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IRAP compensi avvocati pubblici: chi paga il conto?

Un importante ente previdenziale ha trattenuto l’IRAP dai compensi professionali dei propri legali interni. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14614/2025, ha stabilito che tale pratica è illegittima. La Corte ha chiarito che l’IRAP sui compensi degli avvocati pubblici è un’imposta a carico esclusivo del datore di lavoro e non può essere in alcun modo, né direttamente né indirettamente, trasferita sui dipendenti. La decisione sottolinea la natura retributiva di tali compensi e distingue nettamente la gestione contabile dell’ente dal diritto del lavoratore alla piena retribuzione.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

IRAP sui Compensi degli Avvocati Pubblici: la Cassazione Stabilisce che Paga il Datore di Lavoro

Con una recente e fondamentale ordinanza, la Corte di Cassazione ha messo un punto fermo su una questione a lungo dibattuta: chi deve sostenere il costo dell’IRAP compensi avvocati pubblici? La risposta dei giudici è stata netta e inequivocabile: l’onere grava esclusivamente sull’ente pubblico datore di lavoro e non può essere trasferito, né direttamente né indirettamente, sui legali dipendenti. Questa pronuncia chiarisce i confini tra la gestione contabile dell’ente e il diritto intangibile del lavoratore alla propria retribuzione.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dal ricorso di un gruppo di avvocati dipendenti di un noto ente previdenziale nazionale. L’ente aveva operato delle trattenute sui loro compensi professionali, sostenendo che servissero a coprire il pagamento dell’IRAP. La Corte d’Appello aveva emesso una decisione ambivalente: da un lato, aveva ritenuto illegittime le trattenute retroattive per il periodo fino al 2014; dall’altro, aveva considerato legittimo che, dal 2015 in poi, l’ente accantonasse una quota (l’8,5%) dai fondi destinati ai compensi per far fronte all’imposta. Sia l’ente che gli avvocati hanno quindi presentato ricorso in Cassazione per risolvere la questione in via definitiva.

La Decisione della Cassazione e l’impatto sull’IRAP compensi avvocati pubblici

La Suprema Corte ha accolto sia il ricorso principale dell’ente (sotto un profilo specifico) sia quello incidentale degli avvocati, cassando la sentenza d’appello e stabilendo un principio di diritto chiaro. Il nucleo della decisione è che i compensi professionali degli avvocati interni hanno natura retributiva. In quanto tali, il loro ammontare è determinato dalla legge, dalla contrattazione collettiva e dai regolamenti interni. L’IRAP, invece, è un’imposta che grava sull’attività produttiva dell’ente e costituisce un costo aziendale per il datore di lavoro.
Di conseguenza, l’ente non può ridurre le somme spettanti ai propri legali per coprire un proprio onere fiscale. Qualsiasi pratica che realizzi, di fatto, una traslazione dell’imposta sul dipendente è da considerarsi illegittima.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su quattro pilastri argomentativi fondamentali.
1. La Natura Giuridica dell’IRAP: I giudici hanno ribadito che l’IRAP non è un’imposta sul reddito del lavoratore, ma sul valore aggiunto prodotto dall’ente. Il soggetto passivo dell’imposta è il datore di lavoro, non il dipendente. Pertanto, far gravare il costo sul lavoratore snaturerebbe la natura stessa del tributo.
2. Il Divieto di Traslazione dell’Imposta: La Cassazione ha chiarito che non sono ammesse condotte, dirette o indirette, che comportino una traslazione dell’onere fiscale. Una ritenuta diretta è palesemente illegittima. Allo stesso modo, è illegittima una riduzione “a monte” del fondo destinato ai compensi in misura pari all’IRAP dovuta, poiché realizza lo stesso risultato per via indiretta, ledendo il diritto del lavoratore a percepire quanto gli spetta.
3. Distinzione tra Piano Giuridico-Retributivo e Piano Contabile-Finanziario: L’ente pubblico ha il dovere di rispettare i vincoli di bilancio e di coprire tutti i suoi costi, inclusa l’IRAP. A tal fine, deve effettuare degli accantonamenti contabili, ovvero mettere da parte le somme necessarie. Tuttavia, questa esigenza di sana gestione finanziaria opera su un piano distinto e non può comprimere il diritto soggettivo del lavoratore alla retribuzione, che sorge in base a fonti normative e contrattuali specifiche.
4. L’Onere della Prova nell’Azione di Adempimento: L’azione degli avvocati è un’azione di adempimento contrattuale. A loro spetta solo provare la fonte del loro diritto (legge, contratto) e allegare l’inadempimento dell’ente. Spetta all’ente, invece, dimostrare di aver pagato correttamente o che esistevano limiti legali o contrattuali preesistenti (e non creati ad hoc per coprire l’imposta) che impedivano l’erogazione di somme maggiori.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. Gli enti pubblici non possono più considerare i fondi per i compensi degli avvocati come una variabile da aggiustare per far fronte ai propri oneri fiscali. Devono, invece:
– Determinare i compensi professionali spettanti ai legali interni sulla base esclusiva delle leggi, dei contratti collettivi e dei regolamenti applicabili.
– Prevedere nel proprio bilancio le risorse necessarie a coprire integralmente sia tali compensi, comprensivi degli oneri riflessi, sia l’IRAP dovuta su di essi.
– Pagare l’IRAP utilizzando risorse proprie, senza effettuare alcuna ritenuta o riduzione, diretta o indiretta, delle somme dovute ai dipendenti.
In sintesi, il costo dell’IRAP compensi avvocati pubblici rimane dove la legge lo ha posto: a carico del datore di lavoro. La gestione finanziaria dell’ente deve adeguarsi a questo principio, senza sacrificare i diritti retributivi dei propri dipendenti.

Chi è tenuto a pagare l’IRAP sui compensi professionali degli avvocati dipendenti di un ente pubblico?
Secondo la Corte di Cassazione, l’IRAP è un’imposta che grava esclusivamente sull’ente pubblico in qualità di datore di lavoro. L’onere fiscale non può essere trasferito sul dipendente.

Un ente pubblico può ridurre i compensi dei propri avvocati per coprire i costi dell’IRAP?
No. La Corte ha stabilito che sono illegittime sia le ritenute dirette (trattenute in busta paga) sia le riduzioni indirette, come la diminuzione del fondo destinato ai compensi professionali per un importo pari a quello dell’imposta da versare. Il diritto alla retribuzione del lavoratore non può essere compresso per far fronte a un onere fiscale del datore di lavoro.

Che differenza c’è tra ‘accantonamento’ contabile per l’IRAP e ‘ritenuta’ sui compensi?
L’accantonamento è un’operazione contabile interna con cui l’ente mette da parte le somme necessarie per pagare un debito futuro (l’IRAP). È un atto di corretta gestione del bilancio. La ritenuta, invece, è una decurtazione illegittima di una somma già spettante al lavoratore. L’ente deve accantonare fondi per l’IRAP, ma deve farlo usando risorse proprie, non quelle destinate alla retribuzione dei dipendenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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