Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10413 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10413 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21949-2019 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME -CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA PER GLI INGEGNERI ED ARCHITETTI LIBERI PROFESSIONISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 639/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 13/02/2019 R.G.N. 4660/2014;
Oggetto
R.G.N. 21949/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 26/02/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
COGNOME NOME, ingegnere iscritto all’albo e già dipendente del Ministero dell’Interno, aveva presentato ricorso al Tribunale di Tivoli per sentir dichiarare che non era obbligato ad iscriversi ad RAGIONE_SOCIALE (per gli anni 2005/2011) ed a versare alcuna contribuzione; il Tribunale aveva respinto la domanda; la decisione è stata confermata in secondo grado dalla Corte d’appello di Roma con sentenza n. 639/2019, che l’ingegnere qui impugna, proponendo cinque motivi, illustrati da memoria. Resiste RAGIONE_SOCIALE con controricorso, illustrato da memoria.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 26 febbraio 2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
Corbo NOME censura la sentenza sulla base di cinque motivi, così rubricati.
‘I)Errore di diritto. Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., Errore di diritto per violazione di: art. 38 Cost, art. 2 l. n. 1046/1971, art. 7 Statuto Inarcassa e art. 21 l. n. 6/1981 perché la Corte ha ‘reso legittima l’iscrizione d’ufficio ad Inarcassa del ricorrente, dipendente pubblico full time, iscritto obbligatoriamente all’INPDAP’.
II)Errore di diritto. Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., Errore nell’interpretazione dell’art. 7 Statuto Inarcassa, in combinato disposto con l’art. 21 legge . Errore nell’individuazione delle condizioni di iscrizione’ laddove la sentenza ha ritenuto sussistenti tutti i requisiti richiesti dall’art. 7 Statuto per l’iscrizione alla cassa.
III)Errore di diritto. Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. Violazione degli artt. 51 e 52 RD 2537/1925 e l. n. 1395/1923 per non aver la Corte indicato quali sarebbero le attività ingegneristiche che hanno consentito l’accoglimento della pretesa della Cassa.
IV) Errore di diritto. Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.. violazione dell’art. 2697 cod. civ. e artt. 99, 112, 116 e 416 cod. proc. civ. laddove la Corte ‘non riconosce il dovere di RAGIONE_SOCIALE di provare che in capo al ricorrente esistono tutti gli elementi per la iscrizione a essa RAGIONE_SOCIALE‘.
V) Errore di diritto. Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.. Violazione degli artt. 51 e 52 RD 2537/1925 e l. n. 1395/1923 e Statuto Inarcassa perché la Corte non ha limitato ‘la base imponibile contributiva al solo co ntributo integrativo”.
Il ricorrente contesta la sentenza innanzitutto laddove ha ritenuto sussistenti tutti i requisiti richiesti dall’art. 7 dello Statuto Inarcassa al fine dell’obbligatorietà dell’iscrizione, art. 7 in forza del quale «l’iscrizione ad RAGIONE_SOCIALE è obbligatoria per tutti gli ingegneri e gli architetti che esercitano la libera professione con carattere di continuità e ad essi esclusivamente riservata. 7.2 Ai fini dell’iscrizione ad RAGIONE_SOCIALE il requisito dell’esercizio professionale con carattere di continuità ricorre, nei confronti degli ingegneri e degli architetti che siano ad un tempo: a) iscritti all’Albo ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di ordinamento professionale; b) non iscritti a forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque altra attività esercitata; c) in possesso di partita I.V.A.».
In particolare, secondo il ricorrente, difetterebbero il requisito sub b), essendo egli dipendente pubblico full time iscritto ad altra gestione previdenziale, e sub c), essendo egli titolare di partita IVA ‘per materia non ingegneristica, codice CODICE_FISCALE ‘al tre attività tecniche’.
Le doglianze de quibus sono contenute nel primo e secondo motivo che presentano profili di inammissibilità legati innanzitutto al fatto che, censurando norme regolamentari, da qualificarsi come atti negoziali privati, non invocano l’art. 1362 cod. civ., laddove, viceversa, i regolamenti di delegificazione degli enti previdenziali categoriali sono denunciabili in cassazione solo per violazione dei criteri ermeneutici dettati dalla suddetta norma codicistica.
