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Iscrizione Gestione Separata: no se l’attività non è abituale

Una professionista è stata iscritta d’ufficio alla Gestione Separata dall’ente previdenziale per non aver versato i contributi soggettivi alla propria cassa di categoria. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’ente, confermando che l’obbligo di iscrizione Gestione Separata sorge solo in presenza di un’attività professionale svolta con carattere di abitualità, la cui prova deve essere fornita e valutata nel merito.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Iscrizione Gestione Separata: la Cassazione ribadisce il primato dell’abitualità

L’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata per i professionisti iscritti ad albi ma non alla propria cassa di previdenza è un tema di grande attualità. Con l’ordinanza n. 16734/2024, la Corte di Cassazione torna sulla questione, chiarendo un punto fondamentale: senza la prova dell’esercizio abituale dell’attività professionale, l’obbligo contributivo verso l’ente previdenziale nazionale non sussiste. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: La pretesa dell’Ente Previdenziale

Una libera professionista, iscritta all’albo degli avvocati, si è vista recapitare una richiesta di contributi da parte dell’ente previdenziale nazionale per l’anno 2009. L’ente aveva proceduto all’iscrizione d’ufficio della professionista alla Gestione Separata, sostenendo che, pur avendo versato il contributo integrativo alla cassa forense, non aveva versato quello soggettivo, facendo così scattare l’obbligo di copertura previdenziale alternativa.

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello avevano dato ragione alla professionista. In particolare, la Corte territoriale, pur riconoscendo l’orientamento generale verso l’universalizzazione delle tutele previdenziali, ha basato la sua decisione su un accertamento di fatto: non era stata fornita la prova che la professionista avesse svolto la sua attività in forma abituale e continuativa nel corso dell’anno in questione.

Iscrizione Gestione Separata e il requisito dell’abitualità: il ricorso in Cassazione

L’ente previdenziale ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione di legge. Secondo l’ente, i giudici di merito avrebbero errato nel non riconoscere il suo diritto alla contribuzione, dato che l’insussistenza del requisito dell’abitualità non era stata contestata in modo adeguato.

Il fulcro della questione legale ruota attorno all’interpretazione del concetto di ‘abitualità’ dell’esercizio professionale come presupposto per l’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata. L’ente sosteneva, in sostanza, che l’obbligo dovesse scattare quasi automaticamente in assenza del versamento del contributo soggettivo alla cassa di categoria.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno richiamato la propria consolidata giurisprudenza (in particolare la sentenza n. 4419/2021), ribadendo i seguenti principi:
1. Obbligo legato all’abitualità: L’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata sorge per chi esercita un’attività professionale in modo abituale, anche se non esclusivo.
2. L’abitualità è un accertamento di fatto: Il requisito dell’abitualità non è una conseguenza automatica del reddito prodotto (‘ex post’), ma una scelta del professionista (‘ex ante’). La sua esistenza deve essere accertata in punto di fatto dal giudice di merito.
3. Il ruolo degli indizi: Per provare l’abitualità si possono usare presunzioni e indizi, come l’iscrizione all’albo, l’apertura della partita IVA o l’organizzazione di mezzi e strutture per l’attività.

Nel caso specifico, la Corte di Cassazione ha sottolineato che la Corte d’Appello aveva compiuto proprio questo accertamento di fatto, concludendo che mancava la prova dell’esercizio abituale dell’attività. Poiché la Cassazione non può riesaminare il merito dei fatti, e dato che l’ente previdenziale non aveva specificamente contestato questa precisa ‘ratio decidendi’ della sentenza d’appello, il ricorso non poteva che essere respinto.

Conclusioni: L’importanza della prova dell’attività professionale

Questa ordinanza rafforza un principio cruciale: l’iscrizione d’ufficio alla Gestione Separata non è automatica per i professionisti iscritti a un albo. L’ente previdenziale che pretende i contributi ha l’onere di dimostrare, anche tramite presunzioni, che l’attività professionale è stata svolta con il carattere dell’abitualità. La semplice iscrizione a un albo o il mancato versamento del contributo soggettivo non sono, da soli, sufficienti a far scattare l’obbligo contributivo se non si prova che il professionista ha effettivamente e sistematicamente esercitato la professione. Una lezione importante sulla centralità dell’accertamento fattuale nelle controversie previdenziali.

Un professionista iscritto all’albo ma che non versa il contributo soggettivo è sempre obbligato all’iscrizione alla Gestione Separata?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’obbligo di iscrizione sorge solo se l’attività professionale è svolta in modo abituale. L’assenza del versamento soggettivo non è di per sé sufficiente a far scattare l’obbligo se manca la prova dell’abitualità.

Come si dimostra che un’attività professionale è ‘abituale’?
L’abitualità è un requisito che deve essere accertato in fatto dal giudice. La prova può basarsi su presunzioni e indizi come l’iscrizione all’albo professionale, il possesso di una partita IVA, o l’esistenza di un’organizzazione materiale (studio, attrezzature) predisposta per l’esercizio dell’attività. Non è una conseguenza automatica del reddito percepito.

Qual è stata la ragione principale per cui la Cassazione ha rigettato il ricorso dell’ente previdenziale in questo caso?
La Corte ha rigettato il ricorso perché la Corte d’Appello aveva già effettuato una valutazione di merito, concludendo che non vi era prova dell’esercizio abituale dell’attività da parte della professionista. Questa valutazione di fatto non può essere riesaminata dalla Corte di Cassazione, la quale si limita a giudicare la corretta applicazione della legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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