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IRAP avvocati enti pubblici: chi paga il conto?

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’IRAP sui compensi professionali degli avvocati dipendenti di enti pubblici è a carico esclusivo dell’ente datore di lavoro. L’ordinanza chiarisce che la Pubblica Amministrazione non può traslare l’onere fiscale sul lavoratore, né direttamente né indirettamente riducendo le somme destinate ai compensi. La decisione sottolinea la natura retributiva di tali compensi e distingue l’obbligazione contrattuale verso il dipendente dalle norme di contabilità pubblica, accogliendo il ricorso dell’avvocato.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

IRAP Avvocati Enti Pubblici: la Cassazione stabilisce chi paga

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha messo un punto fermo su una questione a lungo dibattuta: l’IRAP avvocati enti pubblici. La Suprema Corte ha chiarito che l’imposta regionale sulle attività produttive, gravante sui compensi professionali degli avvocati dipendenti della Pubblica Amministrazione, non può essere scaricata sui lavoratori. Questo principio rafforza la tutela retributiva dei legali interni agli enti, distinguendo nettamente gli obblighi fiscali del datore di lavoro dai diritti contrattuali del dipendente.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dal ricorso di un’avvocatessa, dipendente di un’amministrazione provinciale, la quale aveva lamentato l’indebita trattenuta dell’IRAP dai propri compensi professionali a partire dal 2011. L’ente pubblico, infatti, considerava il fondo destinato a tali emolumenti come comprensivo dell’onere fiscale, accantonando le somme necessarie per il versamento dell’imposta e distribuendo ai legali solo il residuo. Dopo un primo grado favorevole alla lavoratrice, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, accogliendo la tesi dell’ente. La questione è così giunta all’attenzione della Corte di Cassazione.

L’IRAP Avvocati Enti Pubblici e la Decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’avvocatessa, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’Appello per una nuova decisione basata sui principi di diritto enunciati. Il fulcro della decisione è inequivocabile: l’IRAP è un’imposta che grava sul datore di lavoro e non può essere in alcun modo ‘traslata’ sul dipendente. Qualsiasi pratica che, direttamente o indirettamente, riduca i compensi del lavoratore per coprire tale imposta è illegittima.

Le Motivazioni della Sentenza

L’ordinanza della Cassazione si fonda su un’analisi approfondita della normativa e della giurisprudenza, articolando il proprio ragionamento su quattro pilastri fondamentali.

1. Natura dell’IRAP e Divieto di Traslazione

La Corte ribadisce un principio consolidato: l’IRAP non è un’imposta sul reddito personale, ma un tributo che colpisce il valore aggiunto prodotto dall’attività organizzata. Il soggetto passivo, colui che per legge è tenuto al pagamento, è il datore di lavoro, in questo caso l’ente pubblico. Di conseguenza, non è ammessa alcuna forma di ‘traslazione’ dell’imposta, ovvero il trasferimento dell’onere economico dal soggetto passivo (l’ente) al lavoratore. Una simile operazione trasformerebbe l’IRAP, contro la sua natura, in un prelievo sul reddito del dipendente.

2. Distinzione tra Obbligazione Retributiva e Contabilità Pubblica

La Cassazione traccia una linea di demarcazione netta tra il piano del rapporto di lavoro e quello della contabilità pubblica. Il diritto del legale dipendente a percepire i compensi professionali nasce dalla legge, dalla contrattazione collettiva e dai regolamenti interni dell’ente. Si tratta di un’obbligazione di natura retributiva. Le norme sulla finanza e sulla redazione dei bilanci pubblici, che impongono all’ente di accantonare le risorse per pagare le imposte, operano su un piano diverso e non possono incidere sul diritto di credito già sorto in capo al lavoratore. In altre parole, l’esigenza dell’ente di far quadrare i conti non può giustificare l’inadempimento di un’obbligazione contrattuale.

3. L’Onere della Prova nel Giudizio

L’ordinanza chiarisce anche le regole sull’onere della prova. L’avvocato che agisce in giudizio per ottenere il pagamento deve semplicemente provare la fonte del suo diritto (contratto, regolamento, etc.) e allegare l’inadempimento dell’ente. Spetta poi all’amministrazione pubblica, per difendersi, dimostrare di aver pagato correttamente oppure che il diritto del lavoratore era limitato ab initio (fin dall’origine) da specifici e inderogabili tetti di spesa previsti dalla legge o da atti organizzativi interni. Non è sufficiente, per l’ente, opporre genericamente le regole di contabilità.

4. I Limiti alla Retribuzione e la Gestione dei Fondi

La Corte riconosce che possano esistere limiti legali o contrattuali all’ammontare massimo dei compensi. Se il fondo destinato ai legali supera tali limiti, l’ente può legittimamente utilizzare la parte eccedente per pagare l’IRAP. Tuttavia, non può ridurre l’ammontare spettante ai singoli lavoratori al di sotto di quanto previsto dalla contrattazione e dalla regolamentazione interna. L’ente deve prima determinare quanto spetta al dipendente e, solo dopo, preoccuparsi di come pagare l’IRAP, attingendo a risorse proprie o a eventuali eccedenze del fondo.

Conclusioni

La decisione della Cassazione rappresenta una vittoria significativa per gli avvocati degli enti pubblici. Essa stabilisce che la retribuzione accessoria, rappresentata dai compensi professionali, è un diritto che non può essere eroso dalle esigenze fiscali del datore di lavoro. Le amministrazioni pubbliche sono chiamate a una gestione contabile più rigorosa, che preveda la copertura dell’IRAP senza intaccare le spettanze dei propri dipendenti. L’ordinanza riafferma la distinzione fondamentale tra il rapporto sinallagmatico di lavoro e la gestione del bilancio pubblico, ponendo un argine a interpretazioni che penalizzavano ingiustamente i lavoratori.

Chi è tenuto a pagare l’IRAP sui compensi professionali degli avvocati dipendenti di enti pubblici?
L’IRAP è un’imposta a carico esclusivo della Pubblica Amministrazione in qualità di datore di lavoro. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’onere fiscale non può essere trasferito, né direttamente né indirettamente, sul dipendente.

Un ente pubblico può ridurre il fondo per i compensi degli avvocati per coprire il costo dell’IRAP?
No, l’ente non può ridurre le somme dovute ai legali a titolo di compenso professionale per pagare l’IRAP. Le regole di contabilità pubblica che impongono all’ente di accantonare fondi per le imposte non possono prevalere sul diritto contrattuale del lavoratore a ricevere la retribuzione pattuita.

Cosa deve fare l’avvocato pubblico per ottenere il pagamento dei compensi che ritiene indebitamente trattenuti per l’IRAP?
L’avvocato deve intraprendere un’azione legale per l’adempimento contrattuale. In giudizio, dovrà provare la fonte del suo diritto (legge, contratto collettivo, regolamento interno) e il termine di scadenza, limitandosi ad allegare l’inadempimento dell’ente. Sarà poi l’amministrazione a dover provare di aver pagato o che il diritto era limitato da specifici vincoli di spesa preesistenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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