In virtù dell’art. 1 del d.lgs. n. 509/1994, la Cassa, in quanto inclusa nell’elenco A allegato al decreto legislativo, è stata trasformata in un’associazione (comma 1), continua a sussistere come ente senza fini di lucro, assume la personalità giuridica di diritto privato (comma 2) e continua a svolgere le attività previdenziali e assistenziali a favore delle categorie di lavoratori e professionisti per le quali è stata originariamente istituita, ferma restando l’obbligatorietà dell’iscrizione e della contribuzione (comma 3), adottando altresì proprio Statuto e regolamento. In forza dell’art. 2, comma 1, dello stesso d.lgs., le Casse privatizzate hanno «autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei princìpi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell’attività svolta». Quanto alla gestione economico-finanziaria, «deve assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale».
Come Cass. n. 26360/2023 ha ricordato in relazione alla Cassa dei ragionieri e periti commerciali, «quanto ai regolamenti, in particolare, questa Corte ne ha escluso la natura regolamentare in senso proprio, per affermarne la natura squisitamente negoziale, che la successiva approvazione ministeriale non vale a mutare (da ultimo, Cass., sez. lav., 2 dicembre 2020, n. 27541, con riferimento al regolamento per il trattamento assistenziale degli avvocati in stato di bisogno, adottato dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense; nello stesso senso, Cass., sez. lav., 4 marzo 2016, n. 4296, sul regolamento dell’RAGIONE_SOCIALE, e Cass., sez. lav., 26 settembre 2012, n. 16381, sul regolamento dell’Ente nazionale di previdenza e assistenza dei consulenti del lavoro). 5.3. -Statuto e regolamento devono essere approvati, anche per quel che concerne le loro modificazioni, dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il «Ministero del tesoro» e con «gli altri Ministeri rispettivamente competenti ad esercitare la vigilanza per gli enti trasformati» (art. 3, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 509 del 1994). L’approvazione ministeriale non incide sulla formazione della volontà della Cassa ed esula dalla fattispecie costitutiva del regolamento, in quanto atto negoziale, e dal novero dei requisiti che ne determinano l’esistenza e la validità».
Il primo motivo presenta un ulteriore profilo di inammissibilità -e le stesse conclusioni valgono anche per quella parte del secondo motivo che riproduce le medesime censure (pag. 14) -correlato al fatto che la questione della qui asserita contemporanea iscrizione ad altra gestione (INPS) non risulta posta nei gradi di merito, secondo quanto si ricava dai motivi di appello riportati in sentenza, né nel ricorso si precisa in quale sede sarebbe stata prospettata.
Ciò si correla al fatto che è pacifico (per come risulta dalla sentenza impugnata nonché dallo stesso ricorso di legittimità) che l’ing. COGNOME negli anni a cui si riferisce la pretesa sub iudice , non era ‘dipendente pubblico full time, iscritto obbligatoriamente all’INPDAP’ bensì già pensionato (si legge nel controricorso, fin dal 1999).
Altrettanto incontestato è, infine, che il ricorrente fosse titolare di partita IVA, e tanto basta ai fini dell’obbligo di iscrizione (in presenza degli ulteriori due presupposti), a nulla rilevando il codice.
Debbono essere esaminati congiuntamente per l’intima connessione che li unisce il terzo, quarto e quinto motivo, quest’ultimo correlato alla tesi che sorregge il primo, nella parte in cui pretenderebbe una riduzione dell’obbligo contributivo al solo contri buto integrativo sul presupposto dell’iscrizione ad altra forma di previdenza obbligatoria (iscrizione, come detto, insussistente, non trattandosi di dipendente pubblico iscritto all’IPDAP bensì di pensionato).
