva mostrato di individuare correttamente il danno oggetto della pretesa risarcitoria, consistente nell’avere i ricorrenti dovuto provvedere personalmente e a proprie spese a portare le divise presso la tintoria di talché, almeno per tale profilo, in contraddizione con quanto ritenuto dal giudice di appello, la domanda risultava sorretta da adeguata allegazione del pregiudizio patrimoniale
sofferto il cui ristoro era quantificato in misura pari ad un’ora di retribuzione settimanale per lavoro straordinario.
Con il secondo motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo rappresentato dal lavaggio degli indumenti di lavoro eseguito dai ricorrenti a propria cura e spese, circostanza pure richiamata nella sentenza impugnata; tale fatto, avente natura eziologica rispetto al danno denunziato, era stato del tutto trascurato dalla sentenza impugnata laddove era pervenuta ad una valutazione di genericità dell’allegazione formulata in ricorso.
C on il terzo motivo deduce violazione dell’art. 64 c.c.n.l. Federambiente 17.6.2011 e degli artt. 1218, 2697, 2727, 2729 c. c. e dell’art. 116 c.p.c., censurando la violazione delle norme che governano l’onere della prova e la applicazione della presunzione; rappresenta che a tal fine il fatto noto e non contestato era costituito dall’esigenza igienica -pacifica – del lavaggio della divisa, al fine della protezione dei lavoratori.
I motivi, esaminati congiuntamente per connessione, sono meritevoli di accoglimento per quanto di ragione.
4.1. La sentenza impugnata, dato atto che il ricorso contiene l’esatta indicazione dell’oggetto della domanda e delle ragioni di fatto e di diritto ad essa sottese, ha ritenuto che i lavoratori non avessero adeguatamente allegato il danno asseritamente patito per effetto dell’inadempimento datoriale; in particolare, quanto al danno non patrimoniale non era stato dedotto alcunché in punto di pregiudizio esistenziale o di danno biologico riveniente dalla violazione dell’obbligo datoriale di ‘manutenzione’ d ei dispositivi di protezione individuale; quanto al danno patrimoniale, la domanda si era limitata ad allegare che <> allegazione estremamente generica inadeguata a dare contezza del danno economico patito; il giudice di appello ha inoltre osservato che non vi erano i presupposti per la valutazione equitativa la quale richiede il concreto accertamento della ontologica esistenza di un danno risarcibile ed il preventivo accertamento che l’impossibilità o l’estrema difficoltà di una stima stessa del danno dipenda da fattori oggettivi e non dalla negligenza della parte danneggiata nell’allegarne e dimostrarne gli elementi dai quali desumerne l’entità; nell’atto introduttivo mancava del tutto l’esposizione del danno concretamente patito dai lavoratori e della oggettiva impossibilità di provarlo; in particolare non veniva chiarito in base a quale ragione l’asserito pregiudizio avrebbe dovuto essere commisurato alla prestazione di un’ora di lavoro straordinario alla settimana; quanto alle spese oggettive di lavanderia i ricorrenti avevano omessa qualsiasi documentazione idonea a riscontrare, sia pure entro limiti di ragionevolezza, gli esborsi che sarebbero stati sostenuti mentre del tutto inidoneo si rivelava il capitolo di prova articolato, non potendo essere esigibile né tantomeno credibile che i tre testimoni indicati avessero potuto deporre su circostanze risalenti nel tempo.
4.2. Tanto premesso, occorre muovere dal consolidato indirizzo di questa Corte (v. tra le altre, Cass. n. 10378/2023 e giurisprudenza ivi citata, nonché Cass. n. 16749/2019) secondo il quale in tema di tutela delle condizioni di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, la nozione legale di Dispositivi di Protezione Individuale non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma va riferita a qualsiasi attrezzatura,
complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore, in conformità con l’art. 2087 c.c.; ne consegue la configurabilità a carico del datore di lavoro di un obbligo di continua fornitura e di mantenimento in stato di efficienza degli indumenti di lavoro inquadrabili nella categoria dei D.P.I.; con la conseguenza che i lavoratori hanno diritto al rimborso delle spese sostenute per la pulizia degli indumenti di protezione forniti dal datore di lavoro (Cass. n. 18674/2015, n. 8042/2022);.questa Corte ha inoltre più volte affermato, anche sotto il vigore del D. Lgs. n. 626 del 1994, come in tema di tutela delle condizioni di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, ed in particolare di fornitura ai lavoratori di indumenti, alla stregua della finalità della disciplina normativa apprestata dal legislatore, per “indumenti di lavoro specifici” si debbono intendere le divise o gli abiti aventi la funzione di tutelare l’integrità fisica del lavoratore nonché quegli altri indumenti, essenziali in relazione a specifiche e peculiari funzioni, volti ad eliminare o quanto meno a ridurre i rischi ad esse connessi, oppure a migliorare le condizioni igieniche in cui viene a trovarsi il lavoratore nello svolgimento delle sue incombenze, onde scongiurare il rischio potenziale di contrarre malattie; consegue che, essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza, esso non può non essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario dell’obbligo previsto dalle citate disposizioni (cfr. Cass. n. 11139/1998, n. 22929/2005, n. 14712/2006, n. 22049/2006, n. 18573/2007, n. 11071/2008, n. 11729/2009, n. 23314/2010, n. 16495 del 2014, n. 8585 del 2015).
4.3. La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi richiamati; pacifico, infatti, l’inadempimento del soggetto datore di lavoro all’obbligo legale
di manutenere gli indumenti configuranti dispositivi individuali di protezione, con conseguente necessità per i lavoratori di provvedere in proprio, alla concreta determinazione del danno patrimoniale legato all’incombente , non era logicamente ostativa la ritenuta incongruità del parametro di riferimento indicato nella originaria domanda -corrispondente alla retribuzione di un’ora di lavoro straordinario settimanale -avendo comunque i lavoratori articolato prova orale relativa alle spese affrontate, prova della quale denunziano la ingiusta negazione. Invero, l’ammissione della istanza istruttoria non poteva, come viceversa avvenuto, essere negata sulla base di una aprioristica ed apodittica valutazione di non credibilità ed esigibilità della eventuale deposizione resa dai testi indicati, valutazione che invece sarebbe, in ipotesi, potuta scaturire solo dal concreto espletamento della prova il cui esito e le cui acquisizioni, ove ritenute attendibili, avrebbero dovuto essere confrontate con il complesso delle emergenze in atti al fine di verifica della entità del danno patrimoniale.
5. In base alle considerazioni che precedono, assorbito ogni ulteriore profilo, la sentenza impugnata deve essere quindi cassata con rinvio al giudice di secondo grado anche ai fini della determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione e rinvia, anche ai fini del regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Bari in diversa composizione.
Roma, così deciso nella camera di consiglio dell’11 dicembre 2024
Dott.ssa NOME COGNOME