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Iscrizione Gestione separata: reddito e abitualità

La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di un professionista a cui un ente previdenziale richiedeva il versamento di contributi per l’iscrizione alla Gestione separata. L’ente sosteneva l’obbligatorietà dell’iscrizione basata sulla natura abituale dell’attività, nonostante il professionista avesse percepito redditi inferiori a 5.000 euro annui. La Corte ha dichiarato il ricorso dell’ente inammissibile, confermando le decisioni dei giudici di merito. È stato ribadito che un reddito basso non esclude di per sé il requisito dell’abitualità, ma costituisce un indizio che, unitamente ad altri elementi e alla mancata prova contraria da parte dell’ente, può legittimamente portare a qualificare l’attività come occasionale. L’onere della prova della natura abituale dell’attività professionale grava sull’ente previdenziale.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Iscrizione Gestione Separata: la Cassazione e il requisito dell’abitualità

L’obbligo di iscrizione alla Gestione separata per i liberi professionisti è un tema di costante dibattito, specialmente quando si tratta di definire il confine tra attività professionale ‘abituale’ e ‘occasionale’. Con l’ordinanza n. 21687/2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su questo punto cruciale, chiarendo il peso da attribuire al reddito percepito, in particolare quando questo si attesta al di sotto della soglia dei 5.000 euro annui.

I fatti del caso: contributi richiesti a un professionista

Il caso trae origine dalla pretesa di un noto ente previdenziale nazionale nei confronti di un avvocato. L’ente richiedeva il pagamento di contributi e sanzioni per l’omessa iscrizione alla Gestione separata per l’anno 2009, sostenendo che l’attività professionale svolta fosse da considerarsi abituale e, quindi, soggetta all’obbligo contributivo. Il professionista, dal canto suo, si opponeva, forte del fatto di aver percepito un reddito annuo inferiore a 5.000 euro, elemento che, a suo dire, dimostrava la natura puramente occasionale del suo lavoro.

La decisione dei giudici di merito

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione al professionista. In particolare, la Corte territoriale aveva respinto il gravame dell’ente, sottolineando come i redditi percepiti, di importo inferiore a 5.000 euro, rappresentassero un ‘chiaro indice della natura occasionale dell’attività’. Inoltre, i giudici avevano evidenziato come l’ente previdenziale, su cui gravava l’onere della prova, non avesse fornito alcun elemento a supporto della tesi della natura abituale dell’attività professionale.

L’obbligo di iscrizione alla Gestione separata e il requisito dell’abitualità

La questione centrale ruota attorno all’interpretazione del requisito dell’ ‘abitualità’. Secondo il consolidato orientamento della Cassazione, un professionista iscritto a un albo è obbligato a iscriversi alla Gestione separata se svolge in modo abituale, anche se non esclusivo, un’attività che produce un reddito non soggetto a contribuzione presso la cassa di riferimento.

L’abitualità, precisa la Corte, va intesa come una scelta ‘ex ante’ del professionista di dedicarsi in modo continuativo a quella determinata attività, e non come una conseguenza ‘ex post’ desumibile unicamente dall’ammontare del reddito prodotto. Elementi come l’iscrizione all’albo, l’apertura di una partita IVA o l’organizzazione di mezzi sono indizi (le cosiddette praesumptiones hominis) che possono suggerire l’abitualità, ma nessuno di essi è di per sé decisivo.

Il ruolo del reddito inferiore a 5.000 Euro

La Corte chiarisce un punto fondamentale: la soglia di 5.000 euro non costituisce una sorta di ‘franchigia’ che esenta automaticamente dall’obbligo contributivo. Il superamento di tale soglia fa scattare comunque l’obbligo di versare i contributi, anche se l’attività è occasionale. Al contrario, un reddito inferiore a tale importo non esclude a priori la natura abituale, ma può essere un valido indizio per negarla. Questo dato, tuttavia, deve essere ponderato insieme a tutti gli altri elementi acquisiti nel processo.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’ente previdenziale. I giudici supremi hanno osservato che la Corte d’Appello non ha erroneamente creato una franchigia ‘contra legem’, ma ha compiuto un corretto accertamento dei fatti, come richiesto dalla normativa. Ha vagliato l’ammontare del reddito unitamente agli altri dati processuali, giungendo alla conclusione che l’ente non aveva assolto al proprio onere di provare in modo persuasivo il requisito dell’abitualità.

L’ente, secondo la Cassazione, ha commesso un errore nel contestare la decisione come una violazione di legge. In realtà, le critiche miravano a una rivalutazione del merito delle prove, un’operazione preclusa in sede di legittimità. L’accertamento compiuto dalla Corte d’Appello è un tipico giudizio di fatto, che l’ente avrebbe dovuto censurare sotto un diverso profilo, cosa che non ha fatto, rendendo il ricorso generico e, quindi, inammissibile.

Le conclusioni

L’ordinanza in commento offre importanti spunti pratici per i liberi professionisti. In sintesi:
1. Nessun automatismo: Un reddito inferiore a 5.000 euro non garantisce l’esenzione dall’iscrizione alla Gestione separata, ma è un forte indizio della natura occasionale dell’attività.
2. Valutazione caso per caso: La sussistenza del requisito dell’abitualità deve essere accertata in concreto dal giudice, sulla base di una valutazione complessiva di tutti gli elementi disponibili.
3. Onere della prova: Spetta all’ente previdenziale dimostrare che l’attività del professionista è svolta in modo abituale. In assenza di tale prova, la domanda di contributi non può essere accolta.

Un reddito annuo inferiore a 5.000 Euro esclude automaticamente l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata?
No, non lo esclude automaticamente. La percezione di un reddito inferiore a 5.000 euro può rilevare come un indizio della natura occasionale dell’attività, ma non è di per sé un dato dirimente. Deve essere valutato insieme ad altri elementi per determinare la sussistenza del requisito dell’abitualità.

Su chi ricade l’onere di provare la natura abituale di un’attività professionale ai fini contributivi?
L’onere della prova grava sull’ente previdenziale (in questo caso, l’INPS). È l’ente che, per pretendere i contributi, deve dimostrare che l’attività del professionista ha carattere di abitualità.

Quali elementi si usano per determinare se un’attività professionale è ‘abituale’?
L’abitualità viene accertata in punto di fatto sulla base di inferenze desumibili da vari elementi, come l’iscrizione a un albo professionale, l’apertura di una partita IVA, l’organizzazione materiale predisposta dal professionista e la continuità delle prestazioni. Nessuno di questi elementi, da solo, ha valenza esclusiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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