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Lavaggio divise lavoro: spetta al datore di lavoro?

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’obbligo del lavaggio divise lavoro spetta al datore quando gli indumenti sono considerati Dispositivi di Protezione Individuale (DPI). Nel caso esaminato, alcuni operatori ecologici avevano chiesto il rimborso per le spese di pulizia delle loro uniformi. La Corte ha annullato la precedente sentenza di rigetto, affermando che il datore di lavoro è tenuto a garantire le condizioni igieniche dei DPI, e quindi a sostenere i costi di manutenzione. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione del danno patrimoniale subito dai lavoratori.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Lavaggio Divise Lavoro: Un Obbligo del Datore di Lavoro Secondo la Cassazione

L’obbligo del lavaggio divise lavoro è una questione spesso dibattuta nei rapporti tra dipendenti e aziende. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti fondamentali, stabilendo che quando le uniformi costituiscono Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), le spese per la loro pulizia e manutenzione sono a carico del datore di lavoro. Questa decisione rafforza la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, delineando con precisione le responsabilità aziendali.

Il Contesto del Caso: La Richiesta dei Lavoratori

La vicenda ha origine dalla richiesta di un gruppo di dipendenti di un’azienda municipalizzata di igiene urbana. Questi lavoratori, addetti alla nettezza urbana ed extraurbana, erano tenuti a indossare specifiche divise fornite dall’azienda. Sostenendo che tali indumenti avessero la natura di Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), avevano chiesto in tribunale la condanna dell’azienda al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale. Il danno, secondo i lavoratori, derivava dall’inadempimento dell’azienda all’obbligo di garantire le condizioni igieniche delle divise, costringendoli a provvedere personalmente e a proprie spese al loro lavaggio.

La Decisione della Corte d’Appello

Inizialmente, la Corte d’Appello aveva respinto la domanda dei lavoratori. La motivazione principale del rigetto si basava sulla presunta genericità delle allegazioni. Secondo i giudici di secondo grado, i lavoratori non avevano adeguatamente specificato e provato il danno subito. In particolare, la richiesta di risarcimento, quantificata in un’ora di straordinario settimanale, era stata ritenuta una pretesa vaga e non supportata da prove concrete, come documentazione delle spese sostenute (es. scontrini della lavanderia). La Corte aveva inoltre ritenuto inammissibile la prova per testimoni, giudicandola a priori poco credibile per fatti risalenti nel tempo.

Il Principio sul Lavaggio Divise Lavoro secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha ribaltato completamente la decisione d’appello, accogliendo i motivi di ricorso dei lavoratori. I giudici supremi hanno riaffermato un principio consolidato: gli indumenti di lavoro che non hanno una mera funzione identitaria, ma che servono a proteggere la salute e la sicurezza del lavoratore da rischi specifici, devono essere qualificati come DPI. Questo include le divise che tutelano l’integrità fisica o migliorano le condizioni igieniche, scongiurando il rischio di contrarre malattie. Di conseguenza, il lavaggio divise lavoro non è una semplice questione di decoro, ma una parte essenziale della manutenzione obbligatoria dei DPI, che per legge spetta interamente al datore di lavoro.

Onere della Prova e la Spesa per il Lavaggio Divise Lavoro

Un punto cruciale della sentenza riguarda l’onere della prova. La Cassazione ha criticato la Corte d’Appello per aver negato l’ammissione della prova testimoniale richiesta dai lavoratori. Secondo la Suprema Corte, non si può negare a priori la possibilità di provare un fatto sulla base di una presunta non credibilità dei testimoni. Tale valutazione può essere fatta solo dopo aver ascoltato le testimonianze. I lavoratori, quindi, avevano il diritto di tentare di dimostrare le spese sostenute per il lavaggio divise lavoro attraverso i testimoni, e la negazione di questa possibilità ha costituito un errore procedurale (error in procedendo).

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su una solida base normativa e giurisprudenziale. Il riferimento principale è l’articolo 2087 del Codice Civile, che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Questo obbligo generale si concretizza nelle normative specifiche sulla sicurezza, come il D.Lgs. 626/1994 (vigente all’epoca dei fatti). La giurisprudenza costante della stessa Corte ha più volte chiarito che rientrano tra i DPI anche indumenti volti a ridurre rischi o a migliorare le condizioni igieniche. Essendo il lavaggio indispensabile per mantenere l’efficienza protettiva e igienica di tali indumenti, esso non può che essere a carico del datore di lavoro. La richiesta di risarcimento dei lavoratori, pur se formulata in modo non perfettamente congruo (il riferimento all’ora di straordinario), non poteva essere respinta per genericità, poiché il danno derivante dalla spesa per il lavaggio era stato chiaramente allegato. Era compito del giudice, una volta ammessa la prova, determinare l’esatto ammontare del danno, anche in via equitativa se necessario.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un’importante conferma dei diritti dei lavoratori in materia di salute e sicurezza. Stabilisce in modo inequivocabile che il costo per il lavaggio delle divise, quando queste sono DPI, è un onere aziendale. I datori di lavoro non possono scaricare sui dipendenti i costi di manutenzione degli strumenti di protezione che sono obbligati a fornire. Dal punto di vista pratico, questa decisione implica che le aziende devono organizzare un servizio di pulizia interno o esterno, oppure rimborsare i lavoratori per le spese documentate o provate in altro modo, inclusa la testimonianza. Per i lavoratori, si tratta del riconoscimento del diritto a vedersi ristorati di una spesa che non compete loro, rafforzando il principio che la sicurezza sul lavoro è un costo che deve gravare interamente sull’impresa.

Le divise da lavoro sono sempre considerate Dispositivi di Protezione Individuale (DPI)?
No, non sempre. Lo diventano quando la loro funzione non è solo quella di rendere riconoscibile il lavoratore, ma anche quella di proteggerlo da rischi specifici per la salute e la sicurezza, o di migliorare le condizioni igieniche per prevenire malattie.

A chi spetta pagare il lavaggio delle divise da lavoro quando sono qualificate come DPI?
Secondo la Corte di Cassazione, il costo del lavaggio spetta interamente al datore di lavoro. Tale spesa rientra nell’obbligo di manutenzione e mantenimento in stato di efficienza dei DPI, previsto dalla legge a carico dell’azienda.

Come può un lavoratore dimostrare di aver sostenuto le spese per il lavaggio se non ha conservato gli scontrini?
Il lavoratore può utilizzare altri mezzi di prova, come la testimonianza di altre persone. La Corte ha chiarito che il giudice non può rifiutare a priori di ascoltare i testimoni basandosi su una valutazione preventiva di non credibilità, ma deve ammettere la prova e valutarla nel merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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