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Iscrizione Gestione Commercianti: quando è obbligatoria?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23337/2025, ha stabilito che per l’obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti non è sufficiente la mera qualifica di socio e la percezione di un reddito societario. L’INPS ha l’onere di provare la partecipazione personale, abituale e prevalente del socio all’attività lavorativa aziendale. La Corte ha cassato la decisione d’appello che si era basata esclusivamente su tali elementi formali, trascurando le prove testimoniali che negavano un coinvolgimento attivo del socio.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Iscrizione Gestione Commercianti: non basta essere socio, serve il lavoro effettivo

L’obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti dell’INPS per i soci di società di persone è un tema che genera frequenti contenziosi. Molti ritengono, erroneamente, che la sola partecipazione a una società e la percezione di un utile siano sufficienti a far scattare l’obbligo contributivo. La Corte di Cassazione, con una recente e chiara ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale: per essere obbligati a versare i contributi, non basta il ruolo formale, ma è indispensabile la partecipazione diretta, abituale e prevalente al lavoro aziendale. E la prova di tale partecipazione spetta all’INPS.

I Fatti del Caso: La pretesa dell’INPS e le decisioni contrastanti

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda una socia accomandataria di una s.a.s. che si era vista recapitare un avviso di addebito da parte dell’INPS per il mancato versamento dei contributi alla Gestione Commercianti per l’anno 2009. La contribuente si era opposta, sostenendo di non aver mai svolto alcuna attività lavorativa all’interno della società.

Il Tribunale, in primo grado, le aveva dato ragione, annullando la pretesa dell’Istituto. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva ribaltato la decisione, ritenendo che i presupposti per l’iscrizione sussistessero, valorizzando due elementi: la qualità di socia accomandataria e la percezione di redditi da partecipazione societaria. Secondo i giudici d’appello, questi elementi erano sufficienti, e le testimonianze che negavano l’attività lavorativa della socia erano state considerate irrilevanti.

La Decisione della Corte di Cassazione sull’iscrizione alla gestione commercianti

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della contribuente, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa per un nuovo esame. I giudici di legittimità hanno riaffermato un orientamento ormai consolidato: ai fini dell’obbligo di iscrizione alla Gestione Commercianti, la normativa (in particolare l’art. 1, comma 203, della L. 662/1996) richiede un presupposto fattuale imprescindibile: la partecipazione personale al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza.

La sola qualifica di socio accomandatario, così come la mera percezione di un utile, non sono di per sé sufficienti a far sorgere l’obbligo assicurativo. Si tratta di elementi che, da soli, non dimostrano l’effettivo svolgimento di un’attività commerciale che giustifichi la tutela previdenziale.

Le Motivazioni: L’onere della prova a carico dell’INPS

La Corte ha incentrato le sue motivazioni sul principio dell’onere della prova. Spetta all’INPS, che vanta la pretesa contributiva, dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti di legge, compreso quello, fondamentale, della partecipazione attiva del socio al lavoro d’impresa. L’Istituto non può limitarsi a invocare dati formali come la visura camerale o la dichiarazione dei redditi.

Proprio su quest’ultimo punto, la sentenza chiarisce che la dichiarazione dei redditi societari non ha natura confessoria e non costituisce prova legale dello svolgimento dell’attività lavorativa. Può essere al massimo un elemento indiziario, ma non è sufficiente, da solo, a fondare la pretesa contributiva, soprattutto di fronte a prove di segno contrario, come le testimonianze.

La Corte d’Appello ha errato nel polarizzare l’attenzione su dati ininfluenti (la qualifica e il reddito) e nel trascurare le prove testimoniali che, se correttamente valutate, avrebbero potuto dimostrare l’assenza di un coinvolgimento lavorativo della socia. La Suprema Corte ha richiamato anche un suo precedente, relativo alle stesse parti ma per un diverso periodo contributivo, in cui aveva già cassato una sentenza basata sullo stesso erroneo percorso argomentativo.

Conclusioni: Implicazioni pratiche per soci e amministratori

La decisione in commento offre importanti indicazioni pratiche per i soci di società di persone. L’obbligo contributivo alla Gestione Commercianti non deriva automaticamente dalla partecipazione societaria, ma è strettamente legato alla realtà fattuale dell’impegno lavorativo.

Per i soci, ciò significa che la loro posizione previdenziale dipende dall’effettivo apporto di lavoro personale, abituale e prevalente. Un socio di mero capitale, che non partecipa alla gestione e all’attività quotidiana, non è tenuto all’iscrizione.

Per l’INPS, la sentenza rappresenta un monito a non fondare le proprie pretese su automatismi e presunzioni. L’Istituto deve svolgere un’istruttoria accurata e, in caso di contenzioso, fornire prove concrete e puntuali dell’attività lavorativa del socio, non potendo invertire l’onere della prova a carico del contribuente.

Essere socio accomandatario di una s.a.s. obbliga automaticamente all’iscrizione alla Gestione Commercianti?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la sola qualità di socio accomandatario, anche se si percepisce un reddito da partecipazione, non è sufficiente. È necessaria anche la partecipazione personale, abituale e prevalente al lavoro aziendale.

Su chi ricade l’onere di provare la partecipazione al lavoro aziendale?
L’onere della prova ricade sull’INPS. È l’Istituto che deve dimostrare che il socio partecipa concretamente, in modo abituale e prevalente, all’attività dell’impresa, e non può basarsi solo su presunzioni o dati formali.

La dichiarazione dei redditi in cui si indica un reddito da partecipazione societaria è una prova sufficiente per l’obbligo contributivo?
No, la sentenza chiarisce che la dichiarazione dei redditi, da sola, non è una prova sufficiente e non ha valore confessorio riguardo allo svolgimento effettivo di un’attività lavorativa. È un elemento che, da solo, non è decisivo per far sorgere l’obbligo contributivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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