I motivi sono inammissibili alla luce dell ‘ articolata motivazione della sentenza che, ad abundantiam rispetto alla motivazione già di per sé sufficiente a sostenere il decisum (ossia, presenza dei tre requisiti della iscrizione all’albo, dell’ assenza di iscrizione a forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di rapporto di lavoro o di altra attività esercitata e del possesso della partita IVA) ha osservato che: gli artt. 51 e 52 del r.d. n. 2537/1925 individuano le attività di spettanza dell’ingegnere ( e dell’architetto); la giurisprudenza di legittimità ha affermato che deve reputarsi ormai definitivamente consolidato l’orientamento secondo cui, in tema di previdenza di ingegneri e architetti, l’imponibile contributivo va determinato alla stregua dell’oggettiva riconducibilità alla professione dell’attività
concreta, ancorché questa non sia riservata per legge alla professione medesima, rilevando la circostanza che le cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscano sull’esercizio dell’attività svolta; il concetto di ‘esercizio della professione’ va inteso non in senso statico e rigoroso ma tenendo conto dell’evoluzione subita nel mondo contemporaneo dalle competenze specifiche e dalle cognizioni tecniche, il che ha comportato una progressiva estensione dell’ambito proprio dell’attività professionale; l’imponibile contributivo va determinato alla stregua dell’oggettiva riconducibilità alla professione dell’attività concreta ancorchè questa non sia riservata per legge alla professione medesima; la limitazione dell’imponibile contributivo ai soli redditi da attività professionali tipiche non trova fondamento normativo; il primo giudice ha specificamente indicato la copiosa documentazione da cui ha tratto la convinzione dell’espletamento in via continuativa dell’attività di ingegnere; parte appellan te si è limitata, nel ricorso in appello, ad evidenziare solo genericamente che la maggior parte dei redditi interessati non provenivano da detto tipo di attività, con ciò, tra l’altro, ammettendo che l’altra parte di detta attività era stata di natura ingegneristica.
Posto che il Collegio si è attenuto ai principi di diritto più volte affermati da questa Corte (cfr. ex multis Cass. n. 5741/2021) per cui «la limitazione dell’imponibile contributivo ai soli redditi da attività professionali tipiche non trova fondamento nell’art. 7 della legge n. 1395 del 1923 e negli artt. 51, 52 e 53 del r.d. n. 2537 del 1925, che riguardano soltanto la ripartizione di competenze tra ingegneri e architetti, mentre l’art. 21 della legge n. 6 del 1981 stabilisce unicamente che l’iscrizione alla Cassa è obbligatoria per tutti gli ingegneri e gli architetti che esercitano la libera professione con carattere di continuità (sul
punto, fra le tante, Cass. n. 3914 del 2019; Cass. 29.8.2012 n. 14684; Cass. n. 5827 dei 08/03/2013, Cass. n. 9076 del 15/04/2013; Cass. n. 1347 del 2016)», il ricorrente, di fatto, censura la parte centrale della motivazione ove la Corte d’appello (pag. 7 ) elenca ed analizza la specifica documentazione su cui il primo giudice ha focalizzato l’attenzione per affermare l’espletamento in via continuativa dell’attività di ingegnere (es., n. 233 fatture con applicazione di integrazione del 2% di contribuzione integrativa RAGIONE_SOCIALE; richiesta di rilascio di certificazione di regolarità contributiva presentata all’ente per ottenere l’incarico di collaudatore tecnico, amministrativo e statico per i lavori di realizzazione della linea 5 della metropolitana di Milano ; lavori che l’ingegnere elenca sul suo sito internet, come, ad esempio, per RAGIONE_SOCIALE, l’analisi dei rischi per la fattibilità della linea ferroviaria Lione -Torino, per RAGIONE_SOCIALE, collaudo in corso d’opera tratta Alta Velocità BolognaFirenze …) ed aff erma, motivando, la non rilevanza (e comunque inammissibilità) della prova per testi offerta dall’ingegnere.
L’accertamento, in fatto, circa lo svolgimento di attività per le quali risultano necessarie le competenze dell’ingegnere -approfonditamente compiuto nel caso di specie -risulta strutturalmente sottratto al sindacato di legittimità.
Si aggiunga, infine, che è principio consolidato quello in forza del quale, qualora la decisione di merito si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza, o inammissibilità, delle censure mosse ad una delle ‘ rationes decidendi ‘ rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non
potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. Sez. 5, ord. 11 maggio 2018, n. 11493; in senso analogo già Cass. Sez. Un., sent. 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. Sez. 3, sent. 14 febbraio 2012, n. 2108).
Nella specie, non è intaccato dalle censure il percorso argomentativo della sentenza impugnata laddove motiva sulla base della suddetta ratio decidendi .
Né appare pertinente il richiamo agli artt. 2697 cod. civ. e 116 cod. proc. civ.
La violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è configurabile solo allorché il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile (Cass. n. 27301/2024, Cass. Sez.Un. n. 11892/2016), situazioni queste non sussistenti nel caso in esame.
Quanto alla violazione dell’art. 2697 cod. civ., può essere utilmente denunciata in sede di legittimità nella sola ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata in applicazione di detta norma, il che non si riscontra nella specie.
Il ricorso va, quindi, dichiarato nel complesso inammissibile, con condanna alle spese secondo soccombenza, come liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida
in euro 9000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali e accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 26 febbraio