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Interposizione di manodopera: quando è un illecito?

Una lavoratrice, formalmente dipendente di società appaltatrici, ha ottenuto dal Tribunale il riconoscimento di un rapporto di lavoro diretto con l’azienda utilizzatrice. La sentenza ha dichiarato l’illegittimità dell’interposizione di manodopera per la mancanza di validi contratti di appalto, instaurando il rapporto sin dall’origine. Tuttavia, la richiesta di un inquadramento superiore è stata respinta, poiché le prove documentali, come le email, hanno dimostrato che le mansioni svolte erano di tipo ausiliario e riconducibili a quelle di receptionist (II livello CCNL) e non di segreteria (III livello).

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Pubblicato il 16 ottobre 2024 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Interposizione di Manodopera: Riconosciuto il Rapporto, ma non l’Inquadramento

L’interposizione di manodopera è un fenomeno complesso che si verifica quando un lavoratore, pur essendo formalmente assunto da un’azienda appaltatrice, svolge la sua attività sotto la direzione e il controllo di un’altra società, la committente. Una recente sentenza del Tribunale del Lavoro ha affrontato un caso emblematico, riconoscendo l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato diretto con l’utilizzatore, ma rigettando la richiesta di un inquadramento professionale superiore. Analizziamo la vicenda e le importanti conclusioni del giudice.

I Fatti: Una Collaborazione Prolungata Dietro Contratti di Appalto

Una lavoratrice ha prestato la sua attività in modo continuativo per oltre un decennio presso la sede di una grande società. Formalmente, il suo rapporto era regolato da contratti con diverse società intermediarie che si erano succedute nel tempo. La lavoratrice sosteneva che si trattasse di una mera finzione giuridica, una forma di interposizione di manodopera, poiché di fatto riceveva direttive, compiti e formazione direttamente dai dipendenti della società utilizzatrice, senza alcun contatto con i referenti delle sue formali datrici di lavoro.

La sua richiesta al Tribunale era duplice:
1. Accertare la sussistenza di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la società utilizzatrice sin dall’inizio.
2. Ottenere il riconoscimento di un inquadramento superiore (III livello del CCNL di settore), sostenendo di aver svolto mansioni di segreteria e non di semplice receptionist.

L’Illegittimità dell’Appalto e il Riconoscimento del Rapporto

Il Tribunale ha innanzitutto affrontato la questione della legittimità dei contratti di appalto. La società convenuta non è riuscita a produrre in giudizio i contratti relativi a lunghi periodi del rapporto lavorativo, non fornendo così la prova fondamentale della genuinità dell’appalto.

Per un periodo intermedio, sebbene un contratto fosse stato depositato, il giudice ha osservato che tale accordo era stato stipulato quando la lavoratrice operava già da due anni presso la sede della committente in assenza di un valido titolo. Questo ha rafforzato la tesi del carattere simulato dell’operazione, finalizzata a mascherare un’unica e continuativa prestazione lavorativa a favore dell’utilizzatore.

Di conseguenza, il Tribunale ha dichiarato l’illegittimità dell’interposizione di manodopera e ha affermato la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato direttamente con la società committente, con decorrenza dalla data di inizio effettivo dell’attività.

La Questione dell’Inquadramento: Decidono le Prove Documentali

Se sulla natura del rapporto il Tribunale ha dato ragione alla lavoratrice, l’esito è stato diverso per quanto riguarda la richiesta di inquadramento superiore.

La lavoratrice sosteneva di aver svolto mansioni complesse di segreteria, riconducibili al III livello del CCNL. La società, al contrario, affermava che le sue attività fossero limitate alla reception e all’accoglienza, rientranti nel II livello.

Per dirimere la questione, il giudice ha analizzato la documentazione prodotta, in particolare le email scambiate durante il rapporto di lavoro. Proprio da queste comunicazioni, prodotte dalla stessa ricorrente, è emerso un quadro diverso da quello descritto.

Le email dimostravano che la lavoratrice riceveva istruzioni dettagliate e direttive dalle segretarie di ruolo per lo svolgimento di compiti ausiliari: gestire la corrispondenza su indicazione, accogliere ospiti specifici, preparare badge. Una comunicazione, in particolare, la definiva esplicitamente, insieme a una collega, come “le nostre receptionist”.

Le Motivazioni

Il Tribunale ha motivato la sua decisione sull’inquadramento basandosi su un’interpretazione rigorosa delle declaratorie del CCNL e delle prove agli atti. Il II livello professionale si riferisce a lavoratori che svolgono attività manuali e/o ausiliarie al funzionamento degli uffici. Il III livello, invece, presuppone lo svolgimento di attività impiegatizie d’ordine con un certo grado di autonomia. Le email hanno dimostrato che le mansioni della ricorrente erano prevalentemente esecutive e di supporto al personale di segreteria, mancando di quell’autonomia qualitativa e quantitativa che caratterizza il livello superiore. L’attività, seppur importante, si configurava come meramente ausiliaria, giustificando così l’inquadramento nel II livello.

Le Conclusioni

La sentenza offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, conferma che l’assenza di contratti di appalto validi e la gestione diretta del lavoratore da parte del committente sono elementi sufficienti per dichiarare l’esistenza di una interposizione di manodopera illecita, con la conseguente costituzione di un rapporto di lavoro diretto. In secondo luogo, evidenzia come, ai fini del corretto inquadramento, le prove documentali concrete, come le comunicazioni quotidiane, prevalgano sulle affermazioni di parte. Anche in un rapporto di lavoro riconosciuto come subordinato, le mansioni effettivamente svolte e provate determinano il livello contrattuale, non quelle meramente rivendicate.

Quando un appalto di servizi si trasforma in interposizione di manodopera illecita?
Secondo la sentenza, ciò avviene quando la società committente non è in grado di provare l’esistenza di validi contratti di appalto e, soprattutto, quando il lavoratore, pur essendo formalmente dipendente di un’altra azienda, è di fatto diretto, organizzato e utilizzato esclusivamente dalla società committente.

Da quando decorre il termine di decadenza per impugnare un appalto illecito?
Il Tribunale, richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione, ha stabilito che il termine di decadenza non inizia a decorrere fino a quando il lavoratore non riceve un atto scritto o equipollente dal reale utilizzatore che neghi in modo esplicito la titolarità del rapporto di lavoro.

Come viene determinato il corretto inquadramento professionale in un caso di interposizione?
L’inquadramento non dipende dalle richieste delle parti, ma dalle mansioni effettivamente e prevalentemente svolte dal lavoratore. La decisione si basa sull’analisi delle prove concrete prodotte in giudizio, come le email, che possono dimostrare la natura e il livello di autonomia delle attività, determinando la corrispondenza con le declaratorie del CCNL di riferimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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